Dubbi & certezze: Bucks e T’Wolves alla ricerca dell’anima

Più domande che risposte, più dubbi che certezze. Mancano meno di due mesi alla fine della regular season e la situazione è questa. Non c’è quasi nulla di definito, di cristallizzato. Se ne possono facilmente rendere conto sia l’appassionato sia l’osservatore occasionale. La maggior parte delle squadre che lo scorso 22 di ottobre si sono messe in marcia alla volta delle Finals con ambizioni imperiali è ancora alla ricerca della propria anima - e alcune continueranno a cercarla disperatamente fino alla fine. Cleveland, Boston, Oklahoma City e Denver hanno faticato a trovarla e ora se la tengono stretta; New York l’anima ce l’ha, ma probabilmente solo in parte; Indiana l’ha ritrovata; Detroit ha scoperto di possederla, ma forse le squadre davvero interessanti in questo momento della stagione sono altre. A renderle tali, il fatto di essere imperfette. Sono quelle di cui ci siamo occupati nell’ultima puntata di Basket Room Talk. Una di queste è sicuramente Milwaukee. È possibile che una squadra riesca improvvisamente a rendersi conto di poter essere realmente competitiva, ma non è detto che accada davvero. Ciò che accadrà – o non accadrà – nei playoff possiamo invece cominciare a percepirlo e a immaginarlo adesso. I Bucks continuano a trasmettere sempre – o quasi sempre - la sensazione che ci sia qualcosa che non funziona. Ma perché i Bucks non funzionano? Perché Antetokounmpo e Lillard insieme non riescono a giocare, sono come acqua e olio che, come è noto, non si mescolano. “La scelta di Milwaukee – dice Tommaso Marino - è stata chiara, perché prendere Damian Lillard e fare a meno di Holiday significa avere l’intenzione di segnare un punto in più degli avversari. Funziona? Sì e no, perché con Lillard in difesa ci sono dei grossi problemi e Lopez non è più lo stesso giocatore di prima. Messo in mezzo a così tante situazioni di closeout non può non fare fatica. I problemi ci sono anche in attacco, soprattutto quando non si gioca in movimento. E Giannis è una superstar con cui può non essere così semplice giocare”. “In più – aggiunge Mauro Bevacqua – adesso è arrivato Kyle Kuzma, non esattamente un difensore. Ecco, Kuzma e Lillard insieme forse rappresentano un lusso che Milwaukee non si potrà permettere”. Basta spostarsi un po’ più a ovest, da Milwaukee a Minneapolis e dallo spogliatoio dei Bucks a quello dei T’Wolves, per trovare un’altra versione cestistica del concetto di acqua&olio. Anche Minnesota non ha ancora deciso cosa vuole fare da grande. L’anno scorso l’anima c’era. Era luminosa, evidente, così potente da avvolgere i T’Wolves e trascinarli alla finale di Conference. Ora la luce è fioca e Anthony Edwards sembra vivere nell’incertezza. “È difficile giocare così – ha detto la stella dei T’Wolves – perché io sono programmato per fare canestro, ma in questo momento in campo non mi sto divertendo. Vengo costantemente raddoppiato ed è una cosa davvero frustrante. Gli avversari riescono a farci male e io non posso fare altrettanto”. “La realtà – sottolinea Matteo Soragna, è che Edwards ha dei tempi di lettura poco adatti a fronteggiare certe situazioni. A fare la differenza in termini di alto o basso valore di un tiro sono la qualità degli isolamenti e quella dello spacing. E se oltre a Edwards in campo c’è anche Julius Randle la qualità non è alta. Minnesota troppo spesso non riesce a giocare una pallacanestro efficace”. Più domande che risposte, come si è detto, ma forse oggi è decisamente più interessante navigare insieme a Milwaukee e Minnesota. Anche se il mare non è poi così calmo. Ci sono squadre più rassicuranti, lo sappiamo. Boston gioca a memoria, i Thunder fanno a pezzi qualsiasi avversario, i Cavs sono più precisi e puntuali dei treni delle ferrovie giapponesi. Oggi il panorama a Milwaukee e Minneapolis – e pure a Los Angeles – è mutevole, ha contorni incerti, il tempo è variabile. Le certezze latitano, i dubbi abbondano, l’ignoto affascina. Ecco perché a meno di due mesi dalla fine della regular season, può essere più divertente abbracciare l’incerto e l’imprevedibile.

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