Alcaraz e Ferrero: separarsi nella maniera giusta come un padre fa con il figlio

“Father and son”, ma con un finale diverso. Non amaro, non atteso, non urlato. Semplicemente diverso. Perché se nel 1970 Cat Stevens cantava: “It's not time to make a change, just relax, take it easy. You're still young, that's your fault. There's so much you have to know ”, per Carlos Alcaraz 22 anni sono tanti abbastanza per prendere la decisione più rivoluzionaria e, perché no, la più divisiva di una comunque già intensa carriera, interrompendo il rapporto professionale con Juan Carlos Ferrero, più di un allenatore, più di un mentore, quasi un secondo padre per lui. Sette anni, impreziositi da sei Slam, otto Masters 1000, lacrime di gioia e, in generale, più trionfi che delusioni insieme: tanto, a livello temporale. Un tanto che diventa ancora più grande, forse fino a diventare troppo nel mondo di un bambino diventato uomo, ma con la missione morale ed esistenziale di conservare dentro di sé il ragazzo di sempre. Ferrero e Alcaraz si sono conosciuti quando Carlitos aveva ancora 15 anni, un talento molto grezzo, lo stesso sorriso largo di sempre e le idee ancora non molto chiare non tanto sulle proprie ambizioni, ma sulla “manera” – e questa parola non è affatto casuale – di conquistarsi i propri successi. Era il 2018 e “Juanki” veniva dall’esperienza da embrionale supercoach di Sascha Zverev, uno che non potrebbe essere più diverso da Alcaraz, sia a 20 che a 30 anni. Un’esperienza che aveva “scottato” Ferrero e che, probabilmente, gli ha lasciato i segni ancora oggi, complici un po’ di interviste con parole da “dico e non dico”. Un’esperienza prevalentemente negativa, per l’atteggiamento mostrato dal tedesco, ma forse anche per le riflessioni che aveva suscitato nell’ex numero 1 spagnolo, arrivato ai vertici con disciplina e rimasto a interrogarsi su quanto fosse cambiato il mondo in poco più di 15 anni. A un bivio più umano che professionale, per Juan Carlos prendersi cura di un piccolo Carlos era una scommessa, in campo, sicuramente – anche perché poi non è mai dato sapere cosa accadrà alla carriera di un designato fenomeno di domani – e fuori. Carlos era un progetto da crescere con la racchetta e con il cuore, un campione di domani, con un tennis di oggi, a cui insegnare i valori di ieri. L’inizio di un viaggio, sempre in viaggio. Un viaggio vissuto inizialmente in modo un po’ sperimentale, tra la prima vittoria Atp ottenuta già a 16 anni e la prima semifinale nel circuito maggiore arrivata un anno dopo, ad aprile 2021. Ma è ad aprile, però nel 2022, che tutti capiscono quanto sia forte il legame tra mentore e allievo. A 18 anni, Carlos Alcaraz è arrivato in fondo nel Masters 1000 di Miami, la prima finale importante di una carriera sulla quale adesso più di una leggenda non ha paura di sbilanciarsi. Ferrero non è lì, costretto a lasciare gli Stati Uniti durante Indian Wells per la morte improvvisa del padre. Poi, però, di sabato, nel giorno in cui si preparano gli ultimi dettagli, più mentali che tecnici a dire il vero, Carlitos, seduto in albergo con maglietta bianca e pantaloncini di jeans a bermuda, sente la voce di coach Juanki e corre ad abbracciarlo come un bambino che rivede il papà, probabilmente consapevole che, in un momento così drammatico umanamente per lui, Ferrero aveva abbandonato i panni di figlio per trasformarsi in padre – putativo – di un ragazzo che stava crescendo sotto i propri occhi. Per riprendere nuovamente la canzone di Cat Stevens, “I was once like you are now and I know that it's not easy to be calm when you've found something going on ”. Alcaraz vincerà poi il torneo, sconfiggendo in finale Ruud e il primo pensiero in tribuna sarà proprio per Ferrero, in un groviglio di braccia e di lacrime che vede quasi più commosso il vecchio coach che non il rampante diciottenne. Chiamiamolo fotogramma di una storia, ma, a basarsi soltanto sui risultati, di immagini negative, controverse, criticabili o anche semplicemente stonate, a dire il vero non ne sono mai esistite. Anche perché se “l’annus horribilis” di Alcaraz è stato un 2024 in cui ha “soltanto” vinto due Slam e ha chiuso la stagione “soltanto” da numero 3 del mondo, vuol dire che il metro di misura da applicare su Carlitos è praticamente impossibile da ricondurre nei binari di una razionalità squisitamente in formato tennis. Diventare numero 1 al mondo a 19 anni, vincere Wimbledon a 20 anni, completare il Channel Slam – vittoria di Roland Garros e Wimbledon – a 21 anni: nessuno mai è riuscito a concatenare questi tre traguardi così precocemente e così insieme. Così facile lavorare con Carlitos, quindi? A livello di tennis, a dire il vero, sì, anche se a Ferrero va comunque riconosciuto il merito di aver sempre aiutato il talento a rimanere nei binari di una lucidità tattica e una pulizia tecnica che sono imprescindibili per chi ha vinto almeno uno Slam in stagione negli ultimi quattro anni. Soprattutto, però, apprezzando la straordinaria fortuna di una collaborazione in cui tutto è sempre andato bene, Juan Carlos è stato fondamentale per aiutare Alcaraz a combattere tutti gli scherzi che avrebbe potuto giocargli la mente, evitando che il ragazzo andasse nella direzione di un “burnout” da eccessivo successo oppure verso il desiderio – forse comprensibile, ma sicuramente superficiale, di vivere oltre i propri limiti, lasciandosi irretire dalle sirene dell’arroganza. Rischi del mestiere, ma anche pericoli mai veramente corsi da Carlitos, rimasto quasi sempre impeccabile nell’atteggiamento in campo e “normale” nelle proprie passioni lontano dal tennis, come quella volta che un migliaio di fortunati turisti a Parigi si sono trovati a passeggiare di fianco a maestro e allievo per i giardini del Louvre durante il Roland Garros 2022. Quindi, però, come spiegarsi questa separazione così improvvisa? La risposta è, ancora una volta, nascosta nelle strofe di Cat Stevens: “How can I try to explain when I do he turns away again. And it's always been the same. Same old story. From the moment I could talk I was ordered to listen ”. In questo senso, per quanto romanzato, il documentario Netflix “Carlos Alcaraz: A mi manera”, dà un po’ di indizi per trovare un inizio di spiegazione a una decisione che altrimenti sembra soltanto folle. Sia Ferrero che Alcaraz sono stati numero 1 al mondo, ma il modo in cui ci sono arrivati è frutto di due tipi completamente diversi di forma mentis. Provare a conciliarle è stato un obbligo – ovviamente più che piacevole e fortunato – per raggiungere le vette più alte che esistono nel tennis, ma poi inevitabilmente ci si scontra su un limite oltre il quale migliorare viene percepito come cambiare, nel senso di snaturarsi. In carriera Juanki è stato disciplina, rigore, tennis vissuto come ossessione e poco altro di più. Sia chiaro che Carlitos non è soltanto il talento un po’ dissoluto rinchiuso nel recinto di Ibiza, ma è stato Alcaraz stesso a dire di voler vincere quanti più Slam possibile “ma a modo proprio”. “Now there's a way and I know that I have to go away. I know I have to go. ”. In altre parole, quelle usate dal numero 1 al mondo su Instagram: “Grazie per avermi aiutato a realizzare i sogni che avevo da bambino. Mi hai accompagnato in un viaggio incredibile dentro e fuori dal campo e mi sono divertito moltissimo a camminare insieme a te”. Una scelta indubbiamente difficile, ma, a volerci vedere anche una similitudine, nell’età e nelle motivazioni, la stessa scelta di Jannik Sinner che, a 21 anni, ebbe il coraggio di separarsi da Riccardo Piatti per capire come vivere lontano da quello che era diventato un nido fin troppo familiare. Ci mancherebbe, a livello sportivo Carlitos e Jannik hanno preso questa decisione trovandosi in fasi di carriera diametralmente opposte: lo spagnolo ha chiuso il 2025 da leader nel ranking Atp per la prima volta dal 2022, mentre ai tempi in cui l’italiano prese la decisione di lasciare il proprio storico allenatore, aveva appena vinto 5 titoli Atp e non era mai andato oltre i quarti di finale in uno Slam. Eppure, il principio è fondamentalmente identico: cambiare non per senso di ingratitudine, ma, per vedere che cosa esiste fuori. Anche accettando che possano esserci intoppi sul percorso, momenti di crisi e di dubbi e delusioni tali da voler quasi tornare indietro. Immaginare chi possa esserci nel futuro di Alcaraz al momento è speculazione. Di suggestioni ce ne sono tante; per i fatti, probabilmente, bisognerà aspettare proprio Carlitos. Che ha messo il punto a una storia che è sempre stata e che comunque vada sarà a lieto fine. La storia di un padre e di un figlio.

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Alcaraz e Ferrero: separarsi nella maniera giusta come un padre fa con il figlio

Michela Curcio