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NBA, Fontecchio, allarme azzurro: "Preolimpico? Prima devo risolvere il problema al piede"

NBA

Mauro Bevacqua

©Getty

L'azzurro - che ha saltato tutto l'ultimo mese di stagione regolare a Detroit per via di un problema all'alluce del piede sinistro - riflette sul suo prossimo futuro, dagli impegni con la nazionale italiana al nuovo contratto NBA da firmare. Ma guardandosi indietro non può non essere soddisfatto del suo cammino: "Sono orgogliosissimo di quanto fatto finora". E fa il suo pronostico sulle quattro sfide di play-in NBA

Da quando Utah lo ha ceduto a Detroit, la carriera NBA di Simone Fontecchio sembrava essere decollata. Nelle prime 16 gare in maglia Pistons, l’azzurro ha viaggiato oltre i 15 punti di media tirando il 48% dal campo e un ottimo 42.6% da tre punti. Poi però, di colpo, un infortunio al piede – all’apparenza innocuo – che invece lo ha fermato per tutto l’ultimo mese di stagione regolare (ultima gara disputata, il 17 marzo) e che ora addirittura rischia di mettere a repentaglio la sua estate azzurra, che inizierebbe con le sfide del preolimpico – per guadagnarsi un pass per Parigi 2024 – il prossimo 2 luglio. Ma andiamo per ordine.

Riportaci alla gara dell’infortunio, contro Miami.

“È stato un infortunio abbastanza casuale, nell’ultima azione in attacco della partita contro Miami. Sono caduto e ho sbattuto l’alluce in maniera insolita e molto violenta. All’inizio pensavamo fosse solo una botta, per cui eravamo tutti convinti che sarei tornato in campo a breve. Invece è stata una cosa molto più lunga del previsto, ci combatto ancora oggi perché forse c’è l’interessamento di un paio di legamenti vicino alle ossa della punta del piede, i sesamoidi. Non dovrebbe essere nulla di grave, semplicemente un infortunio su cui dovrò continuare a lavorare per tornare in salute: di certo però è stato tutto più lungo di quanto pensassimo. Purtroppo è andata così”.

Parlaci della tua seconda stagione NBA, iniziata nello Utah e conclusasi a Detroit.

“La definirei una stagione molto positiva. Sono contento e molto orgoglioso di ciò che ho fatto. Al via del training camp a Utah facevo parte del terzo quintetto, ovvero ero fuori dalla rotazione. Poi, grazie a qualche infortunio e al mio duro lavoro in palestra, giorno dopo giorno, a furia di sgomitare mi sono ricavato un ruolo da titolare, e quando sono stato scambiato a Detroit ero diventato un giocatore da quintetto. Di questo sono molto, molto orgoglioso e felice: la cosa migliore che ho dimostrato – al di là delle statistiche e dei numeri collezionati in campo – è di essere un giocatore affidabile, qualsiasi siano le condizioni in cui mi ritrovo”. 

"La trade? Non vedo mia figlia da due mesi"

Com’è stato il passaggio dagli Utah Jazz ai Detroit Pistons?

“La transizione è stata facile. Ai Jazz giocavo di più sul perimetro, aspettando gli scarichi, per poi scegliere se tirare o attaccare i closeout delle difese avversarie. A Detroit invece ho trovato un giocatore come Cade Cunningham che crea tanto giocando molti pick and roll, e giocare al suo fianco credo mi abbia aiutato a mostrare ancora di più il mio stile di gioco e quello di cui sono capace. Ai Pistons per il tipo di ruolo che ho e per il numero di palloni che mi arrivano mi sono trovato anche meglio”.

Qual è stata la tua reazione al momento della trade?

“Sapevo che c’era molto interessamento da parte di altre squadre, sapevo che poteva succedere qualcosa, ma quando è andato in porto lo scambio è stato tosto. Non tanto per me ma per la mia famiglia, per mia moglie e mia figlia. Insomma: non vedo mia figlia da due mesi, ma so di essere un giocatore NBA e sono consapevole che funziona così, il mondo va avanti. Sono felice di questi due mesi a Detroit, sono contento di dove sono oggi e di quello che ho fatto in questi due mesi”.

Quali sono le principiali differenze tra coach Will Hardy e Monty Williams

“Devo dire che mi sono trovato molto bene con entrambi. Con Will [Hardy] abbiamo instaurato un ottimo rapporto, ci sentiamo ancora spesso, c’è molta confidenza tra noi. Ai Jazz mi veniva chiesto soprattutto di difendere - spesso e volentieri sull’attaccante più pericoloso degli avversari - mentre in attacco il mio compito era di fare semplicemente la cosa giusta, andare a rimbalzo forte e tirare sugli scarichi. Con Monty [Williams] a Detroit l’intesa è stata immediata: la grande differenza tra lui e Will è la sua super esperienza, visto che fa questo lavoro da molti anni. Ha un’attenzione maniacale ai dettagli, dalle riunioni agli allenamenti fino alle partite: lo apprezzo tantissimo. Il ruolo che mi dà qui è di maggiori responsabilità rispetto a quelle che avevo nello Utah con Hardy”

Quando faticavi a trovare spazio ai Jazz, hai mai pensato che in NBA non ce l’avresti fatta?

“Dico la verità: in quei momenti è difficile pensare positivo. Ci provi, lo racconti, ma non è per nulla semplice. Quest’anno, fin dal training camp nello Utah – ci scherzavo spesso con moglie – mi ero ripromesso di essere una persona zen: ‘Niente mi deve toccare’, dicevo. L’annata poi mi ha messo a dura prova, con lo scambio e tutto il resto [ride]. Ma all’inizio il mio atteggiamento era quello: tutto quello che mi stava succedendo - quello che mi dicevano o quello che non mi dicevano, che è la cosa peggiore - non mi spostava nulla di una virgola, e alla fine questo atteggiamento ha pagato. Io come al solito mi sono sempre impegnato tantissimo, soprattutto quando non giocavo: il lavoro alla fine paga sempre, lo si ripete spesso ma è vero”. 

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"Risolto il problema al piede, penserò alla nazionale"

L’infortunio da risolvere, il contratto da rinnovare e il 2 luglio la nazionale italiana inizia il preolimpico: cosa puoi dirci dell’estate azzurra?

“In questo momento sono molto concentrato sul mio piede, onestamente. Voglio prima risolvere questo infortunio, e spero di farlo il prima possibile. Ora torno in Italia per lavorare con il mio fisioterapista e con il mio preparatore. Risolto questo penserò alla Nazionale, ma al momento non mi sento di dire nulla, perché questo stop pensavo durasse poco e invece non è stato così”.

Proprio a differenza di altri giocatori italiani, tu sei riuscito dove altri hanno fallito - ad adattarsi cioè al mondo NBA dopo un inizio non facile. Come lo spieghi?

“La cosa fondamentale qui è avere un’opportunità, avere la fortuna di ottenerla e poi di conseguenza saperla sfruttare. Dietro chiaramente c’è tanto lavoro e tanta preparazione. I miei anni in Europa mi hanno aiutato di sicuro, penso soprattutto all'esperienza di Milano, quando ho giocato poco ma ho lavorato tanto a porte chiuse. Essermi ritrovato qui in America in certe situazioni che avevo già vissuto mi può aver aiutato, ma la cosa più importante resta la fortuna di ottenere un’opportunità”. 

Com'è la tua vita negli Stati Uniti e quanta differenza c'è rispetto a quella che eri solito condurre in Italia e in Europa?

“La quotidianità è molto simile a quando giocavo già in Spagna o in Germania, ad esempio. Ho qui la mia famiglia: porto a scuola mia figlia, mi alleno, gioco. Quello che forse è diverso è la lontananza da casa, e poi ovviamente la cultura, le abitudini. Nella quotidianità parlo molto meno con la famiglia a casa – per via del fuso orario, si fa fatica – ma a livello di routine non è cambiato molto”.

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Play-in NBA al via: i pronostici di Fontecchio

I play-in NBA sono alle porti. Ti chiediamo i tuoi pronostici, a partire da New Orleans-Lakers.

“Si sono create delle dinamiche molto strane, perché forse – se fossi i Lakers – io preferirei quasi arrivare ottavo, invece che settimo [per evitare Denver al primo turno, ndr]. Non so se a Los Angeles faranno ragionamenti di questo tipo, credo e mi auguro di no, però direi che i Lakers battono New Orleans”.

Sacramento-Golden State.

“Golden State”.

Philadelphia-Miami

“Miami”.

Chicago-Atlanta

“Dico Chicago, ma non è facile”

Dopo due anni in NBA, se ti guardi indietro, quali sono i momenti che ricordi con più piacere?

“Sono già tanti, fortunatamente. Sicuramente il canestro della vittoria vs. Golden State in casa me lo porterò dietro per sempre. Ma anche solo banalmente indossare ogni sera una canotta NBA addosso ti inorgoglisce ogni volta. Potrei dirti anche giocare in quintetto al Madison Square Garden, tutti momenti che se ci penso mi vengono i brividi, la pelle d’oca. E spero ce ne siano ancora tanti in futuro”.

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