L'ex portiere del Liverpool ha raccontato al Guardian i crimini commessi a 18 anni, quando prestava servizio militare per il suo paese natale nella guerra civile: "Posso solo pentirmi di quello che ho fatto, ma non posso cambiare il mio passato"
HEYSEL, LA STRAGE ASSURDA: QUANDO SUL CALCIO CALO' L'ORRORE
In campo la sua vita è stata caratterizzata dalle parate con il Liverpool, spalmate su 628 partite giocate tra le varie competizioni con i Reds tra il 1980 e il 1994. Fuori dal rettangolo di gioco, la vita di Bruce Grobbelaar è stata segnata dalla guerra. A confessarlo è stato l'ex portiere, oggi 60enne, ai microfoni del Guardian. Con dei ricordi shock, legati alla gioventù di Grobbelaar, costretto a 18 anni appena compiuti, nel 1975, a prestare servizio militare per 11 mesi nell'esercito dello Zimbabwe, il suo Paese natale, nel conflitto con la Rhodesia. "Era il crepuscolo e quando il sole inizia ad affossarsi, vedi le ombre tra i cespugli – una delle sue confessioni legate a quei giorni - Non riesci a riconoscere granché finché non vedi il bianco degli occhi dei soldati. O vivi tu o loro".
Al seguito dei guerriglieri
Grobbelaar era stato arruolato nell'esercito della Rhodesia come scout: il suo compito era quello di controllare i guerriglieri antigovernativi di Robert Mugabe, che nel 1980 sarebbe poi diventato Primo Ministro e primo uomo di colore in Zimbabwe a ricoprire quella carica. Di quegli 11 mesi l'ex portiere porta ancora i segni addosso, accumulati tra i ricordi che oggi lo tormentano: "Spari, vai a terra e c'è uno scambio di proiettili. Poi senti delle voci che ti dicono 'Caporale, mi hanno colpito!' e fai per zittirle, altrimenti vieni ucciso tu e gli altri. Quando cessa il fuoco vedi corpi a terra dappertutto. La prima volta tutto quello che hai nello stomaco ti risale fino alla bocca!" è uno dei momenti raccontati nell'intervista concessa al Guardian.
"Ho ucciso tante persone"
Dopo quella drammatica esperienza nell'esercito rhodesiano Grobbelaar ha rischiato di finire in depressione, mentre tanti suoi coetanei si sono tolti la vita. "Si uccisero simultaneamente in due bagni vicini all'accampamento" ricorda in particolare il 60enne nato a Durban, che ha affermato di aver ucciso tante persone. Senza però voler dire il numero esatto delle vittime: "Quante persone ho ucciso? Non posso dirlo. Ho ucciso tante persone e per questo ho sempre vissuto la mia vita giorno per giorno. Posso solo pentirmi di quello che ho fatto, ma non posso cambiare il mio passato. Un mio ex compagno tagliava le orecchie a ogni uomo che ammazzava e le metteva in un vaso: aveva diversi vasi. La sua famiglia fu torturata e voleva vendetta".
Quella notte all'Heysel
Il calcio ha rappresentato un'ancora di salvezza per l'ex portiere del Liverpool, celebre sul campo per la sua danza ipnotica esibita in occasione dei calci di rigore nella finale di Coppa dei Campioni giocata e vinta a Roma contro i giallorossi nel 1984. In Inghilterra Grobbelaar era arrivato dopo la fuga in Canada a guerra finita, nel dicembre 1979, e la chiamata di Bob Paisley che l'aveva notato nel Crewe Alexandra. "Il calcio mi ha davvero salvato dalla depressione e ha allontanato i pensieri oscuri della guerra – ha spiegato lui – i tifosi del Liverpool mi chiamavano Jungleman, uomo della giungla. Dicevano che non ero bianco, che ero un nero con la pelle bianca". Da calciatore Grobbelaar ha vinto sei Premier League, tre FA Cup, tre coppe di Lega inglese, cinque Charity Shield e una Coppa dei Campioni, ma nel privato ha vissuto un'epoca drammatica che oggi ha ripreso a far discutere. Come il fantasma che lo accompagna anche nel calcio, quello della tragica notte dell'Heysel: "Quella giornata è stata peggio della guerra. Nei boschi sapevi che cosa poteva succedere, all'Heysel c'erano persone innocenti, sentivi le tribune cadere in rovina e vedere i corpi era tremendo. Ho visto i volti schiacciati delle persone contro il cancello, sono andato a prendere la palla e ho urlato a una poliziotta: 'Apri il cancello'. Ma lei mi rispose: 'Non ho la chiave'".