Domenica 26 dicembre Desmond Tutu è morto a Città del Capo, all'età di 90 anni. L'arcivescovo anglicano sudafricano è stato icona della lotta non violenta contro l'apartheid, premio Nobel per la pace nel 1984 e protagonista della riconciliazione nazionale. Era malato da mesi. Aveva intuito la forza che ha lo sport nel poter unificare un Paese come il Sudafrica, superando gli errori e gli orrori del passato
"Sono stati gli angeli a portare il pallone così in alto in mezzo ai pali". Così Desmond Tutu aveva descritto il drop di Joel Stransky, che aveva dato la prima storica, unica, Rugby World Cup agli Springboks. Lui quella partita la guardò in un bar di New York. Era il 24 giugno 1995. Il giorno in cui, guidato da Mandela, il Sudafrica si trasformava definitivamente nella nazione arcobaleno. La "Rainbow Nation". Il nome che lui stesso proprio durante quella Coppa del mondo aveva coniato. Lui voluto da Madiba a capo della Commissione per la Verità e Riconciliazione. Verità. Non vendetta. Perdono a chi avesse pubblicamente ammesso e riconosciuto i crimini dell’apartheid. Senza ritorsioni.
Il rapporto tra Tutu e lo sport
Desmond Tutu amava lo sport. Proprio come Mandela, aveva intuito la forza che ha lo sport nel poter unificare una nazione superando gli errori e gli orrori del passato. Assieme agli Springboks aveva festeggiato la conquista del titolo mondiale, il terzo, del 2019. "Abbiamo perso, ma abbiamo vinto. Il Mondiale ha unito il Sudafrica". Altra frase storica in seguito all’eliminazione dei Bafana Bafana dalla coppa del mondo di calcio, quella del 2010, organizzata e ospitata per la prima volta in Africa. Un altro gigante della storia del mondo intero ci ha lasciato domenica 26 dicembre. A lui deve andare il nostro grazie per aver cercato di rendere la terra un posto migliore.