
Olimpiadi Tokyo, proteste e gesti politici vietati agli atleti: tutti i precedenti. FOTO
"La maggior parte degli atleti non pensa che sia appropriato per gli sportivi esprimere il proprio punto di vista durante la cerimonia di apertura, sul podio e durante le gare", spiega una nota del Cio, che non consentirà nessuna forma di protesta - né politica, né religiosa - a Tokyo e ai Giochi invernali di Pechino. Ma quanti precedenti nella storia delle Olimpiadi
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DIVIETO DI "PROTESTARE". Alle prossime Olimpiadi di Tokyo e a quelle invernali di Pechino, gli atleti non potranno esprimersi con gesti o altre forme di protesta sul podio, durante le gare o nelle cerimonie ufficiali: lo ha stabilito il Comitato olimpico internazionale.

Oltre due terzi dei 3.547 sportivi che sono stati interpellati sull'argomento si sono espressi in questa direzione, secondo il Cio.
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PIU' LIBERTA' SUI MEDIA. "La maggior parte degli atleti non pensa che sia appropriato per gli sportivi esprimere il proprio punto di vista durante la cerimonia di apertura, sul podio e durante le gare", spiega una nota del Cio, mentre considera giusto che lo facciano "nei media, durante le conferenze stampa e nelle zone miste".
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QUALI SANZIONI? La raccomandazione fa seguito alla richiesta di ammorbidire la regola della carta olimpica che proibisce "qualsiasi manifestazione o propaganda politica, religiosa o razziale" sui siti dei giochi, anche se non è ancora stato stabilito con quali sanzioni.

LONDRA 1948. Nella storia delle Olimpiadi non sono certo mancate proteste e boicottaggi. Come ai Gioghi di Londra 1948, nel post Seconda Guerra Mondiale, quando il Cio decise di non invitare i Paesi "aggressori" Germania e Giappone (ufficialmente per l'assenza di un Comitato olimpico); mentre l'Unione Sovietica rifiutò di inviare i propri atleti.

MELBOURNE 1956. In Australia i boicottaggi furono due: Egitto, Libano e Iraq per protestare contro l'invasione della Penisola del Sinai da parte di Israele, che innescò la crisi di Suez; Olanda, Spagna e Svizzera non parteciparono per l'occupazione dell'Ungheria ad opera dell'esercito sovietico.

"BAGNO DI SANGUE". Sempre nel 1956, partecipò eccome invece l'Ungheria e la finale di pallanuoto proprio contro i russi sarà una vera e propria mattanza, ribattezzata "Il bagno di sangue di Melbourne" per l'agonismo estremo della gara, vinta dai magiari, che si confermarono campioni olimpici.

BLACK POWER. Ai Giochi di Città del Messico 1968 - preceduti dal "Massacro di Tlatelolco" - durante la cerimonia di premiazione dei 200 metri i velocisti afroamericani Tommie Smith e John Carlos alzarono il pugno chiuso con un guanto nero in segno di protesta contro il razzismo e il trattamento riservato ai cittadini di colore del loro Paese.

LA STORIA DI VERA CASLAVSKA. Oltre che per i suoi successi sportivi - 7 ori e 4 argenti olimpici, la ginnasta con più titoli nella storia dei Giochi a livello individuale - era conosciuta per il suo dichiarato appoggio al Movimento democratico cecoslovacco contro l'occupazione sovietica del 1968, che le costò caro: le fu proibito di allenarsi insieme al resto della squadra, tanto che la campionessa di Praga si esercitò da sola nelle foreste della Moravia utilizzando dei sacchi di patate come pesi e delle assi di legno come travi.

LA "VENDETTA" DI VERA. Grazie a questo allenamento riuscì a non perdere la sua forma fisica e i Giochi della XIX Olimpiade di Città del Messico difese il suo titolo completo ottenendo riconoscimenti in tutte e sei le discipline oltre che oro al corpo libero, alle parallele asimmetriche e volteggio. Alle premiazioni manifestò la sua opinione politica distogliendo ostentatamente lo sguardo durante l'esecuzione dell'inno sovietico alla premiazione della gara del corpo libero vinto da lei a pari merito con la russa Larisa Petrik.

MONTREAL 1976. Dopo la strage di Monaco '72 (l'attacco terroristico palestinese che portò all'uccisione di 11 atleti israeliani) arrivarono i Giochi di Montréal 1976, boicottati da 27 paesi africani, dalla Guyana e dall'Iraq per protestare contro la squadra di rugby della Nuova Zelanda, che si era recata in tour nel Sudafrica, Paese bandito dalle Olimpiadi dal 1964 per le sue politiche di apartheid.

IL "CASO" TAIWAN. L'altro boicottaggio alle Olimpiadi canadesi è di Taiwan, che non prese parte ai Giochi perché non gli fu permesso di presentarsi col nome di "Republic of China", come era avvenuto finalmente nel 1972 dopo anni di proteste per la denominazione "Formosa" (vedi Roma 1960, nella foto). Una questione complessa, ancora oggi, che ciclicamente si riperquote anche nello sport (Taiwan non è riconosciuto dalla Repubblica Popolare Cinese, considerato una "provincia" da Pechino nonostante sia indipendente dal 1949).

USA-URSS. Con l'acuirsi della Guerra Fredda scambio di "favori" tra Usa e Urss ai Giochi del 1980 e 1984: gli americani (e altri alleati) non volarono a Mosca in segno di protesta per l'invasione sovietica dell'Afghanistan; i russi (e altri Paesi Comunisti) non presero parte alle Olimpiadi di Los Angeles perché non ritenevano adeguate le garanzie di incolumità dei propri atleti.

LE DUE COREE. La dittatura di Pyongyang ha boicottato diverse volte le manifestazioni sportive più prestigiose. Ai Mondiali di calcio di Messico '70 si rifiutò di giocare contro Israele e non si presentò nel 1978, nell'Argentina del generale Jorge Rafael Videla. Non partecipò a Seul '88 - seguita da Cuba, Nicaragua ed Etiopia - perché esclusa dall'organizzazione dei Giochi, affidati "soltanto" alla Corea del Sud, con cui sfilerà poi - sotto la stessa bandiera - alle Olimpiadi casalinghe del 2018.

LE PROTESTE DEI "SINGOLI". Ci sono stati anche dei casi individuali di boicottaggio ai Giochi: come nel 2008 a Pechino ("scena" ripetuta anche ai Mondiali di Roma) quando il nuotatore iraniano Mohammed Alirezaei si rifiutò di gareggiare contro un collega israeliano; oppure nel 2011, ai Mondiali di scherma di Catania, con la tunisina Sarra Besbes salita sì in pedana - per evitare la squalifica - scegliendo però di rimanere ferma davanti alle cinque stoccate (vincenti) dell'avversaria Noam Mills. Anche lei israeliana.