Alex Caruso: "Sono malato di basket, lo amo come il primo giorno"

Parlando delle Finals: cosa si fa dopo una partita come gara-3? La si riguarda subito, si vedono solo filmati, non si guarda niente: come funziona? "Io non guardo nessun filmato la notte dopo la partita, preferisco staccare. Dopo gara-3 siamo andati alla cena di squadra insieme al resto del gruppo di viaggio e ai membri della nostra famiglia. Quindi abbiamo cercato di distrarci dall'idea di quello che era appena successo. Poi ci si sveglia dopo averci dormito un po’ su e si riguardano i filmati per cercare di capire, entro i margini del gioco, dove si può migliorare". Pensate di dover cambiare molto schematicamente, oppure semplicemente fare meglio le cose che vi hanno portato qui? "Penso sia meglio fare quello in cui siamo bravi. Anche nell’ultima partita a volte abbiamo giocato il nostro basket, e quando lo abbiamo fatto, abbiamo avuto successo. Ma non lo abbiamo fatto abbastanza a lungo. Le volte in cui non abbiamo giocato secondo i nostri standard, siamo rimasti fermi troppo a lungo e loro sono stati in grado di correre e in un certo senso di prendere il sopravvento". Nei playoff bisogna affrontare lo stesso avversario più volte. Esiste un modo per provare a sorprenderlo? "In realtà stavo proprio per per dire che non ci sono sorprese nei playoff. Sai praticamente a memoria cosa piace fare all'altra squadra e cosa piace fare ai loro giocatori. Potrebbero esserci uno o due cambiamenti da una partita all’altra, ma più che altro bisogna andare là fuori, competere al più alto livello ed eseguire al meglio ogni possesso. Normalmente la squadra che lo fa meglio, e più costantemente, vince la partita. E penso che sia probabilmente il motivo per cui loro sono riusciti a vincere gara-3". Voi come squadra siete molto equilibrati dal punto di vista emotivo. Da dove deriva? "Penso che parte di questo atteggiamento abbia a che fare con i giocatori che abbiamo. Shai è il nostro leader ed è un ragazzo molto stoico, molto mite: pur essendo molto competitivo, non prova mai a essere diverso da quello che è. Noi come squadra seguiamo quel tipo di atteggiamento. E poi Mark [Daignault] fa un ottimo lavoro nel mantenendoci mentalmente nella giusta concentrazione e nel giusto stato d'animo per capire dove siamo e cosa dobbiamo fare per andare avanti, indipendentemente dal fatto di aver giocato bene o male, di aver perso o di aver vinto. Sono loro due a fare un ottimo lavoro nel guidarci da questo punto di vista". Ti piace la parte intellettuale del basket? Pur giocando da diversi anni, senti ancora il bisogno di andare più a fondo? "Sono sicuramente un malato di pallacanestro: dopo tutto questo è il mio primo amore, il gioco che ho sempre amato. Guardo sempre partite di NBA o del college anche solo per divertimento. Adoro il gioco del basket, le sue complessità, le sue differenze. Dopo otto o nove anni di professionismo cerco di capire cosa stanno cercando di fare le squadre, come attaccano certi giocatori e cosa cercano di fare in difesa. E poi a me piace proprio guardare i grandi giocatori giocare: è la parte del gioco che mi piace di più". Non posso fare a meno di chiederti delle tue radici italiane. Da dove arrivano? "Mia nonna era italiana al 100% e mio padre solo al 50%, quindi direi che sono italiano per un quarto. Le radici della mia famiglia sono nell’Italia meridionale, nel sud della Sicilia. So di avere parte della mia famiglia allargata da qualche parte laggiù che risalgono a un paio di generazioni fa. Ma questo è praticamente tutto quello che so". E non ci sei mai stato? "Sono stato in Italia ma non ancora in Sicilia. Sono andato in Italia con il mio college, quando ero a Texas A&M: abbiamo fatto una sorta di tour precampionato in cui siamo andati a Roma e a Sorrento".

Cosa vedere:

Come vederlo:

Online con Sky:

Alex Caruso: "Sono malato di basket, lo amo come il primo giorno"