Cosa è rimasto del fascino dell'All Star Game NBA?

C’era una volta l’All Star Game che nacque il 2 marzo 1951 al Boston Garden per intuizione dell’allora direttore marketing Haskell Cohen e del commissioner Maurice Podoloff, con l’obiettivo di generare interesse in un periodo in cui il basket professionistico faticava a competere con il baseball e il college. C’era una volta un evento in cui se le davano di santa ragione, giocavano per davvero e alimentavano le rivalità: Russell-Chamberlain, Lakers-Celtics ma anche Est vs Ovest. Poi arrivò quella data, il 13 febbraio 2004, il giorno in cui per la prima volta si intravide che l’All Star Game non sarebbe più stato lo stesso. In campo c’erano i Rookies vs i Sophomores, una nidiata fantastica: LeBron James, Dwyane Wade, Carmelo Anthony ma anche Amare Stoudemire e Manu Ginobili. Gli ultimi due minuti di partita, seppur in pieno garbage time, si trasformarono in una deprimente gara delle schiacciate tra errori grossolani e giocate sopra il ferro senza alcun intervento delle difese. I giocatori diventarono dei toreri che si scansavano per favorire quel presunto spettacolo. Certo, vedere il nuovo fenomeno della NBA LeBron James volare sopra il ferro era una bella emozione, ma senza sforzo e senza impegno in difesa i colori sembravano un po’ sbiaditi. Se ne accorsero solo un paio di telecronisti a bordo campo, un segnale che quella nuova generazione, associata all’esplosione di internet e dei social media, stava mandando: di lì a poco l’ All Star Game avrebbe perso il suo fascino, la rivalità e il conseguente interesse del pubblico televisivo che si avvicinò a questo sport anche grazie alle prime partite delle stelle. Nel 1962 Wilt Chamberlain segnò 42 punti, stabilendo un record che durò per decenni; il buzzer beater di Jerry West del 1972 che regalò la vittoria all’ Ovest per 112-110 venne accolto come un autentico miracolo scolpito nella storia. Gli anni '80 diventarono il palcoscenico di Magic e Bird, portando l’All-Star Game a un nuovo livello di spettacolo. Il mio primo ricordo nitido della partita delle stelle risale al 1987, quando proprio Magic vinse l’MVP con 39 punti e 16 assist, mostrando il suo caratteristico stile di gioco spettacolare senza mai risparmiarsi. E che dire dell'epica sfida tra Michael Jordan e Dominique Wilkins nella gara delle schiacciate del 1988, ancora oggi una delle più iconiche dell'All-Star Weekend. Storie come quella del 1992, il commovente ritorno di Magic dopo essersi dichiarato positivo, aiutarono a incrementare l'interesse nei confronti di un evento che per quell’epoca, priva di esposizione digitale, era la vera vetrina dei giocatori. Il momento in cui mostrarsi al mondo e vendere il proprio brand. Dunque si giocava per davvero, per dimostrare che “io sono più forte di te”, cosicché tutti ne avrebbero parlato per mesi. Tanto se poi tu mi avessi battuto una settimana dopo in regular season, quella partita mica l'avrebbero vista tutti. Al massimo si poteva recuperare il box score su qualche rivista specializzata. Trovare quattro giocatori attraenti per la gara delle schiacciate oggi è diventata un’impresa impossibile, mentre negli anni ’80 Michael Jordan non solo non avrebbe mai mancato l’appuntamento, ma voleva maledettamente vincerlo quel trofeo. La gara venne introdotta tardi , ma se andate a sfogliare l’albo d’oro dei vincitori troverete una sorpresa. Dopo la vittoria di 'Doctor J' durante l’All Star Game ABA del 1976, la NBA l’anno successivo decise di introdurla con una formula quasi magica. 22 partecipanti dai nomi altisonanti: Kareem Abdul-Jabbar, Julius Erving, George Gervin, Moses Malone ed Elvin Hayes che si affrontarono nel corso degli intervalli delle gare di regular season, con i due migliori a contendersi il titolo il 5 giugno del 1977 a Portland, durante l’intervallo di una gara delle Finals. L’ex giocatore ABA Darnell 'Dr. Dunk' Hillman ebbe la meglio su Larry McNeill. Ma al termine di quella finale Hillman ricevette 'solo' il cospicuo premio da 15 mila dollari. Dovette aspettare 40 anni per vedersi recapitare il suo trofeo, che gli venne consegnato solo nel 2017. Ma perché oggi le star della NBA non partecipano più alla gara delle schiacciate? Zion Williamson, Ja Morant, Anthony Edwards o ancor prima LeBron James, tra skills tecniche e atletiche, avrebbero tutto il pacchetto necessario per regalare spettacolo ad alta quota. Ma i grandi nomi hanno più da perdere che da guadagnare: una brutta prestazione potrebbe danneggiare la loro immagine. Michael Jordan e Dominique Wilkins hanno costruito la loro legacy anche attraverso la gara delle schiacciate negli anni ’80, oggi invece le superstar preferiscono concentrarsi sulle prestazioni in campo. Non ci sono premi o incentivi abbastanza attraenti per convincerli. In passato, il prestigio era sufficiente, ma con le cifre di oggi, tra stipendi e sponsor, non sarà una vittoria in questa gara ad aggiungere valore alla loro carriera, anzi. Una brutta figura li esporrebbe alla gogna mediatica, dunque meglio starne tristemente alla larga. Tornando alla partita della domenica, la NBA quest’anno introdurrà l’ennesima novità: il quadrangolare. Durante il Paris Game, nella classica conferenza stampa pre partita, il Commissioner Adam Silver, stuzzicato dai giornalisti, è tornato sull’argomento. Alla proposta di una sfida Usa vs Resto del Mondo, Silver ha risposto così: “Stiamo esplorando l’ipotesi e forse un giorno la adotteremo, ma solo il 30% dei giocatori NBA è internazionale, mentre il restante 70% è rappresentato da americani. Vogliamo dunque rispettare un principio di selezione leale, il motivo per cui oggi non abbiamo ancora intrapreso questa strada”. Ma siamo sicuri che un “Noi vs Voi” basterebbe a riaccendere le fiammella della competitività? Spoiler, no. Dunque l’esercizio migliore che possiamo fare è accettare il cambiamento, riconoscendo che quegli All Star Game non torneranno più, e che questo di San Francisco e i prossimi andrebbero riconosciuti per quello che sono: una grande festa della NBA, magari introducendo ulteriori challenge. Ed ecco la mia folle proposta: un torneo di 1 vs 1 con i presunti 8 migliori giocatori della NBA, primo premio da 20 milioni di dollari più una buona percentuale da devolvere anche in beneficienza. Se metti in campo LeBron, Steph, Edwards, Ja Morant e tutti gli altri big è impossibile non trovare uno sponsor che copra quel montepremi. Ma i giocatori sarebbero disposti a mettere in ballo la propria legacy nell’epoca in cui Internet non perdona? Resterebbe più l’iconica vittoria del re degli 1vs1 o la vergogna dei sette sconfitti? Temo più la seconda, lasciando al bar i discorsi su chi è il più forte di tutti. La festa del basket NBA 2025 passa da San Francisco, godiamocela sforzandoci di trattarla per quello che è: un meraviglioso spettacolo pirotecnico con i migliori giocatori del pianeta, in attesa di rituffarci nella stagione più incerta di sempre e goderci il momento dove si costruisce la vera legacy dei giocatori. I playoff NBA.

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Cosa è rimasto del fascino dell'All Star Game NBA?

Alessandro Mamoli