Tortellini, pomate e shampoo: quando il doping è involontario

Tennis

Paolo Pagani

combo_pagani

La tennista azzurra è solo l'ultimo caso di 'doping involontario'. Prima di lei non si possono dimenticare la carne che inguaiò Contador, la puntura d'ape che colpì Cannavaro e la pomata a cui fu costretto a ricorrere Borriello ai tempi della relazione con Belen

"Non sappiamo esattamente come sia successo. Quella del tortellino è l'unica opzione possibile perché abbiamo eliminato tutte le altre" sussurra Sara Errani nella accorata, tesissima conferenza stampa di Milano il giorno dopo la squalifica di due mesi per la positività al letrozolo. "Abbiamo eliminato l'opzione di una pastiglia presa per errore, abbiamo eliminato la contaminazione da contatto. L'unica opzione è quella del cibo contaminato", ha quindi aggiunto la tennista.

E dunque lo scenario della sostanza proibita assunta senza saperlo, stavolta perché disciolta nella minestra della mamma, si aggiunge ai tanti precedenti strambi di doping per via alimentare, o intrufolatosi in corpo attraverso canali non convenzionali, non ortodossi, diciamo paramedici. Bistecche. Shampoo. Pomate. E ora la pastiglia del farmaco anti carcinoma mammario per signore in menopausa. Con il caso di Sara Errani si allunga la lista multidisciplinare di atleti che reclamano il malandrino doping involontario. Il doping a loro insaputa.

Quanti anomali precedenti. Una fettina di carne esportata dalla Cina a evidenziare clenbuterolo nelle urine salvò l'australiano Michael Rogers, tre volte campione del mondo a cronometro, scagionato per buona fede dalla Federazione mondiale di ciclismo. Analogo, ma con esito molto diverso, il caso di Alberto Contador nel 2010: clenbuterolo anche per lui, ancora colpa della carne, ma gli allevatori spagnoli non ci stanno, lo smentiscono con veemenza e il ciclista spagnolo (che fra l’altro ha appena annunciato il suo ritiro) subisce l’onta di due anni di squalifica.

Una puntura d’ape e la lenitiva pomata al cortisone per curarla fece tremare Fabio Cannavaro, poi scagionato. Una sfilza, nel calcio, i positivi al nandrolone. I golosi Christian Bucchi e Salvatore Monaco, del Perugia, spiegarono d’aver consumato "un’abbondante grigliata di carne di cinghiale, che ci ha fatto venire fuori valori sballati di nandrolone". Per Fernando Couto, portoghese del Parma, fu invece "tutta colpa di quello shampoo che conteneva nandrolone. E con la chioma che ho, io devo usarne molto…". Colpa dello shampoo anche per il russo Shalimov, ex Foggia, Inter e Napoli. Mentre Manuele Blasi sostenne più creativamente che "deve essere stato lo schiarente che uso per i capelli": anche lì c'era il solito one, ovvero il nandrolone.

Scabroso e indimenticabile infine il calvario di Marco Borriello, bomber e latin lover indefesso. Venne difatti sospeso tre mesi per positività a prednisone e prednisolone (che sono metaboliti del cortisone) dopo un Milan-Roma. La corte fu clemente con lui, perché tenne conto della esauriente spiegazione fornita dall'allora fidanzata, nientemeno che Belen Rodriguez. La procace soubrette parlò spiccia di un rapporto sessuale non protetto, di un'infezione e del necessario, successivo uso di una pomata al cortisone. Dalla cucina alla camera da letto, insomma, s’aggira sempre minaccioso lo spettro del doping involontario.