Quando a Parigi il tifo nel tennis diventa... da Mondiale

La Defense Arena è come una moneta d’argento, di quelle amate dai collezionisti perché pregiate. Di fronte a lei la strada, rigorosamente pedonale, vibra di ristoranti, sia tipici che etnici, sgargianti per colori e brillanti per luci al neon. Intorno a lei, invece, si stagliano grattacieli austeri che però non riescono a soffocare l’atmosfera più autentica di Parigi, visibile tra le installazioni colorate che sovrastano il grigio che si mischia con il cielo. In questo panorama, l’anima di Parigi sopravvive soprattutto in uno spettacolo di foliage urbano che prende vita tra le sterpaglie che si colorano di giallo paglierino e di rosso fuoco. L’anima di Parigi qui spunta timidissima nei momenti in cui il sole trova uno spiraglio tra le nuvole sempre prepotenti in autunno. Nanterre è un labirinto industriale di difficile comprensione per tassisti e turisti e gli anelli concentrici che caratterizzano la Defense Arena non sono poi così diversi. Muoversi tra i gate inizialmente è straniante per chi ha ancora in mente il ricordo di Bercy, ma pensare a quanto sia più capiente adesso il campo 1 aiuta a mandar via la nostalgia. Chissà se ci sarà un altro Sinner contro Alcaraz a raccontare la favola di un campo di periferia che diventa palcoscenico pregiato di storia. Per quest’anno, non è già più possibile. Sicuramente, dal campo 1 di Parigi Nanterre parte la storia di Joao Fonseca in questo torneo mai giocato in carriera. Storia che parte da una partita di primo turno contro un ex finalista, però a Bercy, vale a dire Denis Shapovalov. La scelta di programmazione non è lungimirante, ma è obbligata, perché non è possibile togliere a Rinderknech e Vacherot il privilegio, guadagnato in bellezza, di aprire il Centrale. Però, alle 11.00, a essere sold-out è il campo 1, puntellato di verdeoro fin dalla sfida tra Auger-Aliassime e Comesana, intermezzo quasi sgradito prima di vedere uno tra i frontman di domani. Prima, però, tra le tribune spunta anche una bandiera argentina, portata fino a Parigi dai tifosi di Comesana e per questo punita dai tifosi brasiliani con un supporto ad Auger-Aliassime che sembra più vendicativo che sincero. Comesana si presenta a rete per il sorteggio saltellando e sciogliendo il braccio. Auger-Aliassime è impassibile come una statua di marmo e nel warm-up sbaglia tutte le volée, motivo per il quale deciderà di servirsene il meno possibile in partita. L’argentino sorprende – e non poco – per il tennis divertente e perché usa da manuale il back di rovescio a una mano per prendere la rete e attaccare, strategia che non si vede quasi mai né in Francisco Cerundolo, né in Baez, per prendere a paragone i suoi connazionali. Il campo effettivamente si presta bene a questa tattica, complici i numerosi rimbalzi morti tipici di condizioni di gioco lente, ma poi, a guardare i risultati, ad aver sofferto di meno per il momento sono stati quei tre o quattro che sono riusciti a mettere a segno almeno 15 ace, come Bublik e Rinderknech. Il che un po’ smentisce la convinzione che a essere favoriti sono quelli che preferiscono campi veloci. Mentre Comesana crea, Auger-Aliassime cerca sé stesso e il proprio tennis di razionalità che funziona tanto bene indoor, lì dove non è il meteo a essere un fattore, ma le traiettorie piatte. I punti più belli nascono da iniziative pensate e messe in pratica dall’argentino, capace di superare il canadese con il lob tre volte nei primi cinque game. Poi, però, dal 5-4 e servizio Comesana nel primo set, la partita diventa un’ode alle frazioni di secondo da non sprecare. Sulla palla break concessa al momento di chiudere il parziale, l’argentino va a rete con un attimo di ritardo e chiunque in tribuna percepisce che il ‘timing’ è andato perso e che la volée non passerà dall’altro lato di campo. Lì per lì Auger-Aliassime non capisce e perde il tiebreak perché troppo impegnato a sorridere sarcastico contro sé stesso tra un punto e un altro, a lamentarsi, con gesti eloquenti, per il proprio tennis passivo e ad esprimere malcontento vocale per i propri stessi errori. Poi, però, lentamente, la qualità di gioco scende, la stanchezza sale e, paradossalmente, la sfida nella sfida per il canadese è capire come non lasciarsi di nuovo travolgere emotivamente da un incubo chiamato ATP Finals contro Muller, soprattutto sapendo in anticipo che il pubblico non sarà più così clemente con lui. Aspettando Joao Fonseca, un tifoso francese di fianco ci chiede di che nazionalità siamo. “Italian”, rispondiamo. “Ah, Italian. Jasmine Paolini”. “And Jannik Sinner”, puntualizziamo, per specificare che siamo una superpotenza nel tennis sia al maschile che al femminile. “Sì, ma Jasmine Paolini è fantastica, soprattutto in coppia con Sara Errani. Nessuna gioca con più intelligenza, con più tattica e con più variazioni di loro”. Finalmente, grazie al tennis, l’Italia è ben rappresentata, pensiamo con orgoglio. Standing ovation verdeoro A essere ben rappresentato è anche il Brasile, con Fonseca che ha già quello che gli statunitensi definiscono ‘starpower’ o ‘stardom’, che dir si voglia per definire quel concetto di carisma innato. Non appena il pubblico ne intravede la borsa Yonex e il cappello bianco, sul campo 1 parte una spontanea standing ovation borderline con la mania, tra cori dedicati a ‘Juao’ e bandiere sventolate – una addirittura a rappresentare il gemellaggio tra il diciottenne di Rio de Janeiro e lo Esporte Clube Bahia. Il tutto viene continuamente ripreso da migliaia di smartphone pronti a catturare il minimo dettaglio sulla scarpa o il più impercettibile movimento con la racchetta. Dopo la foto di rito, Fonseca e Shapovalov si augurano buona fortuna a vicenda e il cenno di intesa reciproco è il segnale che i fatti di Basilea, con il canadese che aveva abbandonato la partita a metà terzo set per protesta contro il giudice di sedia, sono già stati dimenticati. Tutto normale nel tennis, dove capita di lasciarsi trascinare dall’adrenalina, ma poi tutto finisce nel momento in cui si rischia di violare un codice etico non scritto fondato sulla lealtà e il rispetto. Shapovalov inizia la partita con una protezione nera al ginocchio destro, ma poi sceglie di rimuoverla sul 6-5 nel primo set, in un momento in cui a prevalere non è né lo spettacolo, né la tattica, assente non giustificata per il canadese, meno richiesta a un Fonseca ancora troppo concentrato su come generare forza bruta fine a sé stessa. A prendersi la scena, quindi, è soprattutto il pubblico brasiliano, ruvido a tratti in modo fastidioso e momentaneamente zittito dal parziale vinto da Shapovalov mentre sul campo Centrale, “The supermassive black hole” è la colonna sonora che sta aiutando Moutet a rimontare un set di svantaggio a Opelka e sul campo 2 il ‘grunt’ di Zverev, impegnato in doppio insieme a Melo, è il segnale che il campione in carica è arrivato a Parigi dopo la sconfitta – dolorosa e insieme bellissima – in finale a Vienna contro Sinner. Il pubblico è attore protagonista anche nel secondo set, nel mondo in cui, violando qualsiasi etichetta di classe, esulta come se il Brasile avesse vinto una finale del Mondiale al Maracanà dopo che un doppio fallo di Shapovalov consegna a Fonseca un prezioso break in apertura di secondo set. Joao ha sicuramente una velocità di crociera con il dritto paragonabile soltanto ad Alcaraz, Sinner e Rune in tempi recenti, ma tutti e tre erano decisamente più formati in termini di conformazione fisica già a 18 anni, mentre Fonseca, per quanto imponente dal punto di vista muscolare, sembra dover lavorare sia sullo spostamento laterale e che sulla manualità nonostante il punto vinto nello stretto in una tra le innumerevoli parità sul 2-1 nel secondo set sia la dimostrazione che il talento di partenza esiste. Il brasiliano alla fine riesce a vincere in rimonta e chi ha deciso di sgranchirsi le gambe ha commesso un errore clamoroso perché, dopo essere riuscito dal gate 101, è costretto a mettersi in fila per rientrare più o meno vicino al gate 107. Chiamarlo effetto Joao è un cliché, ma è faticoso ricordare un altro che ha generato un tale flusso di tifosi per le proprie partite fin dalla prima stagione nel circuito ATP. La tentazione di fermarsi a bere un caffè e di riprovarci più tardi è forte, ma non appena Fonseca lascia il campo le tribune si svuotano e a riempirle in fretta non bastano la vittoria di Medvedev sul Centrale e l’ingresso di Valentin Royer sul campo 1, contro un Alejandro Davidovich Fokina soltanto aritmeticamente in corsa per le ATP Finals di Torino. Peccato che non sempre la matematica sia di aiuto per trovare motivazioni. Royer è piccolo, ma rapido e vederlo giocare ricorda un altro francese di metà classifica, Alexandre Muller, che quest’anno è stato numero 38 ATP e che, come il connazionale, gioca con una Babolat Pure Aero di colore giallo. La partita, di per sé tranquilla, diventa improvvisamente folle grazie a un gruppo di tifosi di Davidovich Fokina che, con le proprie urla, riesce a sovrastare i tamburi portati in campo dalla Tribune Bleue. Ne viene fuori una baruffa a livello ambientale che finisce per rianimare lo spagnolo, nonostante il punto spettacolare vinto da Royer sotto 3-3, 0-40 nel terzo set. Davidovich Fokina avrà davvero bisogno di questo clima ultras contro Cazuax. Cobolli ci ha messo 54 minuti a sconfiggere Machac mentre Shelton ci sta mettendo più di due mesi a ritrovare il proprio servizio. Questa è la premessa mentre i due si scambiano cortesie in forma di dritto fin dai primi game. Guardarli mentre si affrontano conferma l’impressione che Flavio e Ben siano gemelli diversi ben oltre lo stesso completo ‘On’ di colore grigio chiaro. Già le scarpe e i polsini sono diversi: rosa shocking ed estremamente appariscenti nonostante i led per Cobolli, bianchi e sobri quelli di Shelton, che, a proposito di sobrietà, nel 2025 è entrato in top ten anche e soprattutto perché più disposto a tenere sotto controllo la tentazione di giocare sempre in modo balistico. Balistico, oppure risolutore, come il tennis di Ben, che poi alla fine sarà sempre creativo perché un mancino è così. Meno balistico perché di costruzione è invece il tennis di Flavio, la cui mano dominante è la destra, con la quale sa trovare angoli che soltanto un goniometro potrebbe stringere così tanto. La partita è giovane, frizzante e gradevole e il rammarico è che, nel frattempo, dal campo Centrale si percepisce prima, si sente poi, l’aura di Carlos Alcaraz che apre la sessione serale contro Norrie. Parigi è giovane quasi quanto la partita, ormai diventata pseudo-notturna e mentre il pubblico è tanto indisciplinato, quanto partecipe, il game sul 5-5 passa in archivio come un capolavoro di intensità che suscita invidia in chi, al contrario, teme che Carlitos non abbia approcciato il torneo nel modo giusto. Ultimo lampo, poi il tiebreak: a vincerlo è Shelton, complice un unico mini-break sul quale Cobolli non ha gravi responsabilità tattiche. Il secondo set è una copia sbiadita che non riesce a replicare l’originale e l’ultimo game di Ben al servizio fotografa un anti-climax che poi è il motivo per cui Flavio lascia il campo contrariato. Correndo verso il Centrale, ci è piaciuto pensare che Alcaraz, vestito di un giallo reso ancora più fluo dai neon, fosse finito sotto di un break dopo aver appreso la notizia che stavamo per vincere una sfida di Basket-Tris. Luci e lampi: uno soltanto per Carlitos, ossia il passante di dritto soltanto ruotando il polso ad aprire il settimo game nel secondo set. Poi il nulla. Anzi, 54 errori non forzati per la precisione. Lento o veloce non importa, evidentemente per Alcaraz la stagione indoor è fonte di nervosismo elettrico e di stanchezza emotiva più che di ostinazione tattica. Da Parigi a Parigi, Carlitos’ story: mentre al Roland Garros, nell’unico set perso prima di arrivare in finale contro Marozsan, Alcaraz aveva dato la sensazione di complicarsi la vita per divertimento, qui alla Defense Arena il dritto va fuori di metri, il rovescio finisce sistematicamente a rete e trovare il modo giusto di spingere con margine è impossibile. Al cambio di campo sul 2-1 nel terzo set il dj ci prova anche ad aiutare lo spagnolo, a cui sembra dedicare ‘Si antes ne hubiera conocido’ . Anche il pubblico canta per Carlitos, ma lui subisce il break sul 3-3 e, dopo aver sprecato tre chance di immediato controbreak, sul 5-3 tira un calcio di rabbia al box con gli asciugamani. Norrie ha la possibilità di chiudere la partita sul 5-4 e il dj questa volta tratta Alcaraz con ironia, perché ‘September’ più che una canzone è il ricordo di un mese in cui il tennis si giocava comunque sul cemento, ma quello bello perché outdoor. Finisce così, con Sinner che, in caso di titolo, tornerebbe numero 1 al mondo – anche se soltanto per una settimana. A proposito di Parigi. DIARIO DA PARIGI - GIORNO 1

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Quando a Parigi il tifo nel tennis diventa... da Mondiale

Michela Curcio