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NBA, Go West: la vita incantata e tormentata di un'autentica leggenda

NBA

Christian Giordano

Jerry West, giocatore, allenatore, dirigente, leggenda della pallacanestro mondiale è venuto a mancare ieri all'età di 86 anni. Per tutti "Mr.Logo", perché la silhouette ritratta nel logo della NBA è ispirata a lui, West ha attraversato più di mezzo secolo sui parquet vincendo tutto con i Lakers. E la sua storia, anche personale, rappresenta un caso del tutto unico e affascinante come pochi altri

 

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Go West, young man.

La sua vita incantata e tormentata - così ha titolato la sua struggente autobiografia - a 86 anni è arrivata "down the stretch". Alla fine, quando tutto si decide. E là, Jerry West, più di tutti è sempre stato "Mr Clutch". Prima ancora di diventare "Mr. Logo": sua la silhouette-simbolo stesso della Lega che mai gliel'ha riconosciuta, pena contenzioso legale da milionate di dollaroni. Ne aveva sempre visti pochini, la sua disfunzionale famiglia nel natio West Virginia, una delle aree rurali e minerarie più povere e depresse degli Stati Uniti. Quel ragazzino perennemente irrisolto, abusato dal padre, il fucile pronto sotto il cuscino, il fratello maggiore David sergente caduto in Corea 22enne quando lui ne aveva 12, aveva però un dono larrybirdiano: capiva il basket e il talento come nessuno, e segnava da ogni dove. Stella alla East Bank al liceo, al college trascina i Mountaineers della West Virginia University alla loro storica prima Final Four nel 1959, e da miglior giocatore perde di un punto (70-71) la finale contro California: il suo duplice, futuro destino.

Go West, young man.

Gli accadrà, dieci anni dopo, unico nella storia delle Finals NBA. Al Forum di Inglewood, era tutto pronto - palloncini gialloviola appesi al soffitto compresi - per esorcizzare la nemesi Celtics, ritenuti al capolinea. West aveva aperto la serie con doppia-doppia da 53 punti e 10 assist in gara-1 e l'ha finita con gara-7 da tripla-doppia: 42 punti, 13 rimbalzi e 12 assist. A Don Nelson, il tiro che ballonzola e finisce dentro per il titolo: per Boston l'undicesimo in 13 anni, a lui l'MVP della sconfitta più cocente nella storia delle Finali. Per lui 9, di cui 6 perse contro i leprecauni irlandesi. L'unica vinta, mezzo rotto contro i Knicks nel 1972, l'anno del 33-0, striscia record dei Lakers col vecchio Wilt Chamberlain e, dopo appena nove gare, senza più Elgin Baylor.  

Jerry e l'ossessione per il basket

Quando arrivò ai Lakers, era una big guard tiratrice di 1,97, monodirezionale dal range illimitato e un punto debole: la sinistra; che gli avversari punivano con un passo in più sulla sua destra. Ma dalle interminabili ore in solitaria da “gym rat”, ne uscì come un giocatore straordinario anche senza palla e da rilascio più rapido nell'èra pre-Curry. La sua velocità rendeva routine l'eccezionalità dei fondamentali; specie l'arresto-tiro. Le braccia lunghe e l'intelligenza superiore ne facevano un difensore letale. In quella NBA dei giochi a tre laterali, un Jordan senza elevazione.

"Non si può fermare West - diceva di lui Red Auerbach, il gran mogol di quei Celtics perenne - "Puoi provarci in tutti i modi: da vicino, da lontano, con o senza palla, e ti farà comunque 25-30 punti". Sempre All-Star in 14 anni e 932 partite in carriera, 10 volte primo quintetto NBA e quattro in quello difensivo, una volta capocannoniere e una miglior assistman.

Ha attraversato otto decenni della NBA ed è da scout, dirigente e consigliere, che ne ha scritto la contemporaneità. Ha "creato" lui Kobe, i Lakers del Threepeat con Shaq, portato alle loro prime finali di Conference i Clippers, gettato le basi per Memphis e Golden State.

Go West, old man. E che la terra - finalmente – possa esserti lieve.

 

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