Olimpiadi 2016: l'Italia, l'Africa e le ragioni di Obama

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La First Lady Usa racconta le meraviglie di Chicago, candidata ai Giochi
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Venerdì la scelta sulla sede dei Giochi (diretta SKY). Carraro: l'Africa non può voltare le spalle al presidente Usa. Pescante: l'Italia avrà una grossa influenza. E negli Usa ci si chiede: perché Obama va a Copenhagen? LA GALLERY. LO SPECIALE OLIMPIADI

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L'APPELLO DI OBAMA AL CIO PER CHICAGO 2016

Il peso dell'Africa - "L'Africa difficilmente potrà voltare le spalle a Barack Obama". Franco Carraro è uno dei 5 membri del Cio chiamati domani a scegliere la sede dei Giochi Olimpici del 2016: appena sbarcato a Copenaghen (nella capitale danese è arrivata anche la delegazione del Coni con il presidente Gianni Petrucci e il segretario generale Raffaele Pagnozzi) l'ex presidente della Federcalcio ha parlato di questa elezione che vede schierate 4 città, Chicago, Rio De Janeiro, Tokyo e Madrid. E proprio sulla candidatura americana Carraro sottolinea quanto peso avrà il voto dei membri africani del Cio. "Obama si è esposto in prima persona e io mi chiedo come faranno gli africani membri del Cio a non votarlo...".

Il peso dell'Italia -
"L'Italia ha il 5% dei voti e quindi avrà una grossa influenza. Non c'è stata però alcuna intesa preventiva e quindi bisogna vedere come andrà". Così invece Mario Pescante, membro Cio e in odore di nomina a vice  presidente del Comitato olimpico internazionale.

E le ragioni di Obama -
La trasferta lampo del presidente americano a Copenhagen è intanto diventata un caso. Perché Obama ha deciso di sostenere di persona la candidatura di Chicago per le Olimpiadi del 2016, porgendo il fianco ai critici sul fronte interno, proprio nel bel mezzo del delicatissimo dibattito sulla riforma della sanità? Nessun presidente americano lo aveva mai fatto prima e non è una sorpresa che decine di editoriali su quotidiani e siti internet da giorni cerchino di rispondere a questo quesito. Proviamo a elencare alcune delle risposte più interessanti: tutte hanno in comune un alto coefficiente di dietrologia e in nessun caso parla di sport.

1) Obama ha deciso di andare a Copenhagen perché ha già la certezza della vittoria. Anche se la concorrenza con le altre finaliste per l'organizzazione dei giochi, Rio, Tokyo e Madrid, è decisamente forte, il presidente americano avrebbe avuto rassicurazioni sull'esito del bando.

2) Obama andrà a Copenhagen perché un esercito di amici e sostenitori gli ha chiesto di farlo, in prima fila la conduttrice televisiva Oprah Winfrey, che ha lanciato due anni fa la sua improbabile candidatura alla Casa Bianca e che lo aspetta a Copenhagen in compagnia della first lady Michelle. L'esito della gara è incerto e la presenza di Obama, la cui stella brilla ormai forse più in Europa che negli Stati Uniti, potrebbe colpire nel segno.

3) Obama va a Copenhagen perché Chicago, una delle città più corrotte d'America, non vuole perdere la pioggia di finanziamenti per infrastrutture e servizi legati all'organizzazione dei Giochi. Di più, Obama deve restituire il favore a chi ha sostenuto e finanziato la sua ascesa politica. Il conservatore Chicago Tribune, uno dei nemici giurati di Obama, è particolarmente agguerrito su questo fronte. Obama "si umilierà di fronte al mondo per mendicare l'assegnazione dei Giochi" perché vorrebbe fare del sindaco Richard Daley "il re di Chicago".

4) Obama va a Copenhagen perché ha tutto da guadagnare e niente da perdere. Se fosse rimasto a Washington e i Giochi fossero stati assegnati a una città concorrente di Chicago, Obama finirebbe nel mirino. Se, pur andando a Copenhagen, Chicago perdesse, Obama comunque potrà dire di avere tentato il tutto per tutto. Se Chicago ottenesse i Giochi, il presidente potrà mettere il suo sigillo sul successo. Per mettersi al riparo da chi lo accusa di "perder tempo", Obama risponde: dormirà sull'aereo, interverrò di fronte al comitato, poi torna a casa. Quattro ore a Copenhagen non bastano a deragliare il dibattito sulla Sanità o l'esito della guerra in Afghanistan.

5) Obama va a Copenhagen perché non ha la sensibilità necessaria per capire che un'eventuale vittoria di Chicago metterebbe a repentaglio il rapporto con il Brasile, proprio quando in America Latina è in atto una deriva antiamericana.