I 5 errori che hanno cambiato la storia e l'effetto farfalla nel calcio

Cosa sarebbe successo se Randal Kolo Muani avesse segnato il gol del 4-3 della Francia al terzo minuto di recupero dei tempi supplementari della finale dei Mondiali più incredibile di sempre? Certo, la Francia avrebbe vinto la coppa - è la deduzione più immediata - l'Argentina no, e con essa neanche Messi, che non avrebbe mai eguagliato il genio di Maradona, mai vinto un nuovo Pallone d'Oro che, con ogni probabilità, sarebbe quindi andato a Mbappé, che forse sarebbe rimasto a vita in Francia senza scegliere il Real Madrid. L'epica rivalità tra Leo e CR7 avrebbe un capitolo in meno nelle proprie lunghissime, e bellissime, pagine. È un romanzo di 'what if', pagine di un libro mai letto, anzi, bruciato dalla storia, come in Fahrenheit 451, il romanzo fantascientifico/distopico di Ray Bradbury. Il più classico dei cosa sarebbe successo se. È il concetto di effetto farfalla. 1. Kolo Muani contro l'Argentina Una farfalla sbatte le ali in Cina e crea un urgano in Texas. La sintesi, molto semplice a pensarci bene, è che ogni nostra singola azione sia in grado di creare una ramificazione nella storia, come le due realtà alternative di Gwyneth Paltrow in Sliding Doors . Il primo a teorizzarne una metafora letteraria fu proprio Ray Bradbury nel suo racconto Rumore di tuono: considerando possibile l'affascinante concetto di viaggio nel tempo, un uomo si riscopre colpevole di aver stravolto l'intera storia dell'umanità calpestando un solo, piccolissimo, insetto durante una gita nel passato. Perché, in sostanza, ogni piccola variazione nelle cause può comportare grandi cambiamenti negli effetti . Perché quel Kolo Muani che oggi è pronto a segnare con la maglia bianconera della Juve, non ha cambiato solo una semplice partita , Randal Kolo Muani ha creato una catena di eventi che ha cambiato la storia del calcio. E non è stato l'unico. 2. Robben contro la Spagna Cosa sarebbe successo se, per esempio, se lo chiedono ancora da quindici lunghi anni in Olanda, quando Robben si era presentato tutto solo contro Casillas sullo 0-0 di una finale dei Mondiali poi vinta dalla Spagna di Iniesta. Non ce l'avevano fatta nemmeno molti anni prima, quando la nazionale olandese era metafora di un cambiamento di cultura e società; Woodstock, poi gli anni Settanta, una rivoluzione culturale che stava al società come il Calcio Totale stava al pallone. Un nuovo modo di giocare, che era come dire pensare fuori dagli schemi; e no, non c'erano riusciti nemmeno il profeta Cruijff e il maestro Michels a vincere un Mondiale. Ci stava riuscendo Sneijder, che con un passaggio visionario come i film di David Lynch aveva lanciato in porta Robben, il cui unico schermo tra lui e a gloria fu un piccolo e leggero batter d'ali di un insetto, magari di una farfalla. Casillas salva di piede e la storia prende un altro bivio. Robben sarebbe allora stato consacrato, con qualche anno d'anticipo, come il fenomeno che è sempre stato, e non bollato un po' come l'eterno secondo sempre a un passo dalla gloria. Il Pallone d'Oro che non andò nemmeno a Iniesta o Xavi, forse, non l'avrebbe vinto nemmeno uno Sneijder da triplete, ma magari l'amico Arjen si sarebbe presentato con tutt'altra faccia e convinzione sul dischetto della finale di Champions di due anni dopo: Bayern-Chelsea. Supplementari, 1-1, Drogba commette fallo da rigore, ma Cech para proprio su Robben il tiro della plausibilissima vittoria. Ai rigori, intesa come serie finale, vincono i blues di Di Matteo con realizzazione decisiva, guarda un po', di Didier Drogba. Com'è strana la vita… 3. Terry contro lo United Ma si rifarà Robben, perché è un campione e mai un eterno secondo. Si rifarà segnando soltanto l'anno dopo il gol partita all'ultimo minuto della finale di Champions che fa vincere al suo Bayern Monaco contro il Borussia Dortmund. Un po' come nel 2012 si era preso la sua rivincita con la storia John Terry, squalificato e out in quella finale, ma comunque capitano e re d'Europa, dopo lo scivolone del 2008 nella finalissima tutta british contro il Manchester United. In una Mosca invasa da una pioggia torrenziale è suo l'ultimo rigore che avrebbe dato la coppa i blues: rincorsa, il piede d'appoggio che scivola sul campo bagnato, la palla che parte dal suo piede come una freccia dall'arco, ma che poi si schianta sul palo come i sogni, a volte, fanno con la realtà. E forse, allora, esiste anche una storia alternativa dove lo United non vince la coppa, di un giovane Cristiano Ronaldo che, a quel punto, non vince il suo primo Pallone d'Oro. Di un Avram Grant - successore un po' casuale del primo Mourinho londinese - che continua la sua vita sulle più prestigiose panchine d'Europa, senza finire ad allenare tra Serbia, Thailandia, India, Zambia e Ghana, con cui perse da Ct una finale di Coppa d'Africa. Anche quella ai rigori. Ma questa è un'altra storia. 4. Sheva contro il Liverpool Il riscatto c'è stato poi anche per il Milan, quando una farfalla in chissà quale posto del mondo aveva generato un uragano a Istanbul, Turchia, l'uragano che sposta la palla colpita da Shevchenko proprio sulla gamba del portiere polacco Dudek, a un metro dalla porta, a un secondo dalla fine dei supplementari. Un altro grande bivio della storia che cambia quella Milan, una squadra che quella Champions - la coppa manifesto dell'epopea berlusconiana - comunque l'aveva gIà vinta e che l'avrebbe pure rivinta, guarda un po' due anni dopo sempre contro lo stesso Liverpool. E che cambia soprattutto la storia di Shevchenko, che forse non avrebbe mai lasciato l'amato rossonero con quell'immagine malinconica e un po' straziante da libro Cuore dell'addio in curva Sud, solo un anno dopo. 5. Asamoah Gyan contro l'Uruguay Lo diceva Scott Fitzgerald riferendosi agli americani: nella vita non esiste un secondo atto, ma solo un primo e unico atto. Lo sa bene anche chi non è mai riuscito a riscattarsi come Asamoah Gyan, l'uomo che avrebbe potuto portare il suo Ghana a diventare la prima semifinalista africana nella storia dei Mondiali. What if, di nuovo. Anno 2010, lo stesso Mondiale di Robben e Iniesta. Uruguay e Ghana sono ferme nei quarti sull'1-1: nel più classico dei mischioni in area all'ultimo minuto dei supplementari ci mette la testa il giovanissimo attaccante del Milan Dominic Adiyiah, uno che avrebbe potuto scrivere la storia: tiro a colpo sicuro, ma Luis Suarez - professione bomber - para letteralmente sulla linea di porta con la mano il 2-1 ghanese. È rigore ed espulsione: peccato che Asamoah Gyan calci sulla traversa il tiro della vittoria. Ai rigori, nella serie finale, vince la celeste con errore decisivo, beffa delle beffe, proprio di Dominic Adiyiah. Contro il battito d'ali di una farfalla, a volte, non si può far proprio nulla.

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Marco Salami