Italrugby, questo è solo il punto di partenza

Rugby

Francesco Pierantozzi

Sergio Parisse resiste alla carica di due sudafricani (Getty)
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Il successo contro il Sudafrica è un'iniezione di fiducia preziosissima per il nuovo allenatore Conor O'Shea. Segno tangibile che il lavoro paga e che gli Azzurri potranno sfatare anche altri tabù

Tanto non vincono mai… Ecco, almeno questa frase non la sentiremo più, dopo la vittoria (20-18) a Firenze dell’Italia sul Sudafrica, la prima volta contro una squadra dell'emisfero sud, che, tradotto, significa una tra Nuova Zelanda, Australia e, appunto, Sudafrica. Cosa è successo in una settimana? Da brocchi a eroi? Prima seppelliti sotto 10 mete e 68 punti dagli All Blacks e poi capaci di fare, come si dice, la storia? Vista con un occhio poco "azzurro" è semplice: il Sudafrica non vale gli All Blacks… nel 2016 ha vinto solo 4 partite su 11, in trasferta il successo manca dal ferragosto 2015, è un gruppo un po’ allo sbando, tra critiche e quote (i giocatori di colore che hanno diritto a essere inseriti nella formazione), senza grandi campioni, con gente come Habana che sembra proprio alla fine della carriera.

Però, senza essere troppo tifosi, l’Italia sembra aver scelto il bersaglio giusto da colpire: non i neozelandesi "arrabbiati" per la sconfitta a Chicago contro l’Irlanda, ma i sudafricani in crisi, pur sempre i quarti del ranking. L'Italia ha giocato una partita di grande sacrificio, con una linea difensiva ottima, un grande Favaro che placcherebbe chiunque, forse anche chi non lo faceva giocare molto nel passato, con nomi nuovi che non ti aspetti, in prima linea, con pochi equiparati, solo un paio, per giunta sudafricani (Van Schalkwyk, autore pure di una meta, e Steyn), col buon piede di Canna, una sicurezza nei piazzati, con buone fasi di conquista, un’ottima maul (raggruppamento con giocatori in piedi) e soprattutto con un atteggiamento positivo, pure col sorriso.

Determinazione, spirito di squadra e, come detto, sacrificio. Ci si può persino dimenticare di qualche errore individuale. Per carità i problemi non sono risolti, e il nuovo (da giugno 2016) allenatore irlandese Conor O’Shea lo sa bene, ma è come ricevere un bonifico quando sei in rosso, hai lavorato e ti pagano… finalmente. E’ solo il punto di partenza, da sfruttare positivamente. Intanto non si sentirà più dire che, prima o poi, la palla ovale si sgonfierà, certo è piena di valori, ma se l’Italia non vince mai…