Reduce da 5 anni in NBA da assistente a San Antonio il nuovo allenatore di Milano ammette: "Volevo tornare ad allenare. Ma sia chiaro: non ho scelto Milano come ripiego per non aver avuto una panchina NBA"
È una giornata importante per l’Olimpia Milano e per tutta la pallacanestro italiana. Ettore Messina, uno dei suoi allenatori più vincenti di sempre, si presenta sulla piazza italiana più prestigiosa e a sua volta vincente. Torna in Italia dopo cinque anni nella NBA, come assistente di Gregg Popovich sulla panchina dei San Antonio Spurs (e una precedente esperienza ai Lakers, con coach Mike Brown). “Io sogno proibito per anni dell’Olimpia Milano per tutti questi anni? A dir la verità non ne sapevo nulla, non ho avuto nessun tipo di contatto in questo periodo”, afferma Messina, che poi mette subito in chiaro il motivo che lo ha spinto a tornare: “Dopo aver fatto l’assistente per 5 anni mi piace l’idea di tornare ad allenare, in prima persona, e la cosa più importante per me è poter lavorare con i criteri giusti e con le persone giuste, quello che penso possa assicurarmi l’Olimpia Milano”. Di cui da oggi è presidente e allenatore e Messina mette le cose in chiaro: “Se la proposta di Milano fosse stata solo per allenare non l’avrei accettata – dice – perché per me invece è fondamentale poter scegliere e coordinare le persone. Sia chiaro, poi io faccio l’allenatore – esattamente come fa Gregg Popovich a San Antonio – ma come lui, io qui voglio avere l’ultima parola sulla firma o sulla cessione di un giocatore e sulle grandi decisioni strategiche”. Schiettezza, sincerità e idee chiare si riflettono anche su un’altra considerazione: “Tutti sanno che avrei voluto raggiungere una panchina NBA e non ci sono riuscito. Mi avrebbe fatto piacere e non lo nascondo, ma voglio assolutamente eliminare l’idea che io sia qui perché sono rimasto male dalla mancata panchina NBA e allora ho scelto Milano. No, non è così. Come è successo quando ho scelto San Antonio (con i vari Gregg Popovich, RC Buford, Manu Ginobili…), oggi ho scelto Milano perché mi dà la possibilità di lavorare con delle persone e con un’organizzazione che mi convincono”. A partire dal suo uomo simbolo, Giorgio Armani: “L’ho incontrato ovviamente, ed è stato un incontro produttivo. È una persona che ha a cuore la società e una persona che ha sempre avuto successo nella sua carriera. Per questo vorrebbe vincere ogni partita, ma ha la classe e lungimiranza per sapere che per vincere ci sarà bisogno di tempo”.
Ambizioni e obiettivi: l’identikit dell’Olimpia di Messina
Armani non è l’unico che a Messina chiede vittorie e l’ex allenatore della nazionale italiana lo sa bene: “Certo che ci sono grandi ambizioni qui ma non per questo possiamo bruciare le tappe, dobbiamo fare un passo alla volta. E per farlo c’è un modo solo, e non lo dico io, ma è sempre così per tutte le squadre del mondo: dobbiamo difendere come dei matti, passarci il pallone in attacco e prenderci ognuno le proprie responsabilità. Tutte le squadre che vincono hanno questi elementi – nel basket ma anche nel calcio (e qui c’è Beppe Bergomi che di trofei ne ha vinti tanti…)”. Detto questo gli obiettivi sono ben chiari nella visione di Messina: “La vittoria in campionato in Italia e l’accesso ai playoff in Eurolega, ma per me gli obiettivi sono sempre la conseguenza dei comportamenti quotidiani del gruppo, dai giocatori agli allenatori a tutto lo staff”. Il matrimonio con l’A|X Armani Exchange Milano si consuma in questo giugno 2019, in ritardo di quasi 8 anni dal primo contatto, avvenuto nel 2011: “Vero, ne avevo parlato un po’ con Livio Proli, prima di scegliere un anno se non sabbatico quanto meno più rilassante a Los Angeles, perché al tempo era la cosa migliore da fare per me e per la mia famiglia. Lui capì, e in maniera molto signorile non fece ulteriori pressioni”.
Il ritorno in Italia
Oggi però sulla panchina dell’Olimpia, di nuovo in Italia, in un paese e in una pallacanestro diversi rispetto a quelli che aveva lasciato. “Trovo un campionato più competitivo, che sia livellato verso l’alto o verso il basso sono filosofie. Vincere non è mai scontato, e oggi in Italia si può perdere contro chiunque”, dice Messina, che aggiunge: “L’Italia sta attraversando un periodo di tensioni, senz’altro, ma io e la mia famiglia dobbiamo riabituarci a vivere qui in Italia, in Europa prima di poter avere dei giudizi sulla situazione attuale. Certo, il Paese è cambiato, come cambia l’Europa e come sono cambiati gli Stati Uniti, che da Barack Obama a Donald Trump sono sicuramente diversi”. La sua esperienza italiana più recente è quella a capo della nazionale italiana, un’esperienza che Messina divide drasticamente in due: “Devastante aver perso il preolimpico a Torino, fantastico invece il campionato europeo di due anni fa, nonostante l’infortunio di Gallinari e il resto. Quella dell’Europeo è stata davvero una bellissima esperienza personale, oltre che sportiva: ce la siamo giocata con la Serbia, siamo tornati a casa senza alcun rammarico”. A Milano sa benissimo di trovare altissime aspettative e una piazza scontenta di quanto fatto negli ultimi anni, nonostante precedenti allenatori “tutti bravissimi”: “Vorrà dire che se vinceremo il presidente Messina licenzierà l’allenatore Messina [ride]”. E poi aggiunge: “Questa risposta me l’ha suggerita il mio assistente Mario Fioretti, che per questo voglio ringraziare”, scherza. E a proposito di assistenti: “Uno potrebbe essere americano, sì, è una delle possibilità, visto che c’è uno posto libero: stiamo ancora valutando. Per il resto qui c’è Alberto Rossini che ha un ruolo fondamentale, Claudio Limardi a capo dell’ufficio stampa, Mario Fioretti come assistente. Sto parlando con varie persone per identificare la persona giusta nel ruolo di gm: vedremo”. Ci saranno novità, ma non ci saranno ribaltoni, dice: “Rivoluzioni non sono prospettabili, ci sono contratti in essere e situazioni positive: per me poi è prematuro fare commenti su giocatori che ancora non conosco. Su possibilità novità nel roster, visto che ho ancora la green card americana, mi appello al quinto emendamento, come fanno loro”. A chi descrive il suo stile nella gestione del gruppo come duro e inflessibile – “l’Antonio Conte dal pugno di ferro” – Messina risponde con una risata: “Sono milanista, faccio fatica a immaginarmi in questi termini” e poi dedica un ultimo pensiero all’Avvocato Porelli, il primo uomo che ha creduto in lui a Bologna: “Sono certo che mi avrebbe accompagnato a Milano, sarebbe venuto in auto con me”.