'Sopra la barriera': come in Serie D il campo è diventato luogo di integrazione

Quando un giovane migrante approda in Italia – e lo fa spesso con un bagaglio di difficoltà, di attese, di anonimato – trovare una squadra di calcio significa entrare in una comunità, con regole condivise, ritmi quotidiani, occasioni di dialogo e di confronto. Il campo non chiede lingua o titolo: basta un passaggio, un dribbling, una palla che danza e un ‘forza!’ gridato da un compagno. In questo senso, il calcio dilettantistico costruisce infrastrutture sociali dove mancano, perché crea relazioni quotidiane che superano la separazione fra ‘noi’ e ‘loro’; restituisce dignità e riconoscimento: “sono parte di qualcosa”, diventa strumento per affrontare barriere culturali, linguistiche, sociali. È per questo che la dimensione del calcio popolare, dell’associazione sportiva dilettantistica, non va sottovalutata: rappresenta un presidio nel tessuto sociale che va ben oltre la mera partita. Il progetto ‘Sopra la barriera’ della Lega Nazionale Dilettanti ‘Sopra la barriera’ promosso dall’Area CSR della LND, con il terzo episodio, dedicato specificamente al tema dell’immigrazione e dell’integrazione attraverso il calcio, racconta come lo sport dilettantistico può veicolare l’inclusione. Dopo aver trattato nel primo episodio il calcio negli istituti penitenziari e nel secondo il calcio legato alle tematiche LGBTQ+, il terzo affronta il tema delle barriere che dividono: culturali, sociali, linguistiche. In campo i protagonisti sono le storie di ragazzi migranti tesserati nei club dilettantistici, e società che hanno fatto della missione dell’inclusione il loro motore. La LND non si limita a promuovere il tema: ha attivato, tramite il suo Dipartimento Responsabilità Sociale, iniziative e progetti che si collegano al suo raggio di azione: sensibilizzazione, formazione, eventi educativi. Esperienze positive sul territorio In questi meccanismi si muovono diverse realtà. La Liberi Nantes FC è nata nel 2007, è una squadra composta da rifugiati e richiedenti asilo, che milita nei campionati dilettantistici e porta avanti attività sportive e culturali gratuite e aperte. A Milano c’è il St. Ambroeus FC fondato nel 2018, e ha come obiettivo l’integrazione di migranti attraverso il calcio. In pochi anni ha registrato oltre 500 tesserati da molte nazionalità ed è stata premiato con l’Ambrogino d’Oro per la sua attività sociale. C’è anche OroNero Black&Gold : anch’essa citata nel progetto ‘Sopra la barriera’ come esempio di società che accoglie ragazzi migranti e li inserisce nel contesto sportivo. Questi casi raccontano cosa significhi concretamente ‘giocare a calcio oltre il campo’: partecipare a un gruppo, incontrare persone diverse, imparare la lingua, scambiare storie, costruire amicizie. L’integrazione, tuttavia, non è mai un processo automatico: richiede contesti favorevoli, volontà, strumenti. Il calcio non fa tutto da solo, ma può essere elemento abilitante: abilita il contatto, la fiducia, la scoperta reciproca. Le società dilettantistiche diventano ‘luoghi di comunità’ e non solo ‘luoghi di sport’. In un paese come l’Italia, dove molte politiche di integrazione restano fragili, queste esperienze assumono un’importanza particolare. Si può dire che il calcio dilettantistico – se vissuto con consapevolezza sociale – può davvero diventare una infrastruttura: non cemento o mattoni, ma pallone, erba sintetica e relazioni. E quando un ragazzo migrante si siede negli spogliatoi con la sua nuova maglia, ha già fatto un passo verso l’integrazione. La testimonianza Abbiamo incontrato Jimmy, ragazzo camerunense che milita nel Liberi Nantes da 5 anni. Quando hai iniziato a giocare con Liberi Nantes, che sensazioni hai provato nel varcare il cancello del campo e trovarsi con compagni italiani e stranieri? “Mi sono avvicinato al Liberi Nantes 5 anni fa per curiosità ed è stata un'esperienza unica. Avevo compagni che venivano da tutte le parti del mondo, è stato interessante trovarsi in un gruppo in cui seppur con origini diverse condividiamo tutti la stessa realtà. Ho trovato un gruppo unito dalla passione per il calcio con un mister che è riuscito a dare attenzione alle problematiche di ciascuno di noi ed è stato quel qualcosa in più che mi ha fatto rimanere in squadra fino ad oggi. Anche grazie a lui mi sono sentito molto di più a casa” In che modo far parte di una squadra ha cambiato la tua quotidianità: ad esempio la lingua italiana, i rapporti fuori dal campo, la tua autonomia? “Per me sinceramente è cambiato tanto. Avendo cominciato a giocare a Firenze e venendo direttamente dal Camerun per motivi di studio, con un livello di comprensione della lingua italiana piuttosto basso, il processo di crescita della comprensione linguistica è stato aiutato molto dal far parte di una squadra di calcio. Ogni giorno dovevo capire diversi accenti tra toscani, siciliani, napoletani e imparare a catturare le parole dalle loro labbra è stata una cosa affascinante, è stata una sfida che mi ha portato a far crescere il mio livello di ascolto in italiano. Oggi se sento bene, se riesco anche a distinguere gli accenti fra un toscano e un laziale o un campano è grazie alle squadre di calcio in cui ho militato. E poi al di fuori del campo, cene con amici, cene di squadra, tutte esperienze che mi hanno arricchito sicuramente, anche a livello sociale” C’è stato un momento in cui hai sentito che questa fosse la tua squadra o che fossi accettato, fossi parte di qualcosa? “Direi che ci sono stati diversi momenti in cui io ho sentito queste cose, e si sono intensificati da quando gioco con il Liberi Nantes, dove anche quando perdiamo le partite abbiamo questo orgoglio, che in casa ci permette di strappare punti agli avversari e dimostrare che quella è casa nostra, quello è il nostro campo. Ci sono stati diversi episodi, in cui queste parole, queste sensazioni sono venute fuori, anche quando avevamo qualcuno che era in difficoltà per qualcosa e tutti insieme abbiamo dato un aiuto, in modo che la situazione potesse evolversi nel migliore dei modi. Momenti che hanno fatto sentire a tanti di noi che pensavano di essere solo di passaggio che la squadra, la società, era anche casa loro, era ed è una famiglia” Si ringrazia per la collaborazione Luca De Simoni Coordinatore area responsabilità sociale LND

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Roberta Noé