Bill Walton, il gigante dai piedi d'argilla: la storia dello sfortunato Hall of Famer

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Christian Giordano

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Bill Walton, uno dei più grandi centri di sempre, è scomparso all'età di 71 anni dopo una lunga battaglia contro il cancro. Ricordiamo la sua storia, la sua carriera e i suoi infortuni, per un giocatore che nel suo picco è stato il migliore di tutti. Un picco, purtroppo, durato solo un anno e mezzo, ma che lo ha comunque consegnato alla leggenda

Bill Walton è stato unico, per molti versi. Nonostante la (troppo) breve carriera, falcidiata e poi spezzata dagli infortuni, ha avuto sulla NBA un impatto tale da potersi ritenere uno dei giocatori più forti di sempre. Durante l’esplosivo (eufemismo) sviluppo puberale, arti inferiori e in particolare le ossa dei piedi non erano cresciuti in maniera armonica con il resto del corpo, e questo gli aveva causato danni strutturali che lo avrebbero condizionato per tutti gli anni da professionista.

Tuttavia, per un anno e mezzo – la stagione del titolo 1976-77 e la prima metà di quella successiva – il suo innovativo, altruistico modo di interpretare il ruolo di centro trasformò una buona squadra in una da titolo; e forse in una delle più grandi di sempre. Senza considerare il meraviglioso canto del cigno, da sesto uomo nei Boston Celtics, coronato dall’anello del 1986. E quella sì, sicuro, fra le squadre più grandi di sempre.

La leggenda di Bill Walton all'università

Bill Walton era il classico californiano del sud, nato il 5 novembre 1952 a La Mesa, dove è cresciuto e ha frequentato la Helix High School. Settepiedi vero, aveva sempre voluto farsi registrare nelle media-guide (anche al college) 6’11” (2.09), perché altrimenti tutti si sarebbero aspettati da lui un gioco da centro classico: tutto spalle a canestro e movimenti in post basso; non lo era, né sarebbe mai stato.

Bill da ragazzo aveva giocato a lungo da guardia. E proprio grazie alla visione di gioco e alle immense doti di passatore che, nella sua breve estate indiana, segnerà la storia del gioco. Trascinata dalla sua torreggiante leadership, la Helix vinse 49 partite consecutive. John Wooden, leggendario coach di UCLA, rimase così impressionato dalle relazioni scritte su Walton dai suoi scout che infranse la sua regola e andò a reclutarlo di persona. Anche se poi il “Mago di Westwood” si sarebbe sempre compiaciuto di negarlo.

A UCLA, Walton si dimostrò il prototipo del perfetto giocatore di – e per – Wooden: altruista, disciplinato e con il giusto atteggiamento difensivo. I Bruins chiusero imbattuti le sue due prime stagioni, coronate da altrettanti titoli nazionali. Nella finale NCAA del 1973, contro Memphis State, Walton segnò un record di 44 punti con un quasi immacolato 21 su 22 al tiro. Nel suo anno da senior, la striscia-record di UCLA di 88 vittorie fu interrotta da Notre Dame, mentre fu North Carolina State a spezzare ai Bruins il filotto di sette corone NCAA consecutive battendoli all’overtime nelle semifinali nazionali.

La carriera in NBA di Bill Walton

Quando Walton entrò nella NBA con i Portland Trail Blazers, su di lui le aspettative erano altissime. I cronici dolori agli arti inferiori e fastidi fisici assortiti lo tennero però fermo per gran parte delle sue prime due stagioni, e i Blazers non raggiunsero i playoff. Le cose andarono meglio dalla sua terza stagione: Walton giocò 65 partite, chiuse a 18.6 punti e quattordici rimbalzi a partita. Medie che corroboravano le brillanti doti di passatore e perno difensivo, peraltro mai noto per il saper mettere palla a terra. Forse il suo unico limite oltre a quello che però era anche un suo gran pregio: mai prendersi troppo sul serio.

Con Bill in salute, i Blazers eliminarono (2-1) Chicago e (4-2) Denver prima dello sweep (4-0) sui Los Angeles Lakers di Kareem Abdul-Jabbar, suo illustre predecessore a UCLA. Le finali NBA del 1977 proponevano un perfetto matchup tra il disciplinato collettivo dei Trail Blazers di coach Jack Ramsay e la scintillante, atletica collezione di stelle dei Philadelphia 76ers, trascinati dal leggendario Dr. J, al secolo Julius Erving.

Nonostante la brillantezza individuale di Erving, fu il collettivo di Portland e di Walton a vincere, in sei partite, la serie. Per tutte le finali Walton fu impeccabile, dominando sotto i tabelloni, e con la sua eccezionale difesa interna, i passaggi illuminanti e persino segnando, sembrava davvero vi si fosse incarnato un nuovo Bill Russell. L’anno successivo sia Bill sia i Blazers campioni in carica furono se possibile ancora più spettacolari. Arrivati in stagione a un record di 48-10, venivano già inseriti tra le più grandi squadre nella storia della NBA. Poi però qualcosa – meglio: qualcuno, lui – si ruppe: Walton uscì dal quintetto per via dei soliti dolori, ormai intollerabili, ai piedi.

Quale fosse il suo valore per la squadra si legge anche dai numeri: senza di lui i Blazers precipitarono. Finirono con 10-14 la regular season e uscirono contro Seattle al primo turno di playoff. Nelle successive sette stagioni, Walton tentò più volte il rientro, ma non riuscì mai a superare davvero i suoi cronici infortuni. Con Portland si lasciò male, incolpando staff medico e management per la cattiva gestione del suo recupero. Salì sull’Aventino per farsi cedere a San Diego, franchigia gradita per tornarsene a casa, in California, ma non funzionò.

Poi, miracolosamente, Bill tornò in forma, contribuendo all’intera stagione 1985-86 come sesto uomo nei Boston Celtics, cui si offrì esponendosi in prima persona. Gli infortuni però tornarono a tormentarlo già dall’anno successivo, e così si ritirò. Bill Walton, che a UCLA aveva avuto una delle più grandi carriere nella storia del college basketball, avrebbe potuto averne una altrettanto eccezionale nei professionisti.

È durata invece, di fatto, appena l’anno e mezzo ai Portland Trail Blazers, dal 1976 a inizio 1978, e nella stagione del tramonto ai Boston Celtics 1985-86. Pur così condizionato dagli infortuni, Big Bill si è guadagnato un posto tra i grandissimi d’ogni epoca della NBA. Comunque un gigante. Dai piedi di argilla.