Perché parleremo ancora a lungo di Dedura-Palomero, l’incosciente giovane della racchetta

Ha la testa tutta bionda, ossigenata per una scommessa andata male, e il grugno da ragazzetto cattivo. Tiene la racchetta con la mano sinistra come l’idolo Nadal e adesso nel mondo del tennis lo conoscono anche quelli che non appartengono alla cerchia dei cacciatori di giovani prospetti. Diego Dedura-Palomero, diciassette anni compiuti poco più di un mese fa, ha scritto il suo nome e il suo doppio cognome nella storia del tennis diventando il primo giocatore del 2008 capace di portarsi a casa un match di categoria ATP. L’ha fatto superando Shapovalov, lui biondo naturale e ormai molto esperto, nel primo turno del torneo di Monaco di Baviera nel mezzo di un martedì – 15 aprile 2025 – destinato a rimanere ben impresso nei suoi ricordi di tennis. Se è vero che il canadese è stato costretto a ritirarsi per problemi fisici, è altrettanto vero che il giovanotto dopo aver vinto il primo parziale 7-6 era avanti 3-0 nel secondo, quando Shapo suo malgrado gli ha lasciato strada alzando definitivamente bandiera bianca. Ma qui, apriti cielo: anziché arrivare il bello, è arrivato il brutto. Diego, detto Dieguito per motivi di anagrafe e tutto sommato anche per la sua taglia contenuta , si è messo a urlare come un ossesso, ha trascinato il piede destro sulla terra fino a disegnare una croce gigante sul campo, poi ha pensato bene di abbandonandosi a braccia larghe in una sorta di crocefissione agonistica macchiata di polvere rossa. Come se mamma e papà, ex giocatori e attuali coach di Diego, avessero dimenticato di insegnarli prima di tutto il rispetto per le questioni sacre e poi quella grammatica del gioco che impone di non esultare quando l’avversario è costretto all’abbandono. A partita finita, davanti ai giornalisti, DDP – usando le iniziali per stringere nome e cognomi – ha fugato ogni dubbio rispetto alle accuse di esultanza poco rispettosa delle questioni religiose che già imperversavano sui social e non solo: “Credo che Dio mi abbia aiutato nel mio cammino verso la vittoria. Ho pregato cinque minuti prima della partita e poi ho portato tutta quella forza con me in campo. L’esultanza è stata pura gratitudine”. Un virgolettato che mette chiarezza: più che sentirsi un dio, come in molti hanno pensato, il ragazzo si sente parecchio devoto a Dio. E la questione cambia sensibilmente, al netto del dubbio gusto legato alla pantomima offerta. Ma non basta, perché parecchia chiarezza Diego dovrà farla con sé stesso anche sul tema del codice di condotta da osservare in campo. Perché essere super giovani e faticare a contenere l’emozione va bene ma fino a un certo punto. Shapovalov tutto sommato ha dato poco peso, ci fosse stato un altro Dieguito magari si sarebbe preso una sana tirata d’orecchie. Funziona così quando l’incoscienza dei giovani, inevitabile e sana, si scontra con le cose della vita. Sbagliare è un problema solo quando un errore non lascia dietro di sé una piccola lezione. Da qui in avanti Diego dovrà dimostrare di aver capito. Oppure, chissà, gli è sufficiente fare copia/incolla dei principi che hanno ispirato la carriera di Nadal, soprattutto i primi due della serie, il giocatore al quale Diego si ispira a tal punto da tifare come lui Real Madrid: rispetto, educazione, dedizione, fiducia e passione. Pochi, chiari, tutti fondamentali. Addirittura, con lo spagnolo ha avuto la possibilità di allenarsi, a Manacor direttamente sui campi della Rafa Nadal Academy, e da quelle parti deve aver incontrato anche Ruud, altro punto di riferimento tennistico. È dunque in ragione delle sue frequentazioni illustri, oltre che per la formazione tennistica guidata dai genitori, che Dedura-Palomero dichiara di avere una netta preferenza per i campi di terra rossa – l’esperienza di Monaco di Baviera ne è una prima conferma - e mette il Roland Garros in cima alla lista dei tornei da sogno. Per il resto racconta di essere un giocatore moderno che predilige il gioco da fondocampo e già mette in mostra il dritto come colpo migliore ma anche un’ottima capacità di scivolamento dalla parte sinistra del corpo che gli permette di trovare soluzioni in allungo anche grazie all’impugnatura bimane. Ah, non lasciatevi ingannare dal cognome composto e dalla facilità con cui articola fluentemente quattro lingue. Diego il poliglotta batte totalmente bandiera tedesca. Nel 2024 ha già difeso i colori della Germania vincendo il campionato europeo under 16 a squadre, fa riferimento a Philipp Petzschner - in passato numero 35 del mondo - come consulente all’interno della DTB, la Federazione tedesca di tennis, e qualcuno facendo il gioco delle somiglianze l’ha già paragonato al leggendario portiere Oliver Khan, sicuramente in formato ridotto. Diego è nato a Berlino e lì ha cominciato a colpire le prime palle gialle lanciate da Cesar Palomero, il papà cileno con un discreto passato di livello ITF, e Ruta Deduraite, la mamma lituana con un trascorso da giocatrice di Fed Cup. L’altro tennista di casa è Mariano, fratello maggiore di due anni che Diego vive come un esempio da seguire in questa strada appena cominciata. Con Monaco di Baviera, tornando al primo match Atp vinto, che deve rappresentare un punto di partenza ma anche di profonde riflessioni. Per prendere l’esaltazione e trasformarla in convinzione dei propri mezzi, per trasformare la rabbia in sana cattiveria agonistica e per aggiungere quella dose di sportività che al momento è la vera assente non giustificata nei capitoli iniziali di questa potenziale storia di successo. A rimetterlo con i piedi per terra, una volta battuto, e non solo sulla terra, battuta anche quella, è stato il belga Zizou Bergs, che al secondo turno - quello dopo la vittoria contro Shapovalov - gli ha lasciato la miseria di due giochi. Perché il mondo, caro Diego, quando si diventa grandi rischia di diventare un affare parecchio più antipatico, anche quello del tennis. E quando si è loser non sempre si è anche lucky. Come successo a lui nelle qualificazioni di Monaco, sempre lì, dopo il doppio 6-3 subito da Bublik prima di essere ripescato, appunto, grazie alla rinuncia di Monfils. È stato proprio in quel momento, riavvolgendo il nastro, che Diego puntando all'imminente esordio in tabellone al cospetto di Shapovalov, guardandosi allo specchio ha promesso tre cose a sé stesso: di divertirsi, di seguire il pubblico e di giocare il suo miglior tennis. Una cosa l’ha dimenticata: mettere il silenziatore a quel modo così incosciente, quasi maleducato, di vivere la sua gioventù tennistica. La prima è stata comunque buona, c’è da sperare che la seconda lo sia ancora di più.

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Matteo Renzoni