Djokovic non è più così ben visto in Serbia: perché il campione si è trasferito in Grecia

Stavolta la questione è molto più complessa di un match da vincere in cinque set. Articolata come la Serbia e come il pensiero particolarmente sfaccettato di Djokovic. La novità è che Nole, insieme a resto della sua famiglia, ha deciso di lasciare il suo amato Paese per trasferirsi in Grecia. L’appartamento c’è già - rigorosamente vista mare - la nuova destinazione è Atene, il quartiere si chiama Glifada e i figli maggiori - Stefan e Tara - risultano iscritti in un college della capitale greca. Il click che ha fatto scattare il cambio di vita è arrivato a mezzo stampa: le definizioni di “traditore” e “falso patriota”, utilizzate sempre più di frequente dai media vicini al governo di Alexandar Vucic, non potevano rimanere senza una reazione del tennista. Qual è la motivazione? L’appoggio pubblicamente offerto dal campione di 24 Slam alla cosiddetta “rivoluzione colorata”, movimento studentesco – ma non solo – che si oppone al presidente populista e fa pressioni dalle piazze per ottenere nuove elezioni. Da quelle parti non si scherza e la logica è una sola: con me o contro di me. Così da eroe nazionale, l’ex numero uno del mondo è diventato una sorta di nemico pubblico. Un personaggio dallo spessore ingombrante improvvisamente sgradito. Djokovic non ha tardato a prendere posizione, come è solito fare, considerando inaccettabile la strategia di repressione messa in atto dal governo tramite gli attivisti del Partito Progressista Serbo, il maggior soggetto politico tra quelli vicini al presidente. Lo ha fatto dagli inizi della vicenda, commentando così - tramite i suoi social – la tragedia di Novi Sad, che a tutti gli effetti è da considerarsi la scintilla della protesta: “In quanto persona che crede nell’energia dei giovani e nel loro desiderio di un futuro migliore, penso sia importante ascoltare la loro voce. I giovani istruiti rappresentano la più grande forza della Serbia”. Lo ha rifatto durante gli Australian Open di inizio anno dedicando una delle sue vittoria a Sonja, la studentessa serba travolta da un’auto a Belgrado durante una manifestazione. Lo ha ribadito poco dopo indossando una felpa con la scritta “Students are champions”, in bella vista sul petto, ospite al palazzetto dello sport di Belgrado in occasione di una partita di basket. Chi porta avanti con passione e determinazione la protesta, ha l’obiettivo di riscrivere la storia togliendo dal campo corruzione e soprusi. Chi la protesta la sostiene, cioè Djokovic, la storia è abituato a scriverla sui campi da tennis di tutto il mondo. Se stavolta una racchetta non basta, di sicuro tutto ciò che Nole ha fatto per la Serbia – grazie a quella racchetta – può rappresentare una leva nella direzione del cambiamento. Anche perché allontanare Djokovic dallo scenario, di certo non equivale a rimuoverlo dal cuore di un popolo profondamente segnato dai conflitti degli anni ’90, che ha rivisto un po’ di luce anche grazie alle imprese del suo supercampione. Di certo le contraddizioni non mancano, a proposito di complessità. A partire da fervente nazionalismo di cui Djokovic non ha mai fatto mistero e dall’appartenenza del padre di Nole allo stesso partito politico del presidente. In più, riavvolgendo il nastro, emerge che Djokovic e Vucic in passato hanno avuto rapporti più che cordiali basati su idee politiche non così distanti. Tanto che il presidente già nel 2022, nel mese di gennaio, aveva spalleggiato pubblicamente Nole intervenendo in suo aiuto quando il campione si era presentato a Melbourne privo di quel vaccino anti-Covid necessario per fare l’ingresso in Australia. Ma non solo, perché più di recente Vucic aveva pensato di dedicare un museo all’ex amico, a Belgrado, da inaugurare in occasione dell’Expo 2027. Un’idea destinata, almeno per il momento, a non avere alcuno sviluppo in uno scenario rispetto all’epoca completamente capovolto. Nole ha cambiato prospettiva per prendere posizione in maniera - se possibile - ancora più netta. Direttamente da Atene, per recuperare tutta la serenità perduta nell’ultimo periodo e studiare la situazione da lontano metterla a fuoco ancora meglio. E già che si trovava, da quelle parti ha immediatamente trasferito l’Atp 250 di proprietà della famiglia Djokovic, gestito da suo fratello andato in scena fino allo scorso anno sui campi di Belgrado. Unico torneo al quale, al momento, risulta iscritto. Nei prossimi mesi, tra un rovescio e l’altro, chissà che Nole non stia immaginando una discesa in campo che vada oltre il tennis e abbracci la politica. Una volée da giocare in controtempo, con l’obiettivo ambizioso di cambiare il corso delle cose. O quantomeno provarci.

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Djokovic non è più così ben visto in Serbia: perché il campione si è trasferito in Grecia

Matteo Renzoni