Berlino 89, il muro oscuro del Doping

Atletica

Lia Capizzi

La caduta del Muro di Berlino, il 9 novembre del 1989, cambiò anche la storia dello sport. Venne a galla il "Doping di stato" della DDR che tanto vinceva, soprattutto a livello femminile. Lo sport al servizio della propaganda, atleti programmati per vincere, spesso a loro insaputa.

La ricostruzione di uno dei sistemi più oscuri e malvagi, dai dettagli inquietanti agli effetti devastanti.

Con la caduta del Muro di Berlino viene alla luce tutto il marcio del “Piano di Stato 14.25” che solamente nel 2000, nel corso del processo a Manfred Ewald, sarà poi denominato “Doping di Stato". Per oltre 20 anni la medicina e la scienza erano state messe al servizio della propaganda: atleti programmati, manipolati, abusati per vincere, bisognava dimostrare la superiorità del modello comunista della Germania dell’ Est attraverso lo sport.

 

Era un sistema malefico di altissima specializzazione che aveva il suo quartiere generale all’ Istituto Superiore di cultura fisica nella città di Lipsia, più che un laboratorio era un bunker perché tutto doveva essere segreto e non rintracciabile: atleti programmati, manipolati, abusati, per poter vincere. Il reclutamento avveniva in giovane età, i bambini (60 mila in tutto) venivano dirottati nelle scuole di addestramento , trenta ore alla settimana di allenamento, a colazione, pranzo e cena ognuno aveva la propria dose di pastiglie da ingurgitare, quelle bianche, quelle rosse ma soprattutto quella di colore blu, l’Oral Turinabol, uno steroide prodotto dalla Jenapharm, società  di proprietà dello stato.

 

Ecco come una piccola nazione di 17 milioni di abitanti fu in grado di vincere in cinque Olimpiadi, dal 1968 al 1998 (a Los Angeles 1984 la DDR non partecipò per il boicottaggio dei Paesi dell’Est), la cifra pazzesca di 437 medaglie, 153 d’oro. Il 40% sono di atlete. Il dominio della DDR era soprattutto nell’atletica e nel nuoto,  le due specialità regine dei cinque cerchi. Fa ancora strabuzzare gli occhi il 47”60 di Marita Koch nei 400 metri, stabilito nel 1985 e che  tutt’ora è il Record del Mondo. Nel nuoto lo strapotere è ancor più evidente, si va da Kornelia Ender, prima donna a vincere quattro medaglie d’oro, con relativi record del Mondo, in una singola edizione delle Olimpiadi, Montreal 1976, per arrivare ai sei ori di Kristine Otto in tre stili diversi (libero, delfino e dorso)  ai Giochi di Seul 1988. Le atlete donne sono state le principali vittime del Doping di Stato della DDR.

 

Sul corpo femminile l’effetto virilizzante degli ormoni maschili è nettamente più forte: donne che sembrano uomini, dai corpi massicci e dalla voce con il timbro maschile, donne trasformate chimicamente. Gli effetti collaterali, nel tempo, si riveleranno devastanti, leucemie,  tumori al seno, al pancreas, al fegato, infertilità, disfunzioni,  allucinazioni, depressione.  Heidi Krieger è medaglia d’oro nel lancio del peso agli Europei del 1986. Ha 20 anni ma non è più un una persona, è un topo da laboratorio. Per vincere questa medaglia assume 2590 milligrammi di anabolizzanti quasi il doppio di quelli di Ben Johnson quando fu beccato positivo ai Giochi di Seul nel 1988. Il suo corpo e la sua mente sono compromessi: "L’unico modo per continuare a vivere è trasformarmi in uomo, altrimenti penserei al suicidio” è il grido disperazione di Heidi che adesso si chiama Andreas dopo l’intervento chirurgico per il cambio di sesso nel 1997. Si è sposato con un’altra vittima,  l’ex nuotatrice Ute Krause che a sua volta è diventata anoressica perché voleva eliminare tutta la massa muscolare causata dall’abuso di medicinali somministratole a sua insaputa.

 

Nel processo del luglio del 2000 Manfred Ewald, il più alto dirigente sportivo della DDR, viene condannato a 22 mesi  con la condizionale mentre il medico sportivo Manfred Hoppner se la cava con 18 mesi: i due principali colpevoli del  “Gruppo di lavoro con mezzo di sostegno”, la parola doping era vietata nella DDR, imposto contro la volontà agli atleti definiti in tribunale “malati psichici dello sport”, imbottiti fino al midollo di anabolizzanti, ormoni, anfetamine.

 

Nel 2002 e nel 2006 il Bundestag tedesco ha promulgato due leggi per un risarcimento economico delle vittime dei doping, una cifra di 8 mila euro a testa, indennizzo irrisorio al limite del ridicolo. Ne hanno fatto richiesta in pochi, meno di mille atleti, quando invece si calcola che furono almeno 10 mila gli atleti dopati a loro insaputa. La spiegazione c’è, la maggior parte di loro ancora adesso, a distanza di 30 anni, non ne vuole parlare, prevale il silenzio o la vergogna o, ancora peggio, la negazione della realtà. Emblematica la 4x100 metri femminile che stabilì il record del Mondo nel 1984 (42”20). Ines Geipel ha chiesto, ed ottenuto, di togliere il proprio nome dall’albo dei record, al suo posto compare ora un asterisco: “Quel record è stato il frutto di un crimine di stato”. Una delle compagne di quella staffetta, la campionessa Marlies Gohr, le dà invece della bugiarda: “Non è vero che eravamo dopate". Peccato che negli archivi della Stasi risulti il nome della Gohr, con tabelle dettagliate dei dosaggi.

 

Tutti gli atleti della Germania dell’Est erano quindi dopati? No, impossibile affermarlo  proprio perché alcuni documenti dell’archivio della Stasi sono andati distrutti. Ma i dubbi rimangono, tanti. Anche per la più grande di tutti: Heike Drechsler, amata e elogiata come esempio di  sport pulito. Riuscì a vincere anche negli anni successivi alla caduta del Muro, oro nel salto in lungo alle Olimpiadi di Barcellona 1992 e poi a Sidney nel 2000. E’ la migliore anche nella sua sincerità, preziosa, quando  in una intervista al settimanale Stern nel 2009 confessa: “ Posso solo dire che non mi sono mai dopata consapevolmente. Ma dopo i documenti emersi, non posso più escludere che i medici mi abbiano sottoposto a trattamenti illeciti senza chiedermi il consenso”.

 

Un passato che non è del tutto passato. Cinquemila tra allenatori e medici di quella DDR sono attualmente ancora in attività, si sono riciclati in giro per il mondo, dalla Russia alla Cina, dall’Africa all’Australia. Un passato che continua a tornare come il “Doping di Stato” della Russia emerso nell’autunno del 2015. A 30 anni di distanza il Muro oscuro del doping nello sport non è completamente caduto.