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Danilo a The Players Tribune: "Ho combattuto la depressione"

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Il capitano del Brasile ha scritto una lunga lettera per 'The Players Tribune', rivolta ai tifosi verdeoro, in cui racconta le sue emozioni alla vigilia della Copa America e ripercorre alcuni momenti vissuti in carriera: "A 24 anni scrissi che avrei voluto lasciare il calcio. Poi ho rischiato anche una ricaduta. Mi hanno salvato i miei terapisti e i miei figli"

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"Popolo brasiliano, siamo onesti gli uni con gli altri. Comincerò io. Per molto tempo, non siamo stati abbastanza all’altezza. Questo non significa che non ci abbiamo provato, che non ci siamo impegnati, o che non abbiamo sentito il dolore della sconfitta". Comincia così una lunga lettera che Danilo, capitano della Seleçao, ha voluto scrivere su 'The Players Tribune' ai tifosi brasiliani in occasione della Copa America e a pochi giorni dal debutto ufficiale dei verdeoro contro la Costa Rica. Parole attraverso cui il difensore della Juventus ripercorre alcuni momenti difficili della sua carriera e cerca di unire ulteriormente il Paese verso l'obiettivo del trofeo che è stato vinto per l'ultima volta nel 2019. "Nessuno sa a quanto ognuno di noi abbia rinunciato per essere qui - ha aggiunto -. Abbiamo rinunciato a tutto per la Nazionale Brasiliana. Siamo un gruppo che ha molta fame e molto orgoglio di rappresentare il nostro Paese ma, allo stesso tempo, vediamo e sentiamo ciò che si dice su di noi. In qualche modo, non siamo stati in grado di dimostrare quanto siamo disposti a sacrificare per questa maglia. L'unico modo per cambiare questa immagine è dare anima e corpo in campo. Posso dirvi, dal profondo del cuore, che ogni giocatore che indossa la maglia verdeoro ne sente il peso, indipendentemente da quello che dice la gente. Non dimenticherò mai la prima volta che fui convocato nella Nazionale U-20. Eravamo in Paraguay per l'esordio nel Sudamericano e, la sera prima, non facevo altro che pensare a come sarebbe stata la mia maglia appesa nello spogliatoio. Sarebbe stata gialla o blu? Per favore, fa che sia gialla. La mattina dopo, nella foga di giocare, mi pulii gli scarpini tre volte. Negli spogliatoi mi sono detto: stai per giocare la partita della tua vita. Darai tutto. Per la tua famiglia e i tuoi amici. Per tutti coloro che ti hanno aiutato ad arrivare fin qui. Per l'intero Paese. Sono entrato in campo e ho completamente dimenticato come si calciasse un pallone! Ero così nervoso... La maglietta sembrava pesare 50 chili. E per circa 50 minuti ho giocato la peggior partita della mia vita. Ma quando sono uscito dal campo non ero triste o arrabbiato con me stesso, perché posso dire onestamente che non potevo fare altro. Almeno ho dato tutto in campo. Per me questa è la cosa più importante nel calcio: dare tutto quello che puoi. Ma non sempre accade. Ci saranno molti momenti in cui le gambe semplicemente non funzioneranno. Quando ti svegli sentendoti terribile, pensi che tutti ti odino e che non meriti nemmeno di indossare quella maglia".

"Mi ha salvato vedere il gioco con gli occhi di un bambino"

A questo punto Danilo si è soffermato su alcune difficoltà che ha dovuto superare in passato: "Sono umano, non sono sempre stato al mio meglio - ha spiegato -. Durante la mia prima stagione al Real Madrid mi sentivo depresso. Mi sentivo perso, inutile. In campo non riuscivo a fare un passaggio di cinque metri. Fuori dal campo, era come se non riuscissi nemmeno a muovermi. La mia passione per il calcio era scomparsa e non vedevo una via d'uscita. Volevo tornare a casa mia, in Brasile, e non giocare più a calcio. Non mi vedevo più come Baianinho, il figlio di Baiano (è così che chiamano mio papà), ma come Danilo, quello che aveva "firmato un contratto da 31 milioni di euro", come riportavano i giornali. Quando giocammo contro l'Alaves, pochi mesi dopo l'inizio della stagione, Theo Hernandez mi rubò la palla e crossò per Deyverson che segnò. Vincemmo comunque 4-1, ma era un errore che al Real Madrid non si può commettere. Non dimenticherò mai di essere tornato a casa quella sera e di non essere riuscito a dormire. Scrissi sul mio diario: "Credo sia arrivato il momento di abbandonare il calcio". Avevo 24 anni. Non ho detto a nessuno quello che provavo. Casemiro ha cercato di aiutarmi, ma io ho "ingoiato il rospo", come si dice. E il rospo è diventato sempre più grande. Ma dopo alcuni mesi di sofferenza, ho iniziato a vedere uno psicologo che mi ha davvero salvato la carriera. La lezione più importante che mi ha insegnato è stata quella di vedere il gioco attraverso gli occhi di un bambino". Terapia che gli ha riportato alla mente i primi ricordi (1 real dato ai suoi cinque amici perché mangiassero la pizza ogni domenica, il telefono chiesto in prestito all'amico per chiamare la fidanzata, gli sconti chiesti all'Internet Café per poter parlare a distanza con la famiglia, gli scorpioni e gli scarafaggi nel centro di allenamento): "Ho dovuto ricordare le mie radici e la gioia di giocare a calcio non per fama o denaro, ma per divertimento. Se la mia carriera è stata salvata in quel momento, devo ringraziare alcune persone: i miei terapisti e i miei figli".

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"Ho rischiato la ricaduta. Copa America grande opportunità"

Depressione che ha rischiato di colpire di nuovo Danilo: "Dopo la pandemia e l'uscita dalla Coppa del Mondo avrei potuto avere una ricaduta - ha rivelato -. Avrei potuto dire: «Ok, ho avuto una buona carriera. Ma ho già raggiunto il mio massimo. Ora posso rilassarmi». Ma ho fatto il contrario. Ho iniziato a parlare ogni giorno con il mio terapeuta, a leggere di più, a sfidare me stesso per essere un leader migliore. Ed è stato allora che tutto si è illuminato per me. Quando ho ricevuto la fascia di capitano alla Juventus è stato un grande onore. Ma quando ho ricevuto quella del Brasile, è stato qualcosa di diverso. Un onore immenso, incomparabile". E in vista dell'immediato futuro ha concluso: "Come capitano, so esattamente cosa significa la Seleção per il nostro Paese. E la Copa America è una grande opportunità per dimostrare che il nostro gruppo comprende il peso della responsabilità di indossare questa maglia. Penso che dobbiamo giocare come se stessimo lottando per tornare a essere di nuovo dei calciatori professionisti. Perché questa è la specialità del popolo brasiliano, giusto? È quello che c'è nel nostro DNA. Lottare, essere coraggiosi, non arrendersi mai. Dormire sotto un c**** di albero di banane. Non abbiamo solo l'obbligo di lottare come calciatori, ma come brasiliani. Il mio messaggio finale a tutti voi è molto semplice: Uniamo le forze in questa lotta".

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