Ma quanto vale fare tanti ace nel tennis di oggi?

Chiedete a un tennista qual è il desiderio che esprime più spesso durante una partita – meglio se combattuta – e vi risponderà: “un punto diretto”. Ovviamente da ottenere con il servizio. Una preghiera per un ace, un “must to” per annullare una palla break o per sfruttare al meglio un match point: niente di meglio. Poi ovviamente i tornei non si vincono senza mai metterci la racchetta in risposta, ma è interessante chiedersi quanto effettivamente “l’ace rate”, vale a dire la proporzione tra numero di ace messi a segno in rapporto alla superficie sulla quale si è giocato un torneo, sia stato alleato di chi poi ha conquistato il suddetto torneo o se, come sostenuto da molti in stagione, con toni più o meno tendenti al complotto, il progressivo rallentamento e omologazione dei campi abbia favorito i più forti nello scambio. La prima analisi di massima va tracciata osservando quali e quanti tornei hanno visto il proprio “ace rate” diminuire o aumentare in modo rilevante dal 2012. Ne viene fuori una fondamentale premessa: negli Slam, le variazioni sulla curva gaussiana sono tali da non imporre nette riflessioni, il che, di conseguenza, impone la conclusione che “l’ace rate” sia un fattore molto più rilevante nel tennis che si gioca due set su tre che non su quello che vede battaglie al meglio di cinque set. Esclusi gli Slam da questa narrativa, quindi, ad attirare l’attenzione sono innanzitutto i primi due Masters 1000 di stagione, quelli che compongono il “Sunshine Double”, ossia Indian Wells e Miami. Considerato che nessuno si porta a casa entrambi i tornei dalla doppietta messa a segno da Roger Federer nel 2017, non vi stupirà sapere che i campi non potrebbero essere più diversi per facilità di mettere a segno ace. Nello specifico, in California nel 2022 “l’ace rate” era salito fino al 9,2%, il più alto negli ultimi sette anni, per poi scendere nel 2025 addirittura a 7.1% - il più basso, e per distacco – dal 2012. Giusto notare che nel 2022 a vincere il torneo era stato Taylor Fritz, che effettivamente esprime il proprio miglior tennis su superfici veloci, mentre quest’anno a trionfare è stato Jack Draper, nome di indubbio talento, ma che, forse, ci si aspetta di vedere più performante su campi sui quali non è costretto a rimanere nello scambio. Per contesto, in semifinale il britannico aveva sconfitto il bi-campione uscente Carlos Alcaraz, che nel 2023 e nel 2024 si era portato a casa un torneo con “ace rate” rispettivamente di 8,1% e 8,5% . Capitolo Miami: quel 9,2% di “ace rate” che a Indian Wells sembrava enorme, in Florida è quasi un’accusa di lentezza. Curiosamente, questo valore si è registrato nel 2021, anno in cui il torneo è stato vinto dal tennista che forse ha il miglior servizio nel circuito Atp , vale a dire Hubert Hurkacz, che aveva sconfitto in finale un acerbo Jannik Sinner, la cui risposta era già ottima, ma non fenomenale. Da quell’edizione in poi, mettere a segno ace nell’Hard Rock Stadium è diventato progressivamente più facile. Carlos Alcaraz ha sfruttato l’ultimo anno in cui "l’ace rate" di Miami è rimasto sotto il 10%, nel 2022. Poi la percentuale è continuata a salire fino al 12,6% di questa stagione, valore numerico che ha effettivamente premiato uno Jakub Mensik il cui servizio è già spaventoso nonostante abbia ancora soltanto 19 anni. Sulla terra rossa, le variazioni sono meno marcate, complice presumibilmente la lentezza di partenza di questa superficie. Vale la pena, dunque, soltanto citare due dati: nel Masters 1000 di Madrid, nettamente il più veloce tra i tre che si giocano “sul red”, prendendo in considerazione il decennio partito nel 2020, “l’ace rate” massimo si è registrato nel 2022 , anno in cui, però, a vincere è stato Carlos Alcaraz, il quale, ad appena 19 anni, ha sconfitto in fila tre signori come Rafa Nadal, Novak Djokovic e il campione uscente Sascha Zverev, il quale nel 2021 aveva avuto ragione in finale di Matteo Berrettini su un campo con “ace rate” dell’8,6%. Nel Masters 1000 di Roma, invece, "l’ace rate" si è rivelato particolarmente un fattore fino al 2024. In un torneo dominato da Nadal e Djokovic, con le eccezioni di Murray e Medvedev , l’unico altro bi-campione dal 2005 in poi, ossia Zverev, ha vinto due tra le edizioni con “ace rate” più alto rilevato, portandosi a casa il trofeo nel 2017 e nel 2024 . Il giro del circuito per capire come funziona “l’ace rate” ci porta in Nord America e qui la parola chiave è “cambiare”, perché i Masters 1000 di Canada e Cincinnati sono tra i tornei con le maggiori oscillazioni nel circuito in termini di proporzione tra superficie e ace messi a segno. Prendendo in considerazione i dati a partire dal 2021, i numeri non potrebbero essere più discordanti e difficili da catalogare. In Canada si va dal titanico “ace rate” di 14,1% nel 2021 , che ha favorito – non così a sorpresa – un Daniil Medvedev alla miglior stagione in carriera anche grazie al proprio servizio, a un valore crollato all’8,7% a Montreal 2024, anno in cui, comunque, il torneo è stato vinto da un altro “big server”, Alexei Popyrin, che tra l’altro aveva anche salvato tre match point negli ottavi di finale contro Grigor Dimitrov. Per contesto extra: a Toronto 2023, anno in cui a trionfare era stato uno Jannik Sinner al primo Masters 1000 vinto in carriera, "l’ace rate" del torneo è stato 9,4%, il terzo più basso di sempre dal 2012. Il che dimostra che l’italiano, nonostante la predisposizione per le superfici veloci, ha sempre sfruttato i vantaggi che gli derivavano dal timing in risposta più che dai punti diretti ottenuti con il servizio. Oscillazioni altrettanto “matte” si sono registrate nello stesso periodo di tempo in Ohio: complessivamente Cincinnati è il Masters 1000 nel quale è diventato progressivamente più difficile mettere a segno ace, tanto che nel 2023 si è registrato un valore minimo di “ace rate” dell’8,3% che si è tradotto, forse neanche troppo a sorpresa, in una finale tra il più grande ribattitore di sempre, Novak Djokovic e un rampante Carlos Alcaraz, vinta dal serbo annullando un match point. Nel 2021, invece, a beneficiare di un “ace rate” al rialzo del 12,5% era stato Zverev, il quale aveva sfruttato il proprio servizio per sconfiggere Rublev in un ultimo atto di torneo durato appena 57 minuti. E nel 2025? "L’ace rate" di 12,3% è stato il quarto più alto dal 2012, ma la finale è stata una partita fantasma, per cui impossibile sapere come sarebbe andata veramente se Sinner non avesse avuto un virus gastrointestinale. E si arriva così all’ultimo Masters 1000 di stagione, a Parigi, evento da sempre tra i più chiacchierati se si parla di velocità di campi, forse perché il periodo stesso impone riflessioni generali. Negli anni, il torneo ha avuto index di velocità di campo tra i più rapidi o tra i più lenti a livello Atp, senza mezze misure. Inevitabilmente, una tale situazione non poteva non riflettersi su un parametro come "l’ace rate": nel 2024, in una tra le edizioni più “rapide” di sempre, "l’ace rate" di Parigi Bercy era schizzato al 13,3%, il secondo più alto dal 2012, e a portarsi a casa il trofeo è stato Sascha Zverev, devastante con la propria prima di servizio; nel 2025, invece, con campi rallentati quasi di 10 punti percentuale, "l’ace rate" di Parigi Defense è crollato al 10,5% e a trionfare è stato Jannik Sinner, colui che, al momento, vanta la risposta più forte di tutte nel circuito Atp. Dunque, quali conclusioni possono essere suggerite da questo quadro di dati? La prima: è un pregiudizio pensare che la rapidità di un campo venga definita soltanto dall’index di velocità, perché se anche su un campo lento è semplice mettere a segno ace, a beneficiarne a fine torneo potrebbero essere profili di tennisti diversi da quelli che verrebbe naturale pronosticare in partenza. Esempio molto recente: il Masters 1000 di Shanghai quest’anno ha avuto un “court index” di 32.8, il più basso di sempre, ma un “ace rate” dell’11,2%, classificato come “medio alto”. Risultato? A vincere il torneo è stato Valentin Vacherot, non esattamente uno da superfici lente. La seconda: prendendo in considerazione anche “l’ace rate” oltre che il “court index”, viene fuori che, tolti Masters 1000 tradizionalmente lentissimi, come Monte-Carlo e Roma, dal 2021 in poi soltanto un torneo è stato catalogato come “slow” in termini di superficie ed è Indian Wells 2025, vinto tra l’altro dal Jack Draper che non ti aspetti. Al contrario, praticamente tutti i Masters 1000 sul cemento, sia indoor che outdoor, in un modo o in un altro, riescono sempre a favorire chi ama condizioni di gioco più rapide, tanto che, per dirne uno su tutti, il tanto vituperato Masters 1000 di Parigi Defense, il cui “court index” è sceso dal 45.5 del 2024 al 35.1 di questa edizione, è stato comunque classificato come torneo “medium fast”, proprio grazie a un “ace rate” di 10,5% e, in generale, a una media scambi di quattro colpi a punto, che evidenza una tendenza al ribasso, più che al rialzo. La terza: comunque mettere a segno tanti ace non significa automaticamente vincere più tornei. Archiviata anche la Coppa Davis, questa è la top ten di chi è stato in grado di usare di più il servizio come un jackpot di punti: Fritz , Opelka , Auger-Aliassime , Mensik , Bublik , Shelton , Mpetshi Perricard , Zverev , Rinderknech e Medvedev . Titoli vinti in 10? Appena 13, di cui soltanto due Masters 1000 . Finali Slam? Una soltanto – ossia Zverev agli Australian Open, finale tra l’altro finita malissimo. Non sempre i numeri sono tutto.

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Michela Curcio