I nuovi Lakers

Mentre scrivo questo contributo i Los Angeles Lakers hanno un record di 10-4, che li mette nel novero delle squadre che 'stanno andando bene'. Le virgolette sono d’obbligo: quattordici gare sono un soffio, basta un calendario fino a questo punto più clemente per produrre quel paio di vittorie in più che in termini di percezione fanno tutta la differenza del mondo. Alla gara numero 14, per dire, i Lakers di Ham della passata stagione avevano otto vinte e sei perse, e di lì a poco avrebbero portato a casa la NBA Cup. Correre alle conclusioni, quindi, è vietato. Resta la faccenda della percezione: poiché il cambio di allenatore è la novità più rilevante, la tentazione è quella di ascrivere il miglior risultato al nuovo 'manico'. Redick, d’altronde, gode di fama di 'genio offensivo', laddove Ham veniva considerato alquanto antiquato. Solo questione di immagine? Beh, l’immagine oggi conta. Fatico, per dirne una, a immaginare Darvin Ham che discetta in pubblico di teorie cestistiche con una superstar, come invece Redick ha fatto nella scorsa primavera . Occhio, però, a non far contare troppo quella immagine. Se costruire una narrazione è sport assai praticato, lo stesso può dirsi per le analisi quantitative. Lavorare con i dati è un esercizio difficile e scivoloso, ma rappresenta comunque un passo avanti rispetto al 'sentito dire'. Proviamo, a titolo di esempio, a confrontare gli attacchi dei Lakers delle ultime due stagioni. Ieri avremmo guardato quasi esclusivamente al dato dei punti segnati, che sono stati in media 118,0 nell’intera stagione 2023-2024 e sono 117,3 in queste prime quattordici gare. Tutto uguale quindi? Nossignori. Oggi nessuno dovrebbe guardare più a un indicatore antiquato, lui sì, come i punti. Se proprio si vuole guardare solo all’output, meglio usare i punti per possesso, che sono passati da 1,053 a 1,106. Detta così sembra una differenza irrilevante, ma compresa nella logica di 48 minuti è invece assai significativa. Ancora più importante è non limitarsi a guardare l’effetto, ma cercare di individuare le cause. Le ipotesi che si possono fare vanno confrontate con i dati, per avere una prima, ancorché non esaustiva, verifica della loro plausibilità. Prendiamo un concetto importante come "muovere la palla". Detto che andrebbe definito assai meglio, possiamo vedere se alcuni indicatori confermano l’impressione visiva, che ci dice che i Lakers questa benedetta palla, per adesso, la muovono un po’ di più. La tabella non rappresenta alcuna 'dimostrazione', ma ci dice che Davis e compagni la palleggiano di meno, la passano da più e creano più movimento degli uomini con blocchi lontano dalla palla, che creano tagli. I dati, come minimo, non smentiscono l’impressione. Tutto ciò tenendo conto che le azioni durano in media mezzo secondo in più. Per chiudere, tornerei alla questione dell’allenatore: uno un genio moderno e l’altro un rimasuglio del passato? Assolutamente no. Stiamo con i fatti: uno appena arrivato, e quindi vergine di servi encomi e codardi oltraggi da parte dell’infosfera, l’altro con un’anzianità di servizio maggiore. Questa differenza non spiega tutto, ma è più facile 'convincere' i giocatori all’inizio di un‘esperienza. Vale anche per Ham, con il quale peraltro la squadra ha vinto 47 gare la seconda stagione, rispetto alla 43 della prima. Quest’ultima però si è chiusa con una sconfitta in Finale di Conference, e non al primo turno, contro lo stesso avversario, Denver. Non è però, ripetiamolo ancora una volta tutti assieme, dai risultati finali di partite e stagioni che si analizza il lavoro di una squadra. Squadra che, meglio ricordarcelo, viene impostata da un allenatore, ma non da lui teleguidata. Morale? Come dicono di là, wait and see.