L’NBA di Federico Gallinari: "Sogno un futuro negli Usa con Danilo"

In Michigan in questo periodo la temperatura scende spesso e volentieri sotto lo zero, con pioggia, vento e qualche fiocco di neve che nel periodo delle feste fa molta atmosfera. Sul parquet della NBA, invece, in Michigan sono 'on fire', come si dice, grazie alla stagione della consacrazione per i Detroit Pistons, che con un record di 24 vittorie e 6 sconfitte dopo più di un terzo di stagione guardano tutti dall'alto, sognando un secondo turno di playoff che manca addirittura dal 2008. Merito di questo successo è anche di Federico Gallinari, player development coach per i Pistons, ormai da un decennio in Michigan e pezzo importante del presente e del futuro dell'organizzazione. Federico è l'unico 'Gallo' rimasto in NBA, almeno per ora, ma chissà che tra qualche anno la colonia di italiani possa allargarsi, dentro e fuori il campo. Federico Gallinari, l’ultima volta ci eravamo sentiti ad aprile, alla fine della regular season. Cosa è cambiato per te in questi mesi? “Il grosso del lavoro è rimasto lo stesso: mi occupo sempre di player development, quindi sempre di attività sul campo con i giocatori. Li seguo durante i workout e a livello video, studiando cosa e come possono migliorare per arrivare alla partita nel modo giusto. La grossa differenza è nel numero dei giocatori: la scorsa stagione lavoravo a stretto contatto con uno/due atleti, mentre quest’anno sono diventati in tutto sei, che si alternano tra G-League e contratti Two-Way. Il lavoro di pianificazione è aumentato parecchio” Cosa è cambiato invece per Detroit? L’anno scorso di questi tempi avevate uno storico di 13-17, oggi invece siete 24-6, in testa alla Eastern Conference. “Dal mio punto di vista non c’è stato un vero e proprio cambiamento. La scorsa stagione è stata di ‘ristrutturazione’, di ripartenza. Un anno dove l’intenzione principale era mettere delle basi solide e creare una cultura che potesse durare nel tempo e cancellare il periodo delle sconfitte. Il cambiamento, se così vogliamo chiamarlo, c’è stato nel 2024: nuovo staff, nuovo allenatore e soprattutto nuove idee. Oggi stiamo raccogliendo i frutti del lavoro della stagione passata, portando avanti un percorso di crescita e di consolidamento: vogliamo ricreare l’anima della Detroit cestistica, quella dei ‘Bad Boys’ di fine anni Ottanta, tra difese feroci e faccia tosta” È cambiato, in parte, anche il roster. Simone Fontecchio ha lasciato Detroit, accasandosi ai Miami Heat. Vi siete sentiti di recente? “Ci sentiamo sentiti un paio di settimane fa, per il suo compleanno. Si sta trovando molto bene a Miami. Intanto perché sia la temperatura sia la città sono più godibili rispetto a Detroit. E poi perché ha un rapporto super con il coach: Spoelstra gli sta dando fiducia e minuti, lui lo sta ripagando giocando molto bene. Rispetto all’anno scorso, dove qui ai Pistons aveva poco spazio, è più sereno e più leggero mentalmente” Da un italiano all’altro, hai avuto modo di scambiare anche qualche battuta con Riccardo Fois , dopo la vittoria di New York in NBA Cup? “Assolutamente sì. Gli ho mandato prima di tutto un messaggio di congratulazioni, vincere un trofeo al primo anno è un traguardo enorme, a maggior ragione in una piazza come quella dei Knicks. Ha ribattuto dicendo che sono stati fortunati perché noi non c’eravamo. Spero di trovarli ai play-off, abbiamo una serie in sospeso dalla scorsa stagione e vogliamo riscattarci” Dame Sarr a Duke, Maikcol Perez a Baylor, Achille Lonati a St.Bonaventure, solo per citarne alcuni. Cosa pensi di questa nuova generazione che si sta facendo valere nei college americani? Segui la NCAA? “Non con frequenza, purtroppo con il nostro calendario riesco a seguire quasi solo le partite della NBA. Credo sia un’ottima cosa per tutto il movimento italiano. Io sono stato uno dei primi a tentare questa esperienza, oggi è più comune: è un modo per giocare ad alto livello e costruirsi fin da giovani una certa esperienza internazionale. Perché i ragazzi di talento è giusto che abbiano spazio. In prospettiva potrebbe essere molto interessante per il futuro della nazionale, soprattutto adesso che è chiusa definitivamente l’era di Gallinari, Belinelli, Bargnani e Datome” Nell’ottica di un ricambio generazionale, cosa potrebbero dare i college americani ai giocatori dell’Italia di domani? “Parlo per esperienza: l’anno all’estero per un cestista è molto importante, perché ti permette di conoscere una realtà molto diversa e di espandere la tua conoscenza del gioco in un ambiente diverso da quello europeo. È un assaggio del ‘mondo’ americano, che per un giocatore di basket è sempre il sogno. Io ho sempre consigliato di farlo, perché una volta tornato in Italia il tuo gioco, che sia da un punto di vista fisico o da un punto di vista tecnico, di certo avrà qualcosa di diverso rispetto agli altri. L’esperienza negli Stati Uniti fa sempre bene, a maggior ragione adesso che è stato introdotto il NIL , che spinge i ragazzi a preferire un percorso collegiale in America piuttosto che qualche stagione in Serie A2, dove il compenso è minore” Parlando di giovani talenti, avete giocato di recente contro Dallas, che può schierare uno dei giovani più interessanti della NBA: Cooper Flagg. Se ne parla molto, che impressione ti ha fatto visto da vicino? “Mi ha stupito, soprattutto per quanto riguarda la sua mentalità. Nonostante abbia solo 19 anni si comporta già come un professionista ‘vero’. Non è comune in ragazzi così giovani al primo anno di NBA. Per fisico e tecnica invece è già ad alto livello: deve migliorare ancora in molti aspetti del suo gioco, ma come talento e come mezzi è già oggi incredibile. Un atleta impressionante. Ha tutto ciò che serve per diventare l’uomo franchigia dei Mavs. Se dovesse riuscire a rimanere sano, potrebbe diventare presto uno dei nuovi volti di questa lega” Tuo fratello Danilo ha deciso di recente di ritirarsi dal basket giocato dopo più di 20 anni di carriera. Da quanto sapevi della sua decisione? “Da un po’. Diciamo da quattro/cinque mesi. Mentre che quella all’Europeo sarebbe stata la sua ultima esperienza con la nazionale lo aveva deciso già l’anno scorso. Diciamo che era una scelta che stava già maturando da qualche tempo” Che effetto di fa non vederlo più sul parquet? “È strano, lo devo ammettere. Ci eravamo costruiti nel tempo una nostra routine in cui ci sentivamo la mattina, confrontandoci sulle partite e sugli allenamenti. Ora è leggermente diverso, perché da parte sua non c’è più la parte del giocatore professionista. Cambia sotto quell’aspetto, del fan, diciamo. Anche perché per quanto mi riguarda Dani è il cestista italiano più forte di sempre, mi mancherà non vederlo più sul parquet e non poter godere della bellezza del suo gioco. Invece sotto il profilo familiare è sempre mio fratello, ci vogliamo bene: il nostro legame non sarà diverso solo perché lui si è ritirato” Ti ha confidato che strada vorrà prendere per questa nuova fase della sua vita? La scorsa settimana, per esempio, ha debuttato come commentatore. Lo vedi in quella veste? “È un’esperienza che ha provato con piacere, in questa fase sta cercando di capire cosa gli piace e cosa no. Ci sta, dopo più di 20 anni di solo basket giocato ne sta approfittando per provare nuove esperienze che aveva già in mente da tempo. Ma non ha ancora preso una strada definitiva. Mi è piaciuto molto come ha fatto il telecronista, è stato molto professionale e competente, ma non mi ha sorpreso la cosa: con l’esperienza nel nostro podcast ‘A Cresta Alta’ ero certo che non avrebbe avuto problemi davanti a un microfono. Lo vedrei anche come general manager un giorno: sogno un futuro in una squadra dove potremo lavorare insieme. Chiameremo anche Riccardo Fois, per fare tutto lo staff italiano” Stiamo entrando nel pieno del periodo delle feste: cosa significa il Natale per una persona che lavora in NBA? “Dipende molto dal calendario. In NBA il Natale è un giorno importante, con tante partite di cartello. Per quest’anno il 25 dicembre non giocheremo, quindi avrò modo di passare la giornata con la mia famiglia. Però dal 26 saremo già in palestra per preparare la sfida contro Utah: non c’è molto tempo per fermarsi. Ecco perché cerco di godermi al massimo i giorni di relax, perché la NBA è un mondo spettacolare ma ti porta via tantissimo tempo” Per stare in tema: buoni propositi in vista del 2026? “Spero che il 2026 mi aiuti a crescere professionalmente. Mi piacerebbe muovermi in direzione ‘coaching’, quindi magari un po’ meno lavoro sul campo rispetto a quanto non faccio ora e più attenzione nello studio delle altre squadre e dei loro schemi di gioco. A Detroit invece auguro di migliorare quanto fatto nella stagione scorsa, quindi di arrivare al secondo turno dei playoff. Magari contro i Knicks, con cui abbiamo un conto in sospeso”

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Simone Dagani