Il licenziamento di Nico Harrison non è legato solo a Doncic

Nella bio del profilo Instagram di Nico Harrison ci sono solo tre parole. Le prime due sono 'Girl dad', un riferimento alle sue due figlie ma anche al modo in cui il suo grande amico Kobe Bryant si riferiva a sé stesso; la seconda è 'Unemployed', disoccupato. È l’unico commento pubblico, se così vogliamo definirlo, dato dallo stesso Harrison dopo il licenziamento dai Dallas Mavericks di questa settimana, deciso e comunicato dal proprietario Patrick Dumont nella giornata di mercoledì. Considerando il modo in cui si è arrivati a quel licenziamento, viene da chiedersi se qualcuno all’interno della NBA vorrà mai più dargli un posto di lavoro, visto che ormai il suo nome è tristemente destinato all’ignominia. Il dizionario definisce ignominia come “stato di vergogna e di universale disprezzo in cui una persona viene a trovarsi per aver compiuto atti disonorevoli”. Nico Harrison non ha compiuto alcun atto disonorevole, almeno dal punto di vista legale, ma scambiare Luka Doncic nel pieno dei suoi anni è stata considerata pressoché unanimemente come il peggior scambio nella storia dello sport contemporaneo, e non ha fatto altro che peggiorare con il passare del tempo. Soprattutto i tifosi dei Dallas Mavericks non avevano alcuna intenzione di dimenticarselo, subissandolo di cori e fischi a ogni partita tanto da rendere l’ambiente non più sostenibile, contribuendo alla decisione di Dumont. Intendiamoci: il problema non è solo aver scambiato Doncic , ma averlo scambiato in quella maniera e aver dato delle giustificazioni così scarse. Se Harrison, invece di limitarsi a parlare solo col suo amico Rob Pelinka, avesse messo Doncic sul mercato e ne avesse ricevuto una quantità storica di asset, sia in termini di giocatori che di scelte future, sarebbe stata un’altra cosa. Magari comunque non consigliabile, ma sicuramente meglio di un 'pacchetto di ritorno' limitato a Anthony Davis , Max Christie e una scelta al Draft nel 2029 . Le parole di Nico Harrison per giustificare quello scambio sono già diventate dei 'running joke' tra gli appassionati di NBA. Il mantra “Defense wins championship”, ripetuto fino allo sfinimento per giustificare lo scambio, fa riferimento a un assioma che ormai nella NBA del 2025 non vale più: i dati infatti dicono chiaramente che per vincere il titolo bisogna essere nella top-10 tanto in attacco quanto in difesa, con pochissime eccezioni. Uno sbilanciamento verso una delle due metà campo porta inevitabilmente a vedere evidenziati i propri difetti con l’andare dei playoff, sempre che si riesca a fare strada. La stagione dello scorso anno è andata malissimo, con la rottura del legamento crociato anteriore di Kyrie Irving e i mille problemi fisici di Anthony Davis, venendo eliminati al torneo play-in dai Memphis Grizzlies nonostante i 40 punti di AD. Col senno di poi si è trattata di una benedizione, visto che le palline della Lottery hanno ricompensato l’incompetenza dei Mavs con la prima scelta assoluta al Draft pur avendo solo l’1.8% di possibilità di vincerla. Invece di fare un bagno di umiltà - d’altronde, se vinci la Lottery con una tua scelta, significa che sei rimasto fuori dai playoff nella stagione precedente - e ringraziare la sorte, Harrison ha fatto il giro di tutti i media sostenendo che “la fortuna aiuta gli audaci” e che “i tifosi finalmente stanno iniziando a vedere la visione”. Frasi che, se possibile, hanno alienato ulteriormente la tifoseria dei Mavs: è come se Harrison si stesse prendendo i meriti della sua stessa incompetenza. Ma se i tifosi si sono schierati da subito in massa contro Harrison, con manifestazioni di disprezzo pubblico anche piuttosto rare per il modo in cui si segue lo sport negli Stati Uniti, la proprietà Dumont si è fidata ciecamente del capo della dirigenza. “In Nico we trust” sono state le parole di Patrick Dumont dopo lo scambio di Doncic, tagliando fuori l’ex proprietario Mark Cuban , continuando a tenere duro fino a quando la situazione non è diventata però insostenibile. Perché Harrison, dopo la trade di Doncic, ha cominciato a inanellare un errore dietro l’altro. Lo stesso dirigente che ha costruito la squadra capace di arrivare in finale nel 2024 con due movimenti di mercato intelligentissimi come le acquisizioni di PJ Washington e Daniel Gafford, ha continuato a costruire la squadra come se ci fossero Doncic e Irving in campo a guidarla. Il roster dei Mavs è pieno di giocatori sovra-dimensionati per il loro ruolo, ma manca completamente di ball-handling: il miglior palleggiatore della squadra, D’Angelo Russell, è finito velocemente fuori dalle grazie di coach Jason Kidd, che in più di un’occasione gli ha preferito un rookie come Ryan Nembhard pur di non metterlo in campo. E quando non c’erano loro, a Cooper Flagg è stato chiesto di creare dal palleggio come se fosse Doncic, cosa che evidentemente non è. Il risultato è che i Mavs, complici anche gli infortuni tra cui quello di Davis al polpaccio, hanno il peggior attacco in una lega in cui squadre come Washington e Brooklyn chiaramente non hanno alcuna intenzione di vincere. Dallas ha la quarta miglior difesa della NBA, certo, ma se non fai mai canestro - sotto il 51% effettivo al tiro di squadra, solo Indiana e New Orleans fanno peggio - poi perdi le partite. Il susseguente record di 3 vittorie e 8 sconfitte è stata la pietra tombale sull’esperienza di Harrison a Dallas , ma c’è anche molto altro dietro le quinte. Harrison ha anche sbagliato diverse assunzioni nello staff della squadra, prendendo persone non qualificate al ruolo richiesto - ad esempio Victoria Martínez, assunta come capo delle pubbliche relazioni nel febbraio del 2024 provenendo dall’FBI e considerata da molti inadatta a gestire una situazione spinosa come quella della cessione di Doncic senza esperienza nel mondo dello sport - e invece licenziando, spesso in maniere discutibili, persone invece molto rispettate nella squadra, specialmente nello staff medico. “Harrison è uno molto suscettibile: se vai contro le sue opinioni in qualsiasi maniera, con lui è finita” ha detto un ex dipendente dei Mavs a The Athletic. In più Harrison nel corso del tempo ha perso anche un alleato prezioso come Jason Kidd, specialmente dopo il modo in cui è stato costruito il roster di quest’anno con il solo D’Angelo Russell come ball-handler nel reparto delle guardie. Kidd ha flirtato a lungo in estate con i New York Knicks, salvo ricevere un’estensione di contratto che ha aumentato ulteriormente il suo potere all’interno dei Mavs, tanto da avere un accordo più remunerativo e più lungo rispetto a quello dello stesso Harrison. Se a questo aggiungiamo anche il ritorno in auge di Cuban e il progressivo scollamento coi giocatori , si capisce perché il GM era destinato a essere fatto fuori. Il licenziamento di Harrison, quindi, va ben al di là del disastroso scambio di Doncic, anche se inevitabilmente il suo nome passerà alla storia come “quello che ha scambiato Doncic ai Lakers”. Un’etichetta impossibile da togliersi di dosso e che molto probabilmente lo costringerà a riciclarsi in un altro campo o, se proprio vuole rimanere nel basket, con un ruolo da consulente molto dietro alle quinte, perché il suo profilo è bruciato agli occhi del grande pubblico. Al netto di tutti i suoi errori, che sono inequivocabili, bisogna però mettere in chiaro una cosa: Nico Harrison non ha ceduto Doncic, la proprietà dei Dallas Mavericks lo ha fatto. Harrison ha avuto l’idea, ha portato avanti la trattativa in maniera sbagliata, ha trovato l’accordo e poi lo ha portato davanti al suo proprietario, ma era Dumont a dover dire sì o no. E ha detto sì, perciò la colpa è anche - se non soprattutto - sua. Chissà però se la storia si ricorderà di questo particolare.

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Il licenziamento di Nico Harrison non è legato solo a Doncic

Dario Vismara