Mar del Plata '78, quei ragazzi in meta contro il regime

Rugby
Italia e Argentina si ritrovano il 23 novembre nel test-match dell'Olimpico di Roma (foto Getty)
italia_argentina_rugby_getty_1

Lo scrittore catanese Claudio Fava ci riporta con un libro nell'Argentina di Videla e dei desaparecidos, ricordando la squadra di giovani rugbysti che preferì morire pur di non darla vinta alla dittatura. Una vittoria della libertà (e della palla ovale)

"I suoi giocatori li aveva presi che erano ancora ragazzini e gli aveva insegnato il rugby un poco per volta, come s'imboccano i picciriddi, gli aveva spiegato come tenere alti i gomiti in mezzo alla mischia e bassa la fronte per cercare il naso dell'avversario, gli aveva disegnato il campo su un pezzo di cartone mostrando a ciascuno dove non doveva andare mai, cosa non doveva aspettarsi mai perché questa palla è come una femmina sbagliata, è fatta male, non rotola mai dritta, se ne va per i fatti suoi, se state lì ad aspettarla quella vi fa cornuti subito! E voi non siete cornuti, siete la prima squadra del Club La Plata e quest'anno vi dovete portare a casa il campionato. Capito, bestie?"


di Alfredo Corallo

Sembrava, ma non era cattivo Hugo Passarella, anzi. L'allenatore aveva provato a convincerli che fosse una partita persa ("avete vent'anni, vi ammazzano perché non conoscono i vostri pensieri e questo li fa impazzire"), ma ai suoi ragazzi non "calava" l'idea di dover lasciare Mar del Plata, la loro fetta di oceano, per scappare in Francia, dove avrebbero trovato asilo politico e un rifugio sicuro per sfogare la loro passione, il rugby. Così, testardi come sono, tra una borsa scassata e un calzino sudicio,  piazzano al centro dello spogliatoio il secchiello delle birre a mo' di urna e con un "pizzino" votano e scelgono di rimanere. Firmando la loro condanna a morte.

Desaparecidos. Il primo nella lista dei chiancheri - parafrasato dal siculo, erano i macellai del regime, "pseudo" ufficiali rappresentati perfettamente dal viscido spione Ricardo Montonero - fu Javier Moretti detto il Mono, scimmia, per via di quelle lunghe braccia che si trascinava appresso come una tracolla. Colpevole di aderire all'Unione degli studenti - che avevano protestato davanti al ministero contro i tagli allo sconto sui libri di testo - e trovato a galleggiare sulle acque del Rio de la Plata, con le mani legate dietro la schiena da due giri di fil di ferro e un colpo di pistola piantato nella nuca. Ora, il minuto di silenzio che accompagnò l'inizio del match successivo - ma che minuto non fu, bensì dieci - non potè passare inosservato al Batallón 601, i cadetti dell'Esma, gli "spazzini" della giunta militare. Uno per uno (Otilio, Mariano, Gustavo...)  faranno la fine del Mono, se non peggio.

Sicilia e Argentina, stessa sorte. Mar del Plata (Add Editore, 2013) ricorda molto I Cento passi, il film di Marco Tullio Giordana che, non per niente, Claudio Fava ha sceneggiato. Lo scrittore e parlamentare (figlio di Pippo, giornalista ucciso dalla mafia il 5 gennaio del 1984), catanese come il Barone Andrea Lo Cicero, ci riporta nell'Argentina di Videla, negli anni della dittatura e dei desaparecidos, eppure tra i componenti della squadra ritroviamo anche la figura di Peppino Impastato, assassinato nella notte tra l'8 e il 9 maggio del 1978, una ventina di giorni prima del Mundialito che vincerà la selección di Cesar Luis Menotti e Mario Kempes.

"Nel tempo ho imparato che nessun luogo è l'ombelico del mondo - spiega l'autore del libro - si moriva in Argentina come in Sicilia perché una banda di carogne regolava in questo modo i conti con i dissidenti. Cose accadute laggiù, a Buenos Aires, dove la storia s'era fermata su quell'elenco interminabile di luoghi cancellati dalla vita e dal lutto. E cose accadute quaggiù, in Italia, dove un'altra guerra e un altro nemico che non facevano prigionieri s'erano portati via, assieme a tanti altri, anche mio padre".

Libertad! D'altronde era siciliano il nonno del protagonista, Raulito, Raul Barandian Tombolini ("lungo come il suo nome, magro come una lisca, cocciuto come un picciriddu quando si mette in testa una cosa"), l'unico sopravvissuto ai capricci
sanguinari della dittatura, grazie anche all'amore di Teresa. Fava - che da giovane era una promessa della pallanuoto - prende spunto dagli articoli di Gustavo Veiga, che aveva rintracciato il superstite riportando alla luce tutta la vicenda avvenuta nella ciudad feliz (patria di Astor Piazzolla, peraltro).

"Non è un ritratto risorgimentale - aggiunge Fava - sono soltanto dei ragazzi che giocano con una palla ovale. La giunta militare argentina, come quella cilena, inizia a morire quando c'è un atto di civiltà, non di eroismo. Il funerale di Pablo Neruda, per esempio: è lì che muore Pinochet. Quello di Impastato, a Cinisi: per la prima volta la serranda di Tano Badalamenti rimane abbassata (indimenticabile la scena finale del film, con il corteo funebre sulle note di A whiter shade of pale dei Procol Harum, ndr). Alla fine poco importa che quei ragazzi fossero argentini o siciliani. Importa come vissero. E come seppero dire di no".