L’arte di passare una pallina: anche in questo ci vuole una selezione

Prima di tutto, chiamiamoli come si deve: ‘Ball person’ suona meglio di ‘raccatapalle’. È un angilicismo che in qualche modo nobilita un ruolo sommerso nel mondo dello sport, ma comunque utile. Fondamentale? No, nessuna iperbole. Ma il ball person serve. Chi ha memoria storica, ricorda sicuramente quell’abbraccio di Mourinho al giovane ragazzo del Tottenham, bravo a dare subito palla per battere una rimessa che avrebbe portato al 2-2 di Kane contro l’Olympiakos. Quel frame fece davvero il giro del mondo. Nel calcio qualche astuzia è nota e la questione è stata risolta mettendo più palloni a disposizione diretta dei giocatori, senza necessariamente il ricorso all’intervento umano. Nel tennis, no. Le astuzie non ci sono, né ci possono essere. Ma è tutta un’altra dinamica. Solo che per fare il ball person devi essere selezionato. E hai una serie di direttive molto chiare da rispettare. A Sky Sport Insider, lo spiega Giada Bagarello, che per il quarto anno consecutivo ha collaborato con l’Atp per le Finals di Torino. È una studentessa, Giada, appassionata di tennis. Così come tutti i suoi colleghi. Non potrebbe essere altrimenti. “La prima convocazione era arrivata nel 2021: il Circolo della Stampa aveva chiesto a tutti i circoli torinesi di partecipare alla selezione. Io ci andai con il mio, il Nisten” spiega. Aprendoci un mondo sommerso, pieno di regole. “È inutile dire che la parola d’ordine sia sempre una: ‘concentrazione’” spiega. “Ma c’è anche tutta una preparazione da fare, oltre a una selezione che porta i volontari a diventare ball person o a svolgere altri ruoli all’interno dell’organizzazione. Ci prepariamo per 10 ore in totale, dentro a due fine settimana di corsi: si giocano delle simulazioni di partite, si dispongono i candidati per il campo e si vedono le movenze, i meccanismi, i tempi di reazione”. Il lancio della pallina Nello specifico, “Viene spiegato a tutti come piegarsi, quali modalità e velocità deve avere il lancio della pallina verso il tennista. Ci viene spiegato anche dove tenere lo sguardo: chi sta a rete deve avere sempre un contatto visivo con chi sta in fondo, o rischia di perdersi una palla. Di solito lavoriamo con la luce naturale, ma alla vigilia della partita facciamo le prove anche al palazzetto, con la musica che suona: ci serve per capire il tipo di atmosfera, persino le vibrazioni del campo”. Le mosse? “Quando devi lanciare la pallina, la gamba sinistra deve essere piegata, quella destra con il ginocchio a terra. Permette maggiore equilibrio ma anche di passare senza imprecisioni la palle rasoterra, così da evitare rimbalzi o da mantenerle il più intonse possibili”. Pronti all’ascolto Non c’è poi solo una questione di movenze, esistono delle norme di comportamento precise da osservare. “Ci viene imposto il massimo della professionalità” conferma Bagarello. “Non possiamo proporci per foto o autografi, non possiamo parlare ai giocatori, ma dobbiamo essere pronti nel caso ci chiamino. A me è capitato, per esempio, che Vagnozzi mi chiedesse di portare una pomata a Sinner, o che lo stesso Sinner mi chiedesse di rimanere vicino a lui quando mi era caduta una pallina che non potevo quindi più dargli. La richiesta dell’atleta è sovrana, anche se va in direzione diversa rispetto a quello che normalmente dovremmo fare”. E deve essere rispettata al netto della possibile emozione. “Noi entriamo in campo prima dei giocatori: quando si spengono le luci, si alza la musica e si sente il tifo dagli spalti, si avvertono delle vibrazioni davvero incredibili”. L’atmosfera è tutto e rischia di rendere il lavoro più difficile. “L’importante è non perdere mai la concentrazione: dobbiamo avere sempre a mente il punteggio, capire quando essere pronti a passare a rete la palla, avere ben chiare le fasi di gioco”. Questo, sì, è molto simile al calcio. Forse con meno protagonismi. Ma con la stessa efficacia.

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Valentino Della Casa