La nuova vita di Paolo Nicolai: “Beach volley, ti ‘sfido’ così”

“Ma te ne stai rendendo conto?”. Non è la prima domanda che gli abbiamo fatto. Anzi, non gliel’abbiamo proprio fatta. Ma il sottotesto era quello: stai per smettere dopo oltre vent’anni di carriera ad altissimo livello, e già pensi al futuro. Per Paolo Nicolai la prospettiva cambia solo di poco: la rete del beach volley passa dal vederla di fronte, da giocatore, a lato, da direttore tecnico. Me se abbiamo anticipato la domanda, non lo facciamo con la risposta. Perché l’uomo è sorprendente. Ancora più che l’atleta. E in carriera possiamo dirlo: ha vinto praticamente di tutto. Come mai ha preferito fermarsi adesso? “Io ho avuto la fortuna di chiudere facendo le Finals del Pro Tour di Doha, che sono esattamente come il tennis: le otto migliori squadre che si affrontano, più due wild card. Posso dire di aver giocato fino all’ultimo ad altissimo livello, ed è sempre stato il mio obiettivo. Il fatto è che avendo consapevolezza della mia età, poi avrei rischiato di vivere una parabola discendente che non mi sarebbe piaciuta. O appartenuta. Questo sport poi si gioca sempre a due: non ci sono riserve o sostituti, se avessi avuto qualcuno a cui dare il cambio, ci avrei pensato di più. Ho pensato fosse il momento giusto: volevo scegliere io quando smettere e volevo capire quando fosse il momento di fermarsi. Ho preferito farlo anche per rispetto della carriera che ho avuto”. Che è stata veramente importante. Anche se è partita indoor: come palleggiatore. Poi cosa è successo? “Voglio subito dirlo, perché per me è importantissimo: credo che questo sport sia uno solo. Indoor o outdoor, quello è. Sono partito con la pallavolo tradizionale, diciamo così, ma poi quando ho scelto il beach non mi è mai sembrato di aver cambiato sport. Tutto è avvenuto quasi per caso: probabilmente ero ancora troppo piccolo per l’indoor, avevo 15 anni, sentivo di non dare il meglio. L’anno dopo, quando ho cominciato con il beach volley, ero più maturo: la lontananza pesava meno, ho subito ottenuto una medaglia d’argento, mi hanno fatto entrare nel gruppo dei Seniores. Insomma, mi sono sentito più adulto”. La prima medaglia d’argento è stata la più importante della sua carriera? “È stato un ricordo stupendo ma no. C’è un altro argento che mi porterò sempre nel cuore: quello alle Olimpiadi di Rio del 2016. È stato il coronamento di un sogno. Insieme a quelle, voglio citare assolutamente le ultime Olimpiadi, quelle di Parigi: c’era la mia famiglia a vedermi dal vivo, è stato emozionante”. In Francia avete concluso al nono posto. Lei e Samuele Cottafava: l’esperto e il più giovane. Che responsabilità si sentiva alle spalle? “Sono sincero: ho sempre rifiutato l’idea che l’atleta più anziano debba guidare quello più giovane: l’unico modo in cui posso aver influito in qualche maniera è tramite l’esempio e i comportamenti che Samuele ha deciso di seguire o meno, senza imporre nulla. Non credo che un giocatore più grande debba fare da mentore a quello più giovane: ognuno ha le sue idee, ci sono valori di squadra che vanno condivisi a prescindere dall’età. Con Samuele c’è un rapporto straordinario, non mi sono mai sentito nella condizione di dovergli insegnare qualcosa”. Ci sembra di sentirla già parlare da allenatore. “Diciamo che è stata un’evoluzione naturale. Ma soprattutto quello che io volevo: era una mia idea da anni, mi sono preparato molto per arrivare a questo” Ma come è nato questo passaggio di ruolo? “In Federazione mi conoscono da quasi vent’anni: mi sento libero di dire quello che penso e ho manifestato i miei dubbi nell’iniziare un percorso a 36 anni ancora in campo, che ipoteticamente sarebbe finito a 40 anni con le Olimpiadi. Si era anche pensato di valutare anno dopo anno il da farsi. Ma non ero del tutto convinto, ho presentato ai dirigenti la mia idea di fare questo cambio, cioè di smettere di giocare per dedicarmi alla direzione tecnica. E da cosa è nata cosa…” Quindi era già in qualche modo preparato al grande salto? “Sì, lo dico senza problemi. Sapevo che avrei voluto affrontare questa strada e negli anni ho approfondito tutto quello che riguarda la preparazione per un allenatore. Ho seguito dei corsi in alcune università su sport e management, ho cercato di avere un’idea di sport più ampia possibile. Sono dell’idea che più si sanno le cose, meglio sia: ho studiato molto, non sono giovanissimo e volevo farmi trovare pronto. Per questo ci ho messo anche relativamente poco a decidere di smettere: sono felice di questa scelta”. Ha già un’idea anche di quali possano essere le insidie? “Premetto che penso di aver fatto un buon lavoro preparatorio anche con chi mi affiancherà. E aggiungo che non ho paura: penso che i miei collaboratori sapranno sopperire a una mia mancanza di esperienza. Forse potrei peccare un po’ di incoscienza, ma sono cose che nel tempo spero di imparare. I momenti difficili arriveranno, lo sappiamo”. Assumerà la direzione tecnica di tutto il settore maschile, ma sarà anche l’allenatore delle Nazionali Seniores. E lì, tornando a quanto ci dicevamo, dovrà davvero allenare il suo ex compagno, Cottafava. Non le fa impressione? “Io credo che al centro di qualsiasi sport ci siano gli atleti, non gli allenatori. Ora come tecnico devo dare i consigli giusti per fare in modo che i giocatori esprimano il massimo del loro potenziale, dando i maggiori strumenti possibili. È cambiato il paradigma: sono passato dal fare al far fare”. Non teme che il rapporto possa cambiare? “Professionalmente certo, cambierà. Ma ho grande stima di Samuele così come di tutti gli altri atleti che avrò la fortuna di allenare”. Partiamo da questo presupposto, cioè che le coppie sembrano già formate: Cottafava giocherà con Dal Corso, mentre Rossi sarà con Viscovich. L’obiettivo più importante sarà individuare i campioni del futuro? “Penso di no. Bisognerà cercare molto, è chiaro, ma la più grande sfida che ho di fronte è, secondo me, una cosa che ho detto all’inizio: cioè superare del tutto questa barriera che frappone la pallavolo indoor dal beach. Negli anni, è vero, questo ostacolo che definisco culturale si sta bypassando, ma servono progetti, bisogna mettere un cappello istituzionale sopra a tutto questo. Ho già delle idee”. Quali? “Non le dico, per rispetto dei ruoli. Bisogna fare le cose in maniera corretta, aspettando il Consiglio Federale che ratificherà le proposte e le eventuali decisioni. Niente spoiler, mi spiace. Ma ci lavoreremo. Il mio progetto è chiaro, come quello di intraprendere questa strada. Emozione? Anche. Ma non vedo l’ora di cominciare”.

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