Alex Schwazer: "Ho vinto in tribunale ma sono uno sportivo e voglio vincere in gara"

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Lia Capizzi

Lia Capizzi

Sul palco dell’Ariston il presentatore del Festival di Sanremo Amadeus ospita Alex Schwazer a due settimane dalla sentenza di archiviazione "per non aver commesso il fatto" nella vicenda della seconda positività al doping del 2016. L’ex azzurro della marcia chiede un nuovo processo sportivo: "Nessuno potrà ridarmi ciò che mi hanno tolto ma ciò che si può fare adesso è rimediare, non perdere altre gare senza avere colpe"

Il palco di Sanremo e l'enorme share televisivo non potranno mai compensare le sofferenze e gli incubi patiti da Alex Schwazer. Ma il solo poter raccontare la sua verità davanti a milioni di italiani equivale ad un piccolo risarcimento emotivo. Far conoscere la sua storia vuol dire ricevere, con gli interessi, quell'affetto che in pochissimi gli han dato negli ultimi 4 anni e mezzo. La cerchia di Schwazer è ristretta, ne fanno parte la moglie Kathrina - che lo ha reso padre di Ida di 5 anni e di Noah di cinque mesi-, l’allenatore Sandro Donati, oramai più un secondo padre che un mentore, e il suo team di legali. Non è nervoso scendendo le scale dell’Ariston, non può esserlo chi dal 2016 ha continuato ad urlare nel vuoto “mi hanno fregato, è stato un complotto”. Il tremolio alle gambe Alex non lo ha mai avuto nemmeno prima delle competizioni più importanti, figuriamoci se può spaventarlo il palco di un antico teatro ligure che gli si presenta con una platea vuota, senza pubblico. Anzi, proprio il vuoto aiuta il 35enne altoatesino che al fianco del presentatore Amadeus sembra essere a proprio agio. La solitudine del resto è nel DNA dello Schwazer sportivo, marciare per 50 Km assomiglia più ad una prova da eremiti. La solitudine è quella che ha provato lo Schwazer uomo negli ultimi 9 anni della sua vita. Si, nove anni, dal 2012. Perché questa è la storia di un campione che dopo aver vinto tutto (l’oro alle Olimpiadi di Pechino 2008), ha perso la brocca e ha cercato di barare  si è dopato, è stato scoperto, cacciato, e giustamente condannato. Gli sbagli si pagano, vale come lezione di vita per tutti e pure per Schwazer che nell’isolamento emotivo della prima squalifica per doping (fino al 29 aprile 2016) ha cercato una modo per ritrovare la propria dignità. Una volta scontata la pena ha deciso di tornare alla casella di partenza, di ricominciare da capo, riprendendo a marciare. Un viaggio tutto in salita, con partenza dall’inferno e con arrivo chissà dove, con la scelta di affidarsi alla guida tecnica di Sandro Donati che della lotta al doping ha fatto un messaggio di vita. Doveva essere l’emblema della redenzione, della seconda possibilità, invece si è trasformato in un giallo che assomiglia più ad un horror tra provette manipolate, concentrazioni di Dna “non umanamente fisiologiche”, sotterfugi, bugie e pure mail hackerate.

schwazer con Amadeus

Ho trovato un giudice molto coraggioso che voleva andare fino in fondo e non chiudere la vicenda in fretta e furia, voleva vederci chiaro, e questa nella mia sfortuna è stata la mia fortuna” commenta Schwazer. .La sentenza di archiviazione emessa lo scorso 18 febbraio dal Gip di Bolzano Walter Pelino equivale ad una assoluzione per Alex Schwazer “per non aver commesso il fatto”. Non solo, nella disposizione si trova nero su bianco l’intera ricostruzione di una vicenda dai contorni torbidi, il Gip muove accuse pesantissime alla Wada e alla Federazione Internazionale di Atletica verso le quali chiede di indagare: “ipotesi di falso ideologico, frode processuale e diffamazione”.  Schwazer è stato incastrato, lo si legge nelle 87 pagine del dispositivo: “si ritiene accertato che i campioni di urina sono stati alterati allo scopo di farli risultare positivi”.

Una sentenza potenzialmente esplosiva per tutto lo sport. A mettersi nei panni di un atleta c’è di che aver paura nel consegnare le proprie provette. La reazione della Wada e della World Athletics è altrettanto dura: “La Wada è inorridita dalle numerose accuse spericolate e prive di fondamento", si legge nel comunicato. Le parole dell’ Agenzia Antidoping Mondiale sono dunque un atto d’accusa verso l’intera giustizia italiana che ha prodotto una simile “sentenza spericolata”. Al contrario, secondo la magistratura di casa nostra l’archiviazione di Schwazer è destinata a diventare un caso di scuola, come sottolinea il Pm di Milano Maurizio Ascione in una analisi pubblicata su una rivista giuridica (Giustizia Insieme) dimostrando come il Gip di Bolzano “sia arrivato alla sentenza di archiviazione attraverso una analisi scientifica e specialistica con la piena dignità attribuita alla prova logica”.

Sul fronte penale Alex Schwazer è innocente, sul fronte della giustizia sportiva resta squalificato (squalifica di 8 anni che scade nel 2024) come deciso dal TAS (Tribunale di Arbitrato dello Sport). “Io sono stato giudicato a Rio in Brasile nell’agosto 2016 ma adesso voglio di nuovo essere giudicato dalla giustizia sportiva con i nuovi fatti in mano. In questi quasi 5 anni ho perso le Olimpiadi e diverse altre gare, adesso non voglio perderne altre. Mi aspetto di essere giudicato davanti ad un collegio della giustizia sportiva”, ribadisce il 35enne nell’intervista con Amadeus. “Nessuno potrà ridarmi ciò che mi hanno tolto. Ciò che si può fare adesso è rimediare, non perdere altre gare senza avere colpe. Ho vinto in tribunale ma io sono uno sportivo e voglio vincere sul campo da gara: è lì che tornerò. Mia figlia mi vedrà all'Olimpiade perché ho tanta determinazione per chiudere questo cerchio”.  

Che possibilità ci sono di vederlo tornare a gareggiare, magari già ai Giochi di Tokyo? Non molte, diciamolo apertamente. Da escludere una eventuale grazia del CIO (Comitato Olimpico Internazionale), impossibile. Restano in piedi le ipotesi di un ricorso al Tribunale Federale Svizzero o addirittura un appello straordinario allo stesso TAS, con la richiesta di un nuovo processo e, nell’attesa, la concessione della sospensione della pena per permettere all’ex azzurro di tornare a gareggiare. Ma basterà l’ archiviazione penale emessa del Tribunale di Bolzano per poter riaprire un processo che la giustizia sportiva considera chiuso? Le motivazioni potranno essere considerate nuove prove per la giustizia sportiva? E, in caso di successo per Alex, come ne uscirebbero Wada e World Athletics? Come organizzazioni capaci di trasformarsi in una   “macchina del fango pronta a tutto e che non si fa scrupolo di nulla”, come recita la sentenza del Gip di Bolzano? Quesiti che sembrano semplici ma non lo sono. In ballo non c’è solo Schwazer ma il futuro dello sport mondiale. La vicenda rischia di far esplodere la credibilità del sistema antidoping internazionale.