LeBron James e la NBA contro Trump: "Comportati da Presidente"

Sport USA
LeBron James, Doc Rivers e Magic Johnson, tre delle voci più autorevoli della NBA (foto Getty)
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Le dichiarazioni di Donald Trump e la protesta della NFL hanno dominato i Media Day delle squadre NBA: ecco cosa hanno detto a riguardo LeBron James e tutti gli altri protagonisti della lega di Adam Silver

Nel corso del Media Day della stragrande maggioranza delle squadre NBA, era inevitabile che tenesse banco la questione legata a Donald Trump e alla situazione socio-politica negli Stati Uniti d’America. Tra i tantissimi giocatori e dirigenti che si sono espressi sull’argomento, nessuno ha  avuto la rilevanza mediatica di Gregg Popovich (le cui dichiarazioni potete leggere qui) e soprattutto di LeBron James, uno dei più vocali nel parlare di quanto successo già nei giorni scorsi. Inevitabile quindi tornare a parlarne per la bellezza di quindici minuti davanti ai cronisti dei Cleveland Cavaliers: “Come ho già detto, la cosa che più mi rende frustrato è il fatto che abbia utilizzato lo sport per cercare di dividerci. Lo sport invece è uno strumento incredibile per unire le persone, non importa quale sia la loro forma o stazza o razza o etnia o religione o qualsiasi altra cosa”. Nel corso delle sue dichiarazioni, James ha sempre cercato di non nominare il nome di Donald Trump, riferendosi a lui solo come “that guy” [quel tizio]: “Se hai votato per ‘quel tizio’, potresti aver commesso un errore, ed è ok. Tutti commettono errori: anche io a volte do troppe caramelle a mia figlia e me ne pento perché poi non va più a dormire. Non penso che molta gente fosse informata quando lo ha eletto, ed è una delle cose più pericolose durante il voto. La gente non sa quello che succede nel mondo e fa scelte non informate, e quella non è stata la scelta giusta. Succede spesso anche nello sport: possiamo dire che i Portland Trail Blazers fecero la scelta giusta quando presero Sam Bowie invece di Michael Jordan? Perciò, io come atleta professionista che gioca in questo stato [l’Ohio, ndr], e sebbene questo stato abbia votato per Trump, non mi impedisce di continuare a ispirare le persone del mio stato, soprattutto i giovani. Perché sarei ipocrita se non lo facessi solo perché questo stato ha votato per lui, non avrebbe alcun senso. Il mio ruolo è molto più importante di quel tizio, di cui non mi piace nemmeno dire il nome. Perciò fintanto che avrò questa piattaforma continuerò a fare quello che faccio non solo in campo, ma anche mandando a scuola 13.000 bambini spendendo quasi 45 milioni di dollari”.

Fare la differenza negli Stati Uniti d’America

James, che attraverso la sua fondazione ha permesso a tantissimi ragazzi di inserirsi in un percorso che li porterà fino al college, ha parlato a lungo anche di quello che può fare individualmente per migliorare la vita delle persone: “Posso sedermi qui e dire che sto cercando di fare la differenza? Posso guardarmi nello specchio e dire che voglio il meglio per il popolo americano, non importa di quale colore di pelle o di quale razza? So che questo è il miglior paese del mondo, ‘la terra dei liberi’. Eppure abbiamo molti problemi, come chiunque altro. Ma è proprio per risolvere quei problemi che dobbiamo unirci come persone. Perché sono le persone a guidare questo paese, non un individuo – e di sicuro non lui. Fintanto che avrò questo tipo di piattaforma, darò la mia voce, la mia passione e i miei soldi affinché i ragazzi dei quartieri più disagiati sappiano che esiste una speranza, un percorso per migliorare la propria vita. Nessun individuo, neanche il Presidente degli Stati Uniti può impedire che i tuoi sogni diventino realtà”. James è poi tornato anche su quel famoso tweet che si apriva con due parole, “U bum” [traducibile come fannullone, ma anche liberamente come co***ne], che potevano essere viste come un insulto: “Non era un insulto, era solo un… “You bum!”. Io e miei amici ci chiamiamo così tutto il tempo – anche se io non sono suo amico, non provate nemmeno a scriverlo. Ma è la prima cosa che mi è venuta in mente quando ho visto quello che ha scritto a Stephen Curry. La cosa peggiore è che non capisce il tipo di potere che ha essendo il leader di questo bellissimo paese. Non capisce quanti bambini guardino alla figura del presidente degli Stati Uniti per avere una guida, per avere leadership, per ricevere parole di incoraggiamento. Non lo capisce, e la cosa che mi disgusta è che abbiamo una persona del genere nella posizione più importante in tutto il mondo, uno che avrebbe la possibilità di unirci, di ispirare i giovani in questo particolare momento del nostro paese dicendo loro che non si verrà giudicati per strada per il colore della propria pelle o per la razza. E a lui non interessa”.

La protesta della NFL e la possibilità di inginocchiarsi

Non tutto però è da buttare, qualche lato positivo da questa situazione c’è – almeno secondo James. “La cosa migliore è che ci sia questa conversazione: Chris [Paul], Melo [Anthony], D-Wade e io siamo andati sul palco della serata più importante nel mondo dello sport, gli ESPYS, davanti a tutti i nostri colleghi in giro per il mondo, esattamente per questo motivo. Applaudo Colin Kaepernick e tutte le persone nel mondo della NFL che hanno preso una posizione nell’ultimo weekend e ne hanno parlato pubblicamente: è importante che ci sia questa discussione”. Ciò nonostante, quando gli è stato chiesto se si aspetta che qualcuno si inginocchi durante l’inno in una partita della prossima stagione NBA, LeBron ha detto che non lo sorprenderebbe, ma che non lo farebbe (anche perché è vietato dal regolamento NBA). “Personalmente, la mia voce è più importante del mio ginocchio. Parlo coi media tutti i giorni per far capire quello che penso e quello che dico credo abbia un impatto sulle persone. Ma non ho nessun problema con chi lo sta facendo la NFL o chi lo farà nella NBA: sono sempre a favore della libertà di espressione, specialmente se ci aiuta ad avere questo tipo di conversazione. Voglio però specificare una cosa: inginocchiarsi non è una mancanza di rispetto per la bandiera o dell’esercito che ci protegge, ma un gesto in favore dell’uguaglianza e la libertà di schierarsi contro ciò che non si ritiene giusto. Le persone che stanno cercando di dividerci stanno utilizzando questa motivazione per criticare questo modo di esprimere la propria posizione, ma non c’entra niente con quello che gli atleti pensano”.

Le altre dichiarazioni dei protagonisti della NBA

Doc Rivers, L.A. Clippers: “Non penso che i giocatori vogliano protestare. Penso che il motivo per cui stanno protestando è perché pensano che ci sia ingiustizia, pregiudizio e bigotteria. Vogliamo che questo paese sia grande, nessuno è arrabbiato per rendere l’America ‘grande’. Quello che ci fa arrabbiare è l’utilizzo delle parole ‘di nuovo’. Quando sento “Make America Great Again” ripenso al passato, e non credo sia quello che la gente vuole. Per farla breve: se Donald Trump stesse facendo il suo lavoro, nessun giocatore si inginocchierebbe”

Russell Westbrook, Oklahoma City Thunder: “Ovviamente le cose che sta dicendo sono offensive nel mio modo di vedere. Sono veramente gratuite, specialmente con tutto quello che sta succedendo nel mondo – tutte le persone, le famiglie, la gente che sta male e ha bisogno di aiuto. Per questo penso che fosse superfluo e gratuito. Non sono d’accordo con qualsiasi cosa dica e non lo sarò mai”

Magic Johnson, Los Angeles Lakers: “Abbiamo problemi più grandi in questo paese che non preoccuparci delle persone che utilizzano la loro libertà di parole. La Corea del Nord è un problema grosso. La creazione di posti di lavoro è un problema enorme. Migliorare le nostre scuole. Potrei andare avanti a lungo. Queste sono le questioni per cui lo abbiamo eletto. Quello che mi delude è che questi giovani uomini stanno dicendo ‘Ehi, c’è un problema nelle nostre comunità e nessuno se ne sta occupando’”.

Kyrie Irving, Boston Celtics: “Quando qualcuno si inginocchia durante l’inno, è una questione molto più grande di quel singolo gesto. È una cosa che riguarda tutti gli esseri umani. Penso che sia un diritto di chiunque esprimere la propria opinione fintanto che non intendono creare ancora più divisione tra le persone”.

Kemba Walker, Charlotte Hornets: “La NBA è una fratellanza. Abbiamo visto LeBron e Steph scontrarsi alle Finals, perciò è bello vedere che James è andato in aiuto di Steph. Lui è il migliore della nostra lega, il numero 1 sin da quando sono arrivato qui: è bello vedere come si è schierato in favore di un suo rivale”.

John Wall, Washington Wizards: “La maggior parte dei giocatori più forti di questa lega sono afro-americani. Gente come Chris Paul, Dwyane Wade, Carmelo Anthony e LeBron James è andata a parlare agli ESPYS. Invece ci sono grandi quarterback afro-americani che escono dal college e quando arrivano alla NFL vengono cambiati di posizione perché i giocatori-franchigia ci sono già e si chiamano Tom Brady e Aaron Rodgers. Adoro quei ragazzi, ma fintanto che non si faranno avanti e non parleranno anche loro come fatto da quelli della NBA, non credo che nella NFL ci sarà nessun cambiamento”.

J.J. Redick, Philadelphia 76ers: “Non penso che abbia niente a che fare con l’essere bianco. Non sono mai stato oppresso in vita mia per il colore della mia pelle, ma sono umano e certamente posso relazionarmi con qualsiasi emozione che possa provare un essere umano. Sono anti-Trump quanto chiunque altro, lo sono stato sin dall’elezione. Arrivati a questo punto, essere anti-Trump è come dire che si fa colazione la mattina: è semplicemente una cosa che si fa normalmente durante una giornata. Quante volte succede di arrivare a fine giornata senza essere offesi da quel tizio?”

Joakim Noah, New York Knicks: “Penso che sia fantastico che finalmente si parli di ciò che è realmente importante, senza cercare di nasconderlo sotto il tappeto. Fosse per me, renderei molto più difficile ottenere un’arma da fuoco e i proiettili, perché è ancora troppo semplice e i ragazzini si uccidono a vicenda a un ritmo preoccupante. Poi investirei di più nei quartieri più difficili, perché è da li che comincia la prevenzione della violenza”.

Bradley Beal, Washington Wizards: “Onestamente, quello non è un leader. Mancare di rispetto a tutto lo sport in quel modo chiamando le persone ‘figlie di…’ è decisamente troppo per me. Per me è un clown, il suo comportamento è inaccettabile: il suo lavoro dovrebbe essere quello di unire tutti, mentre in Porto Rico non hanno nemmeno l’acqua o la corrente elettrica. E tu ti preoccupi di quelli che si inginocchiano durante l’inno. Non sono d’accordo con quello che sta facendo e con le sue opinioni”

Mark Cuban, Dallas Mavericks: “Se i giocatori dei Mavs volessero esprimere le loro opinioni sul nostro maxi schermo prima della partita piuttosto che cercare di farsi sentire con un’azione secondaria, che sia inginocchiarsi, tenersi per le braccia o qualsiasi altra cosa, facciamolo e dichiamo chiaramente qual è la nostra posizione. E se questo aiuta a creare una discussione nella nostra comunità, è una cosa eccellente”

Bill Russell, Hall of Famer: “Sono orgoglioso di inginocchiarmi e di battermi contro tutte le ingiustizie sociali”