Atletico, l'etichetta di perdenti: Simeone ha cambiato tutto
Champions LeagueFu Vicente Calderon ad affibiare al club il termine pupas. Un alone di vittimismo, di rassegnazione e fatalismo ha sempre accompagnato i colchoneros, tra sconfitte dolorose e retrocessioni. Ma il Cholo ha portato una nuova mentalità
di Luciano Cremona
Pupas. Sfigati, perdenti. L'espressione la coniò direttamente Vicente Calderon, nel 1974. L'occasione, indelebile nella memoria e impressa come una ferita inguaribile nel cuore dei tifosi colchoneros ("materassai", dalle antiche tele di colore biancorosse che rivestivano i materassi) più attempati, fu la finale di Coppa dei Campioni. Di fronte all'Atletico Madrid la corazzata Bayern Monaco. Ci giocavano Beckenbauer, Hoeness, Breitner, Muller, che da lì a poco avrebbero vinto il Mondiale con la Germania Ovest. L'Atletico giunse alla finale dopo un'avventura europea inimitabile, condita da una semifinale d'andata leggendaria: al Celtic Park di Glasgow resistette per tutta la partita in 8 contro 11, portando a casa uno 0-0. Al ritorno, vincendo 2-0, i colchoneros volarono in finale.
Finale praticamente vinta: durante i supplementari, a sei minuti dalla fine, Luis Aragones segnò su punizione quello che sembrò essere il gol della vittoria. Al 120', però, Swarzenbeck, difensore tedesco, scagliò un tiro della disperazione da 40 metri, stile "Ave Maria" del basket. Gol, 1-1. Niente rigori, ma replay due giorni dopo: 4-0 per il Bayern. Pupas.
Da quel giorno tra successi in Spagna e trionfi in Europa, l'Atletico si è sempre portato dietro questa etichetta, con tifosi e calciatori rassegnati al fatalismo. Nel 2000, ad esempio, finì in Serie B, retrocedendo contro l'Oviedo, squadra allenata proprio da Aragones, idolo biancorosso. Maledizioni, giochi del destino. Dal 2009 la svolta, soprattutto in campo europeo, con due Europa League e due Supercoppe Europee. Inframezzate, ovviamente, da sconfitte quasi naturali, come quella in finale di Coppa del Re con il Siviglia.
La rivista inglese Four Four Two, con un ampio reportage uscito sul numero di dicembre, è andata ad indagare proprio la svolta imboccata dalla società con l'arrivo del 'Cholo' Simeone (a proposito, in tema di soprannomi: Cholo, termine mutuato dall'atzeco e che significa "incrocio di razze", era il soprannome di Carmelo Simeone, difensore del Boca degli anni '60. Fu affibiato a Diego Pablo da un suo allenatore nelle giovanili). Una scarica di adrenalina e autostima, certificata dal successo nella finale di Coppa del Re 2013 vinta contro il Real di Mourinho, al Bernabeu. Da quel momento, ha spiegato capitan Gabi a Four Four Two, "non ci sentiamo più 'Pupas'". Considerando che l'ultima volta che l'Atletico Madrid ha superato uno scontro diretto in Coppa dei Campioni risale al 1977, contro il Nantes, quando nessuno dei giocatori dell'attuale squadra era nato, c'è da credere a capitan Gabi. Questa squadra è stata costruita, se non per vincere, almeno per cancellare un'etichetta che, ad oggi, sembra proprio inopportuna. Il Milan è avvisato.
Pupas. Sfigati, perdenti. L'espressione la coniò direttamente Vicente Calderon, nel 1974. L'occasione, indelebile nella memoria e impressa come una ferita inguaribile nel cuore dei tifosi colchoneros ("materassai", dalle antiche tele di colore biancorosse che rivestivano i materassi) più attempati, fu la finale di Coppa dei Campioni. Di fronte all'Atletico Madrid la corazzata Bayern Monaco. Ci giocavano Beckenbauer, Hoeness, Breitner, Muller, che da lì a poco avrebbero vinto il Mondiale con la Germania Ovest. L'Atletico giunse alla finale dopo un'avventura europea inimitabile, condita da una semifinale d'andata leggendaria: al Celtic Park di Glasgow resistette per tutta la partita in 8 contro 11, portando a casa uno 0-0. Al ritorno, vincendo 2-0, i colchoneros volarono in finale.
Finale praticamente vinta: durante i supplementari, a sei minuti dalla fine, Luis Aragones segnò su punizione quello che sembrò essere il gol della vittoria. Al 120', però, Swarzenbeck, difensore tedesco, scagliò un tiro della disperazione da 40 metri, stile "Ave Maria" del basket. Gol, 1-1. Niente rigori, ma replay due giorni dopo: 4-0 per il Bayern. Pupas.
Da quel giorno tra successi in Spagna e trionfi in Europa, l'Atletico si è sempre portato dietro questa etichetta, con tifosi e calciatori rassegnati al fatalismo. Nel 2000, ad esempio, finì in Serie B, retrocedendo contro l'Oviedo, squadra allenata proprio da Aragones, idolo biancorosso. Maledizioni, giochi del destino. Dal 2009 la svolta, soprattutto in campo europeo, con due Europa League e due Supercoppe Europee. Inframezzate, ovviamente, da sconfitte quasi naturali, come quella in finale di Coppa del Re con il Siviglia.
La rivista inglese Four Four Two, con un ampio reportage uscito sul numero di dicembre, è andata ad indagare proprio la svolta imboccata dalla società con l'arrivo del 'Cholo' Simeone (a proposito, in tema di soprannomi: Cholo, termine mutuato dall'atzeco e che significa "incrocio di razze", era il soprannome di Carmelo Simeone, difensore del Boca degli anni '60. Fu affibiato a Diego Pablo da un suo allenatore nelle giovanili). Una scarica di adrenalina e autostima, certificata dal successo nella finale di Coppa del Re 2013 vinta contro il Real di Mourinho, al Bernabeu. Da quel momento, ha spiegato capitan Gabi a Four Four Two, "non ci sentiamo più 'Pupas'". Considerando che l'ultima volta che l'Atletico Madrid ha superato uno scontro diretto in Coppa dei Campioni risale al 1977, contro il Nantes, quando nessuno dei giocatori dell'attuale squadra era nato, c'è da credere a capitan Gabi. Questa squadra è stata costruita, se non per vincere, almeno per cancellare un'etichetta che, ad oggi, sembra proprio inopportuna. Il Milan è avvisato.