Nella Eastern Conference stanno cambiando le gerarchie

Se si guarda alla Eastern Conference, una premessa è d’obbligo: nessuno avrebbe mai immaginato dopo quasi 20 partite di arrivare a questa situazione di classifica. L’Est è caotico ma molto interessante, con tante situazioni particolari che hanno disatteso quello che avrebbe potuto essere un ipotetico power ranking di inizio stagione. Boston e Indiana, per esempio, senza Tatum e Haliburton, si sapeva che avrebbero fatto fatica, ma chi si immaginava di trovare Cleveland e New York in lotta con Miami e Toronto? Tutte all’inseguimento dei Detroit Pistons, tra l’altro. Tre squadre, tre storie, che stanno approfittando del momento per guidare la Eastern Conference. DETROIT PISTONS Detroit è davanti a tutti con un progetto giovane e ben definito, con giocatori in fase di sviluppo e scelti al draft nel corso del tempo, una squadra ‘fatta in casa’ che ha quindi ancora ampi margini di miglioramento. Tutti ai piedi di Cade Cunningham e Jalen Duren: per il lungo questa è la breakout season, la stagione della consacrazione ; per la guardia invece, già nell’élite NBA, una conferma ancora più ad alto livello di quanto di buono fatto vedere l’anno scorso. Sono un roster sì ancora in fase di sviluppo ma che ha già fatto vedere buone cose a livello di gioco, lasciando intendere che ci sia la disponibilità della squadra a seguire i dettami tattici di coach Bickerstaff: un dettaglio da non trascurare in ottica futura, per una squadra che non ha ancora raggiunto il suo pieno potenziale. La sconfitta contro Boston ha fermato il filotto a 13 successi in fila, per un record al momento di 15-3 che è sia frutto dell’autostima – e non potrebbe essere altrimenti dopo gli ultimi anni terribili – sia una normale fase del processo di crescita, maturazione e capacità di assimilare le esperienze passate. Gli manca ancora uno step, che dipende tanto da Cade Cunningham. Ma non solo. Ho la sensazione che l’idea dei Pistons sia di costruire un impianto di gioco come quello dei Thunder con Gilgeous-Alexander: una squadra rodata, con un leader consolidato che mantiene la sua identità pur avendo rotazioni molto lunghe. Il contorno, non serve dirlo, è impreziosito dalla presenza di Jalen Duren, con cui ha un’intesa eccezionale. Il prodotto della University of Memphis – che ha solo 22 anni, è bene ricordarlo – migliora a vista d’occhio: oggi sa mettere palla a terra e fare più di tre palleggi fronte a canestro, un dettaglio non da poco per una fisicità di quel tipo. Manca ancora qualcosa da quello che idealmente dovrebbe essere il ‘terzo violino’ della squadra, quell’Ausar Thompson che sta maturando un po’ più lento del gemello a Houston ma che ha le potenzialità per diventare un bel giocatore. Insomma, a Detroit sorridono, perché il futuro promette molto bene. Ma non chiedetegli di uscire vincitori dalla Eastern Conference, non ancora almeno. Perché non siamo nemmeno a un quarto della stagione regolare, e le ‘vere’ candidate, come possono essere i Knicks e i Cavs, non sono ancora al massimo del loro potenziale. Meglio riparlarne tra qualche settimana. Conviene anche ai Pistons. TORONTO RAPTORS Mai avrei pensato di trovare a fine novembre i Toronto Raptors al secondo posto . Bravissimi ad approfittare delle ‘confusione’ a Est, dei passi falsi di franchigia che dovrebbero essere più avanti, come Orlando, Atlanta e Milwaukee. Credo che andando avanti nel corso della stagione altre squadre più attrezzate arriveranno dalle retrovie, infortuni permettendo. Ciò non toglie che i Raptors stiano facendo benissimo: hanno ripreso quell’idea di pallacanestro che era nata tre/quattro stagioni fa, quella del basket positionless, dove i ruoli dall’1 al 4 sono occupati da giocatori intercambiabili, molto simili fisicamente l’uno con l’altro. Allora non aveva fruttato, oggi evidentemente il materiale è più consono per questa idea di pallacanestro. L’equilibrio di squadra è ottimo, i giocatori di riferimento, che sono Brandon Ingram, RJ Barrett e Scottie Barnes si completano molto bene. Soprattutto Barnes sta maturando lo status di stella di questo roster: è e sarà l’uomo franchigia per i prossimi anni. Ripeto, rimango scettico che possano mantenere questa posizione fino alla fine, ma mai avrei pensato di vederli nemmeno in zona play-in. Perciò bravi loro e bravo coach Darko Rajakovic, che ha saputo costruire una squadra divertente e funzionale con il materiale a sua disposizione, per quanto servirà ancora tempo: i punti cardine per il futuro di Toronto sono ancora da individuare. MIAMI HEAT Miami è una squadra ‘curiosa’, perché ha totalmente rivoluzionato la sua pallacanestro. Dalla scorsa stagione a questa, per fare un esempio tecnico, ha dimezzato il numero di blocchi che porta all’interno di ogni azione. Un’altra novità è il loro ritmo: stanno avendo molto spesso la tendenza a tirare nei primi otto secondi dell’azione, giocando tantissimi 1 contro 1. Questo approccio da un lato mette a proprio agio quei giocatori che si sentono liberi di attaccare e di agire d’istinto; dall’altro invece la mancanza di un gioco ‘strutturato’ porta a esagerare nella scelta di tiro, rischiando con conclusioni affrettate, poco costruite e a bassa percentuale di realizzazione. Il gioco degli Heat è stato 'semplificato' per venire incontro alle esigenze di un roster che può contare su diversi giocatori di talento, abili a creare pericoli dal palleggio, che hanno bisogno di avere la sfera tra le mani per restare in ritmo. Vedremo cosa ne sarà di questo equilibrio con il rientro di Tyler Herro, che ha saltato per infortunio il primo mese di regulas season. Storicamente con lui in campo Miami ha un rendimento altalenante, ciò non toglie che sia un giocatore che palla in mano sa costruire sia per sé sia per gli altri e che in questo sistema potrebbe incastrarsi benissimo. Coach Spoelstra sta cambiando in maniera ragionata l’identità della sua squadra, anche in ottica futura: nelle ultime stagioni Miami è stata squadra da play-in, serviva cambiare e sperimentare per capire a che punto è questo roster, se ha ancora qualcosa da dare o se conviene pensare a una prossima ricostruzione. Certo è che, in caso dovessero arrivare ai playoff, tra la Heat Culture e la bravura del coaching staff, potrebbero essere una bella mina vagante.

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Matteo Soragna