La Mia Vita - Björn Borg si racconta a Sky Sport

Björn Borg è un ragazzo come noi. Ha cambiato il tennis, ma il tennis non ha cambiato lui. Arriva con un maglione girocollo morbido, blu bordato di bianco, i jeans scuri e un paio di scarpe comode. Per raggiungere la sala dell’intervista, percorre un tappeto verde che sembra un rimando a Wimbledon. Le leggende sono alimentate anche dalle casualità cromatiche. Siamo a Stoccolma, lui gioca in casa, e il palazzo è quello della Norstedts Förlag, la casa editrice più antica di Svezia. A 70 anni, o quasi, lo fermano per la strada con la stessa frequenza dei tempi belli, ma con il garbo che si deve a un signore. Cercano di incrociare quel suo sguardo caratteristico, dagli occhi vicini, e lui ricambia con riconoscenza. Chi gli chiede la firma su una pallina, chi si accontenta di verificare da vicino di che pasta è fatto. Il tennista di ghiaccio di freddo non ha più nulla, e per capirlo basta stringergli la mano. “Parlare del mio libro in questo momento della vita è più importante che giocare Wimbledon”. L’uscita di Battiti, l’autobiografia pubblicata in Italia da Rizzoli, è un sollievo. Gli ha permesso di togliersi dalle spalle il peso delle cose mai raccontate. Perché di Borg è giusto si sappia tutto, non solo quante volte ha vinto Wimbledon – 5 di fila – o il Roland Garros, 6 che potevano essere 8 se Adriano non si fosse messo di mezzo. Due volte, mica una. Amico, Panatta, di un tratto di vita irripetibile. E con lui Vilas e Gerulaitis, e poi McEnroe e Becker. Tennisti forti anche nell’arte di godersela, proprio come ha saputo fare lui. Capace di alternare ai periodi di solo tennis, quelli conditi di vita spericolata. Persino troppo: “Almeno tre volte ho rischiato di morire” – confessa Borg. Eccolo il motivo principale che dà il titolo al libro. Poi ce n’è un altro, ed è legato a quel famigerato battito cardiaco basso che gli permetteva di rimanere in campo ore e ore senza avvertire la fatica. Basta dargli il via e Borg è un fiume di parole, ogni risposta è lunga e sentita. Se prima era programmato per giocare a tennis, adesso è in piena ‘modalità racconto’. Più che un ripasso, la voglia di riassaporare la vita con la maturità di adesso. Sottolineando le cose buone fatte e cerchiando quelle meno edificanti. Senza omettere nulla, piuttosto catalogando ogni passaggio di vita per dargli un senso più ampio. I trionfi e le rivalità, l’addio precoce al tennis, il ritorno all’attività agonistica quasi catartico e senza pretese di vittoria. Cosa che non tutti hanno capito. Gli amori, quelli profondi e quelli tossici, la stabilità sentimentale finalmente trovata. Ma anche droga, alcol e serate in locali che non chiudevano mai. Molte luci e altrettante ombre, tutte condensate in oltre trecento pagine che testimoniano la vita straordinaria del tennista più pop di sempre. Quello delle magliette a righine verticali, che a Wimbledon per scaramanzia erano sempre verdi. Perché anche gli atleti imperturbabili ricorrono alla scaramanzia – “Non troppa, sennò si diventa pazzi” – per sentirsi più al sicuro. Di tanto in tanto, mentre racconta, BB si mette a posto i capelli. Le sue mani sopperiscono a quello che un tempo era compito della mitica fascetta bianca, blu e rossa. Tra una domanda e l’altra i suoi occhi virano verso sinistra, come a controllare di non aver lasciato lo spazio per un passante lungolinea. Un tennista non esce mai dalle logiche di campo. Proprio lì dalla parte del rovescio, rigorosamente bimane, ha costruito una buona fetta dei suoi trionfi. A due mani perché all’inizio la racchetta era troppo pesante, ma anche per derivazione dall’hockey su ghiaccio. Le altre chiavi del successo sono state l’utilizzo sistematico del top spin, come nessuno prima di lui, e l’attenzione maniacale per la preparazione atletica. Un aspetto al quale è ancora parecchio attento: se gli anni se li porta da campione, un motivo c’è. Borg parla con la serenità scandinava di un uomo risolto, capace nel tempo di dare il valore corretto alle cose della vita. Senza paura di invecchiare. Al resto penseranno quegli angeli custodi, uno lo porta tatuato sull’avambraccio, che in passato più volte lo hanno tolto dai guai. Una sorta di scudo spirituale, efficace come il suo tennis senza errori.

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Matteo Renzoni