La rivoluzione culturale in una scarpa

Chi ha visto Air, rammenterà l'effetto teletrasporto del riff di Money for nothing nell'ouverture sonora del film di Ben Affleck: il 1984 condensato in due minuti di gagliardissimo blues-folk-pop rock, pamphlet di quella caleidoscopica stagione in cui un paio di sneakers cambieranno per sempre le regole del gioco sul solco tracciato dal verdetto emesso da Deloris Jordan: "È solo una scarpa finché mio figlio Michael non ci mette il piede". "I just called to say I love you" Quando i polpastrelli di Mark Knopfler pizzicano la ruota dentata della time-machine, una sequenza di polaroid ci proiettano in un'età dorata: s'intravede il Macintosh 128K, lanciato da Apple al Super Bowl XVIII con il fantasmagorico spot diretto da Ridley Scott che canzonava la 'dittatura informatica' dell'IBM traendo ispirazione dal distopico Nineteen Eighty-Four di George Orwell; scorrono i frame di un classico open space office da telefilm made in USA con l'immancabile cliché del dipendente afroamericano sorpreso a scoccare una freccetta avvelenata sulla foto-bersaglio del presidente Ronald Reagan fresco di rielezione ; passano in rassegna le instantanee del Principe Carlo e Lady Diana alla prima uscita pubblica con il secondogenito Harry; e ancora, l'elettrica Jane Fonda - queen dell'aerobica - in body fluo e scaldamuscoli, poster del decennio; il bagno di gloria dei Boston Celtics di Frank Layden e Larry Bird campioni NBA sui Lakers di Kareem Abdul-Jabbar e Magic Johnson; le imprese dei Ghostbusters, di Kitt & Michael in Supercar, Hulk Hogan, Mister T. alias Bosco P. E. Baracus di A-Team, semidei di un'intera generazione; ma anche i dentoni di Eddy Murphy, le musicassette degli Wham! di George Michael e Andrew Ridgeley, in vetta alle Hit Parade di mezzo mondo con Wake me up before you go-go e Careless whisper; l'antidiluviano Mattel electronic basketball e il 'citofono' Motorola DynaTAC 8000X, primo cellulare della storia venduto un tanto al chilo, con antennone in gomma formato Empire State Building e 10 ore di ricarica per il brivido di un fulmineo: "I just called to say I love you". Insomma, una gallery iconografica minuziosa e funzionale al nostro racconto, se l'ex marito di Jennifer Lopez non avesse imperdonabilmente omesso il soffio caldo di Steve Wonder - lupus in fabula - sullo svolazzante abitino di Kelly 'Marilyn' LeBrock, nostra Signora dei conturbanti Eighties. MY NAME IS SONNY VACCARO Tuttavia, il peccato originale della pellicola - ben più grave della 'censura' imposta alla visione onirica del Gene Wilder di Woman in Red - è l'aver sorvolato per tutta la narrazione cinematografica sulle radici italiane del protagonista, essenziale - e tutt'altro che invisibile - ai nostri occhi. Perché l'epocale intuizione di John Paul 'Sonny' Vaccaro - interpretato magistralmente da Matt Damon - non sarebbe bastata a convincere la Nike se spogliata della sua feroce determinazione, la 'testardaggine' che, insieme al proverbiale attaccamento per la terra d'origine, è notoriamente connaturata allo spirito di ogni calabrese che si rispetti . E se chiedete al vecchio Sonny qual è stata l'emozione più grande della sua vita non vi risponderà "l'invenzione delle Air Jordan" , ma visitare Falerna, il paese del padre, affacciato sulla costa tirrenica catanzarese. "Una volta sono andato nella chiesa dove fu battezzato - ha ricordato in un'intervista alla rivista AmericaDomani - e ho anche dormito nel letto di famiglia. It was the thrill of my lifetime". Per l'accento 'sporco', il faccione un po' stralunato alla John Belushi e quel nome da 'Godfather', destò non pochi sospetti nel primissimo colloquio con l'azienda di Beaverton, nel 1977. Ma Vaccaro, malgrado le apparenze, non aveva alcun legame con la malavita: nato a Trafford , aveva lasciato presto il football dopo una promettente carriera da running back per dedicarsi al recruiting di giovani promesse della pallacanestro e già ai tempi del college a Youngstown aveva fondato il Dapper Dan Roundball Classic, primo All-Star Game per liceali negli States, insieme al compagno di stanza Pat DiCesare, altro visionario paisà . 'Vac' diventa in fretta un riferimento per il basket scolastico e i vertici dello Swoosh - smaniosi di inserirsi nel duopolio Adidas-Converse, allora padroni indiscussi nel campo - lo assecondano nella missione di fidelizzare le nuove leve sul brand del 'baffo'. Come? Pagando gli allenatori universitari per convincere i loro allievi a 'passare' alle Nike, fornite gratuitamente dalla multinazionale dell'Oregon. Un'operazione al limite della legalità, ma formalmente 'pulita'. Un gioco da ragazzi che contribuì a far decollare il fatturato dai 29 milioni del 1973 agli 850 del 1983. Tutto sul 23 Vaccaro, inoltre, sembrò l'unico alla Nike a intuire la magnificenza di Jordan, a credere nelle sue infinite potenzialità: eppure lo shooting guard classe '63 di Brooklyn era già stato decisivo nella finale collegiale per il titolo NCAA del 1982; fu il miglior realizzatore per gli statunitensi nella cavalcata solitaria verso l'oro dei Giochi di Los Angeles, selezionato dai Chicago Bulls nel Draft 1984 come terza scelta assoluta e un contratto di 7 anni per 6 milioni di dollari, il terzo più alto nell'epopea dell'NBA. Ed è qui che il sangue calabrese di Sonny farà la differenza: a costo di giocarsi il posto di lavoro, contravvenendo alle strategie del management e forzando la resistenza dell'agente di MJ, David Falk, chiese e ottenne di procedere all-in sulla smilza e non proprio altissima guardia newyorkese. Che, tuttavia, era innamorato delle tute e di tutto lo sportwear griffato Adidas da quando era un bambino: e chi meglio della mamma avrebbe potuto fargli cambiare idea... "Avevo pranzato con Michael al Tony Roma's di Manhattan - confidò Vaccaro a Vanity Fair America - ma era chiaro fin dall'inizio che mi avesse incontrato soltanto per un favore a George Raveling, suo assistente allenatore nella squadra olimpica e mio testimone di nozze. Lui chiamava Nike "Nicky" e considerava i 'tedeschi' migliori di noi, così mi giocai l'ultimissima carta: mi procurai il numero e chiamai direttamente la madre Deloris. Che, alla fine, con il benestare del marito James e del figlio, accettò la mia proposta: Michael sarebbe stato il nostro primo signature athlete a due milioni e mezzo di dollari in cinque anni, tra premi e bonus". Una cifra da capogiro per una matricola, un contratto reso ancora più ricco dalla condizione - accordata - posta dalla signora, impiegata di banca: il 25 per cento su ogni paio di scarpe vendute! "I colori del diavolo" Fu la prima impressione che Jordan ebbe al cospetto delle sue Air Jordan 1 rosse e nere disegnate da Peter Moore a sua immagine e taglia e indossate il 17 novembre contro i Philadelphia 76ers. Perché, effettivamente, erano dei colori 'proibiti' dalla franchigia, che pretendeva almeno il 51% di bianco: pena, 5mila dollari di multa. Che a Beaverton furono ben contenti di pagare per l'intera stagione, ribaltando argutamente il divieto al momento del lancio delle 'sovversive' sneakers sul mercato - nella primavera del 1985, al prezzo di 65 dollari - con una trovata pubblicitaria d'antologia: "Nike - recitava la pubblicità - ha creato una nuova, rivoluzionaria, scarpa da basket. Ma l'NBA le ha vietate sui parquet. Fortunatamente per voi, l'NBA non può vietarvi di indossarle". In meno di due mesi le 14 colorazioni originali sfornate in Oregon - tra cui le Chicago e le Bred - fruttarono 70 milioni di dollari. Per vederle in Italia dovemmo aspettare l'estate, quando Michael - in tour promozionale - si esibì in tre match dimostrativi e il 25 agosto a Trieste improvvisò, live, il più diabolico degli 'spot', mandando in frantumi il tabellone con una schiacciata. Per rendere l'idea, 35 anni più tardi la casa d'aste Christie’s avrebbe battuto il modello che calzava al palazzetto di Chiarbola per 615mila dollari e la canotta arancionera - con autografo e dedica all'allora presidente della Stefanel - a 570 mila. Direte, briciole in confronto a tutto il resto... His Airness Già. Le collaborazioni con Spike Lee e il Be like Mike che sarà un tormentone estivo nel 1991, quando si aggiudicò il primo anello con i Bulls delle due collezioni private di three-peat. Fa' la cosa giusta, le Jordan V di Willy, il principe di Bel-Air, Space Jam, i videoclip con Michael Jackson, la stessa eredità di Kobe Bryant, nuovi testimonial di respiro planetario , l'influenza sulla cultura pop globale immutata, confermata dal successo del documentario The Last Dance. "Non era mai successo che uomini bianchi di mezza età, conservatori, accettassero che i loro figli appendessero i poster di un nero nello loro camerette", spiegò il giornalista David Aldridge. "Divenne più di un giocatore di basket". Nel 1999 fu eletto da ESPN "il più grande atleta nordamericano del XX secolo", ma se ancora oggi continua a incassare 4 miliardi di dollari all'anno soltanto dalle calzature - che non presentano più lo Swoosh ma solo il Jumpman - lo deve anche a un simpatico signore di sangue calabrese, con la "testa tosta comu 'o muru, ma 'o cori grandi quantu u mari".

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La rivoluzione culturale in una scarpa

Alfredo Corallo