Cotelli: "Io nel solco degli esordienti di Brescia, allenare qui è una responsabilità"

Sul parquet del PalaLeonessa, dall’autunno del 2018 casa della Germani Brescia, Matteo Cotelli e il suo staff preparano l’allenamento che inizierà di lì a poco. È un venerdì mattina, ma l’atmosfera è più rilassata rispetto al solito, un po’ perché la squadra, reduce dalla prima finale scudetto della sua storia, dopo un eccellente avvio di stagione occupa la vetta della classifica insieme alla Virtus Bologna, un po’ perché il campionato si è fermato per lasciar spazio agli impegni della nazionale di Luca Banchi e nel weekend non ci saranno partite. Cotelli, però, è atteso da un appuntamento ben più importante di qualsiasi sfida sul campo. L’allenatore bresciano, infatti, sta per sposarsi. Un impegno, quello preso con Mara, che arriva dopo un’estate in cui il percorso professionale di Cotelli ha vissuto un’accelerata per molti versi inattesa. “A luglio succede che Peppe Poeta viene chiamato da Milano e per noi è quasi un fulmine a ciel sereno, nel senso che stavamo già programmando la stagione successiva in piena continuità con quella precedente. Peppe decide di accettare l’offerta dell’Olimpia e il nostro proprietario Mauro Ferrari mi chiama per farsi un’idea della situazione nello staff tecnico. Io, dato che questo club mi ha sempre dato tanto, gli rispondo semplicemente che sono a disposizione, qualsiasi sia l’esigenza del club. Passano una decina di giorni, nel frattempo Ferrari fa tutte le sue valutazioni, poi mi chiama in ufficio e senza tanti giri di parole mi dice: Matteo, ho deciso che questo è il tuo momento. Se tu sei d'accordo e te la senti, sarai il nuovo capo allenatore di Pallacanestro Brescia”. UNA COSA NEL SUO PICCOLO STRAORDINARIA L’offerta del patron della Germani a Cotelli, prima ancora che sul piano professionale fa centro dal punto di vista emotivo. “È stato un momento molto emozionante: da una parte c'era l'orgoglio di essere arrivati lì e di aver ricevuto una proposta del genere, dall'altra da bresciano ho avvertito subito un grande senso di responsabilità per essere stato chiamato a guidare la squadra per cui non ho mi nascosto di fare il tifo fin da quando ero poco più che bambino e iniziavo a vedere le prime partite giocate davanti a qualche centinaio di spettatori al San Filippo. Ho però subito risposto a Ferrari che mi sentivo pronto perché, dopo un percorso di tanti anni da assistente di vari capi allenatori, sentivo di poter continuare nel solco tracciato da Poeta e da Alessandro Magro prima. E sentivo di poterlo fare anche perché l’idea era quella di confermare il nucleo della squadra che aveva disputato da poche settimane la prima finale scudetto nella storia della pallacanestro bresciana”. Un’idea poi trasformatasi nella conferma di nove giocatori su dieci e di praticamente di tutto lo staff che aveva lavorato con Poeta nella stagione precedente. Una situazione con pochi o addirittura nessun precedente nel basket italiano degli ultimi anni, e soprattutto una premessa a dir poco ideale per facilitare un esordiente assoluto come Cotelli, chiamato a smentire la teoria secondo cui nessuno è profeta in patria. “Sapevo e so bene di avere un curriculum quasi unico di questi tempi, nel senso che ho sempre lavorato qui a Brescia, senza mai cambiare squadra, partendo dal settore giovanile per poi ricoprire sostanzialmente tutte le posizioni possibili a livello di staff. Diventare capo allenatore rappresenta quindi il coronamento di un sogno, e riuscire a coronarlo con la squadra della mia città rende il tutto ancora più emozionante. Allo stesso tempo, però, avverto anche una grande responsabilità perché i legami che ho qui a Brescia, sia all'interno del club che con la città, sono davvero profondi e quindi vivo tutto con un’intensità forse superiore rispetto a chi fa questo passo in piazze che non sono quelle dove è cresciuto”. Cotelli, però, ci tiene a sottolineare di non vivere da solo questo sogno, anzi. “È tutto molto impegnativo, ma è bellissimo poter coronare il tuo sogno nella tua città con accanto le persone che ami, con i tuoi affetti, tra i quali io includo senz’altro tutto il mio staff, composto da gente con cui ci si conosce da anni. Questi ragazzi [Cotelli indica il suo staff, che dall’altro lato della stanza sta ultimando i preparativi per l’allenamento che incombe N.d.R.] sono come fratelli per me e riuscire a essere tutti ancora insieme, con tante persone che lavorano qui da tanto tempo è veramente entusiasmante. Credo che nel suo piccolo sia una cosa straordinaria”. LA PALLACANESTRO È UNA QUESTIONE DI FAMIGLIA Il sogno vissuto da Cotelli, però, non è certo frutto di un colpo di fortuna, bensì rappresenta l’ultimo approdo in ordine di tempo all’interno di un percorso davvero lungo e per molti versi unico per il modo in cui si è sviluppato. “Io inizio in una piccola società di Brescia che si chiamava e si chiama ancora Club 28, dove prima giocavo, non ad altissimo livello [ride N.d.R.], ma per cui anche fuori dal campo mi davo un po' da fare e in cui mio papà era ed è uno dei dirigenti, perché il basket è a tutti gli effetti una passione di famiglia. Poi succede che quando smetto di giocare mi propongono di dare una mano nell’allenare i ragazzini più piccoli e da lì inizia il mio percorso. Faccio tutti i corsi del caso, prima quello per istruttore di minibasket, poi quello di allenatore e dopo un paio di stagioni con buonissimi risultati, in cui vinciamo un campionato Under 13 al mio esordio, mi chiama l’allora Basket Brescia Leonessa e mi chiede di entrare a far parte dello staff del settore giovanile. Dal 2010 alleno bambini e ragazzi di varie fasce d’età, e poi, nell’estate del 2014, Andrea Diana e Max Giannoni, chiamati per guidare la squadra in Legadue, mi coinvolgono nel ruolo di secondo assistente. Io, a dire la verità, agli allenamenti della prima squadra partecipavo già da almeno due anni, facendo proprio di tutto: tenevo il punteggio, passavo la palla ai tiratori e pulivo il parquet dalle chiazze di sudore, cose del genere”. Al termine della seconda stagione con Diana in panchina, nel giugno del 2016, arriva la prima svolta storica: Brescia vince la finale promozione contro la Fortitudo Bologna e torna nella massima serie, dove mancava dal 1988. Cotelli diventa quindi ufficialmente video analyst, specializzandosi nello studio minuzioso dell’aspetto tattico delle singole partite, anche se, pur non sostando in panchina durante le gare, è a tutti gli effetti un assistente. In panchina Cotelli ci torna tre anni dopo, quando a Diana subentra Vincenzo Esposito e quindi, dopo la breve parentesi con Maurizio Buscaglia, al fianco di Alessandro Magro, cavallo di ritorno che dopo l’esperienza in Polonia nell’estate del 2021 viene chiamato per la prima volta in carriera a guidare una squadra di serie A. “A ogni stagione riesco a ritagliarmi sempre un po’ più di spazio all'interno dello staff, assumendomi sempre più responsabilità, anche per volontà diretta della proprietà, che punta a farmi crescere. Con Magro, che era già stato assistente ai tempi di Diana, c'è grande feeling e c'è grande stima. Insieme viviamo tre anni importanti, durante i quali vinciamo la Coppa Italia e finiamo due volte terzi in campionato, mandiamo a referto la striscia di quattordici vittorie consecutive e facciamo anche l'Eurocup.” Chiuso il ciclo di Magro, a Brescia arriva Poeta, altro esordiente nel ruolo di head coach su una panchina del campionato italiano. “Con Poeta mi incontro un giorno d'estate, lui è appena stato nominato capo allenatore. Tra di noi c'è subito grande sintonia e Peppe decide che sarò io il suo vice. Inizia quindi una stagione al suo fianco, che per me è stata veramente di grande crescita perché Poeta ha portato qualcosa di diverso, un modo di gestire le relazioni sia all'interno del club che nello spogliatoio all’insegna dell’empatia e del grande senso di partecipazione e di condivisione con tutti. Ne nasce un’altra stagione incredibile, fuori da ogni logica, pazzesca. E dopo la finale scudetto arriva quella chiamata di Ferrari che mi cambia la vita.” SE HAI UNA MONTAGNA DI NEVE, TIENILA ALL’OMBRA Cotelli, quindi, si trova a prendere in mano non solo la squadra della sua città, in cui è cresciuto e per cui fa il tifo, bensì la finalista arrivata ad un passo dal sogno di cucirsi sul petto il primo scudetto nella storia del basket bresciano. Con un roster quasi intatto, la sfida diventa quindi quella di continuare a far funzionare una macchina da pallacanestro perfettamente oliata. “Siamo partiti da una considerazione di fondo: questa è una squadra molto rodata e quindi dobbiamo dare continuità a tutto ciò che è stato fatto fin qui, ma dobbiamo prestare grande attenzione a non scadere troppo nella routine. Allo stesso tempo, però, dobbiamo proteggere quello che abbiamo fatto anche rispetto alle aspettative che si sono create attorno a noi. Il nostro preparatore fisico mi ha fatto leggere una bellissima poesia che dice ‘se hai una montagna di neve, tienila all'ombra’. Noi abbiamo lavorato e continuiamo a lavorare in questa direzione, dando continuità al lavoro di Poeta e al lavoro che abbiamo fatto tutti noi insieme, perché lo staff tecnico è praticamente lo stesso, aggiungendo qualche elemento di novità sia per quanto riguarda la gestione degli allenamenti che nella gestione tecnica e tattica del gruppo”. Passare dal ruolo di assistente a quello di capo allenatore, però, ha portato novità prima di tutto per Cotelli stesso. “L’aspetto in cui mi sono trovato a dover modificare di più il mio atteggiamento è quello relativo alla relazione con i giocatori. All’inizio ho cercato di concentrarmi su quello e ho lasciato in secondo piano la parte tattica, anche se soprattutto dal punto di vista difensivo abbiamo lavorato a fondo, cercando di migliorare su tanti dettagli dove c’erano margini per poterlo fare. Devo dire che ho trovato grande disponibilità da parte dei ragazzi, che si sono messi subito al lavoro. E i risultati, almeno per ora, si stanno vedendo in campo, nel senso che anche quanto a efficacia difensiva siamo cresciuti molto”. A proposito del rapporto con i giocatori e del nuovo ruolo da capo allenatore, ad un occhio attento non può essere sfuggito un particolare. Da assistente Cotelli vestiva regolarmente con tanto di giacca in panchina, ma da quando è diventato head coach affronta le partite in maglietta. “Da assistente la partita la vivi ovviamente con grande emozione, ma devi essere un po' distaccato perché ti viene chiesto di offrire il tuo punto di vista in supporto al capo allenatore, che è molto coinvolto emotivamente dall’andamento della gara. Ecco perché ho sempre tenuto la giacca, anche se ogni tanto mi scatenavo anch'io da assistente, però ho cercato di mantenere quel tipo di distacco prima di tutto emotivo. Invece da capo allenatore devi partecipare emotivamente a quello che stanno facendo i tuoi giocatori, devi far vedere che sei quasi il sesto uomo in campo e quindi occorre essere attivo, coinvolto proprio dal punto di vista fisico. E poi, sì, lo ammetto: in maglietta sto decisamente più comodo!”. Capo allenatore in serie A e esordiente, a Brescia quella di affidare la panchina ad un volto nuovo sta diventando una vera e propria tradizione dopo le esperienze più che positive con Magro e quindi con Poeta. “Si, devo ammettere che mi sento parte di questa tradizione e ne sono orgoglioso. Anche perché Magro e Poeta per me sono stati due maestri: Alessandro più per la parte tecnica, tattica e metodologica, Peppe, come dicevo, più per la parte gestionale e relazionale. E sì, la possiamo considerare una tradizione nel senso che il nostro proprietario ha una grande sensibilità da questo punto di vista, probabilmente sviluppata nella sua attività di imprenditore, e ha la capacità di scegliere la persona giusta al momento giusto. Ecco, secondo me non è tanto il coraggio di scommettere su un esordiente, quanto più l’intelligenza nel capire qual è la persona giusta per il gruppo di giocatori e per il club in quel particolare momento.” La crescita verticale all'interno della società è un'altra cosa rarissima e, almeno nel caso di Brescia, ha fin qui funzionato come metodo per tentare di colmare la distanza che inevitabilmente separa una società di piccole o quantomeno medie dimensioni rispetto a big come Olimpia e Virtus, che hanno a disposizione budget molto superiori per costruire le loro squadre. “In questo senso sono due le cose che fanno davvero la differenza secondo me. Il senso di appartenenza che si crea avendo tante persone che lavorano all'interno del club per diversi anni e che all’interno del club hanno la possibilità di crescere, e parlo sia dei giocatori che dello staff. Questo rappresenta sicuramente una sorta di volano che fa crescere qualità che poi si traducono sul campo, perché così facendo si esaltano i punti forti e si fanno migliorare i singoli e quindi la squadra tutta. E poi c’è il clima, quasi famigliare, che si crea quando tante persone che si conoscono da molti anni vivono questo percorso e questo ambito lavorativo insieme, dai giocatori a tutto lo staff. Si creano dei legami forti, che vanno oltre l’impegno professionale condiviso. Poi, certo, squadre come Milano e Bologna fanno un altro campionato rispetto al nostro e lo hanno sempre dimostrato con i risultati, ma noi nel nostro piccolo cerchiamo di portare avanti questo modo di fare. Un po’, ovviamente, perché è risultato vincente negli ultimi anni, ma credo anche perché è un modo di interpretare lo sport a livello professionistico che ti permette di stare bene, di vivere bene l'ambito lavorativo. E questo non ha davvero prezzo.” Quello vissuto a Brescia nel corso degli ultimi quindici anni, poi, è un fenomeno quasi unico all’interno del basket italiano, che proprio nello stesso arco temporale ha visto scomparire tante piazze anche importanti in seguito a crisi economiche e societarie. Invece Brescia, che per quasi un ventennio era rimasta senza una squadra, ha registrato una crescita costante di pubblico e di partecipazione e ora è una delle realtà più consolidate del panorama nazionale. “Quando ero ragazzino e ancora giocavo, si avvertiva che in città c'era grande fame di basket. Nel senso che a Brescia era impossibile vedere una partita di alto livello, mi ricordo di essere andato a Siena a vedere gare di Eurolega, di essere stato a Milano tante volte a vedere le partite di campionato dell’Olimpia per provare a compensare questo vuoto. E poi ricordo che ascoltavo i racconti di mio papà e di tante persone con qualche anno in più di me che ricordavano la famosa Pinti Inox, squadra formidabile che tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta aveva segnato quella che veniva considerata l’epoca d’oro del basket bresciano. E quindi, quando è rinata la squadra come Basket Brescia Leonessa e poi come Pallacanestro Brescia, diverse generazioni che non avevano mai visto la pallacanestro di alto livello in città si sono unite ai, chiamiamoli così, nostalgici della generazione precedente e si è creato qualcosa si speciale. Qualcosa di speciale che è prima di tutto frutto del lavoro di Graziella Bragaglio e Matteo Bonetti e poi di Ferrari, che sono stati molto bravi nel continuare a coinvolgere la piazza, il pubblico e le famiglie. Non solo tramite la prima squadra, ma anche con il potenziamento del settore giovanile e con tante iniziative sul territorio”. Secondo Cotelli, poi, ad aver reso ulteriormente solido il legame tra squadra e città è stata anche la scelta da parte del club di non fare mai il classico passo più lungo della gamba, distinguendosi sempre per serietà e correttezza sotto ogni punto di vista. “Qui la gente è molto concreta, molto pragmatica e quindi penso abbia apprezzato ancora di più il fatto che i risultati siano arrivati grazie ad un’etica del lavoro mai davvero abbandonata anche quando forse qualcuno avrebbe desiderato piazzare il classico colpo di mercato che fa scalpore. lo tutto questo lo percepisco nella mia vita di tutti i giorni. Sono bresciano e i bresciani, che so bene non essere così affettuosi e espansivi per natura, quando vado a fare la spesa al supermercato mi fermano sempre, trovo almeno quattro o cinque persone che mi fanno i complimenti per quanto fatto dalla squadra e, lo ripeto, in una città come questa non è affatto scontato.” TRA SOGNI REALIZZATI E ANCORA DA REALIZZARE Che Brescia sia un trampolino di lancio lo conferma la parabola di Poeta, da poco chiamato a sostituire una vera e propria leggenda come Ettore Messina sulla panchina dell’Olimpia. Messina che, come è forse inevitabile per chi fa il mestiere dell’allenatore di basket, rappresenta un punto di riferimento anche per Cotelli. “Quando ho iniziato ad allenare, il mio punto di riferimento era Ettore Messina, studiavo i suoi metodi di lavoro e ho letto anche tutti i libri che ha scritto. All’epoca seguivo tanto anche la NBA e per me Phil Jackson era e rimane un mostro sacro. Mi sono ispirato a loro già da quando allenavo i ragazzini, oggi invece guardo molto l’Eurolega e provo a capire come lavorano i top coach d’Europa, cerco di rubargli qualcosa che può servirmi e che posso applicare con la mia squadra”. Dall’Eurolega l’attenzione passa subito al nostro campionato, che nella percezione di Cotelli vive un momento di rilancio importante. “Io credo che la qualità del nostro campionato sia migliorata, soprattutto dopo la flessione che si era registrata fino a quattro o cinque anni fa. E la crescita mi sembra che vada oltre i giocatori e gli allenatori, vedo investimenti nelle strutture e nei settori giovanili, penso a Trento, Milano e Bologna ma anche a noi qui a Brescia. Mi sembra insomma che ci sia una visione un po’ più ampia di ciò che significa fare pallacanestro e promuovere questo bellissimo sport.” Il tempo scorre e alla spicciolata cominciano ad arrivare i giocatori, pronti a effettuare le prime sessioni di stretching prima che inizi il vero e proprio allenamento. Cotelli, con alle spalle lavagne piene di statistiche e indicazioni tattiche, li guarda sfilare. In fondo, al centro di tutto, rimangono loro, chiamati a fare la differenza con la palla in mano. E quando ci si concede un momento di svago, ipotizzando un innesto impossibile nel roster della Germani, il coach sta al gioco. “Se parliamo proprio di fantabasket, allora posso scegliere qualsiasi giocatore in attività? Vado ovviamente a pescare in NBA. Dal punto di vista del dominio fisico vorrei dire Giannis Antetokounmpo…ma no, andiamo con un classico: sarebbe stupendo vedere qui Steph Curry, credo che dovremmo ampliare subito il nostro palazzetto perché non basterebbe a contenere le richieste del pubblico! Io lo dico, la canotta numero 30 a Brescia al momento è libera…”. Sognare, in fondo, non costa nulla. Anzi, la storia di Cotelli è iniziata proprio così, sognando di seguire le orme di Messina e Jackson mentre allenava i bambini del minibasket e poi, passo per passo, lavorando a quel sogno. Un sogno che ora ha realizzato diventando l’allenatore della squadra della sua città e per cui faceva il tifo fin da quando a essere bambino era lui. Un sogno che però, in un’epoca di presenza digitale praticamente obbligatoria, non gli è ancora valso una pagina tutta sua su Wikipedia. “Lo so, me l’hanno già fatto notare in tanti, spero che qualcuno provveda”, dice Cotelli ridendo. L’appello, però, è tutto sommato serio, perché il ragazzo di strada ne ha fatta da quando è entrato in palestra per la prima volta con l’idea di provare a vedere se questa cosa di fare l’allenatore poteva funzionare. E ora che, risultati alla mano, ha funzionato eccome, lui non sembra affatto intenzionato a fermarsi. Il suo percorso, quindi, merita di essere raccontato e conosciuto.

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Cotelli: "Io nel solco degli esordienti di Brescia, allenare qui è una responsabilità"

Dario Costa