Nel 2009 Aquilani lasciò Roma per Liverpool: quella di martedì sarà la partita del suo cuore. Una scelta non facile, resa un po' più semplice dal sogno di giocare con Gerrard, dopo essere stato compagno di Totti
1984. Tutto comincia, finisce e rinizia in quell'anno letterario. Il romanzo di Orwell raccontava un mondo in cui non vorremmo mai vivere, la finale di Coppa Campioni una partita che nessun romanista vorrebbe mai rivivere. Alberto Aquilani lo sa bene, anche se nato due mesi dopo, proprio nel 1984. Lo sa che c'è qualcosa di maledettamente letterario in questa sfida fra la Roma e il Liverpool, un libro con la copertina rossa come le due maglie vissute, più che indossate, nell'incipit della sua carriera.
Ricordi che riaffiorano nitidi anche ora che sono passate dieci stagioni e tutto è diverso. Il suo campionato è la Liga, la sua squadra è il Las Palmas, la sua casa una bella villa, elegante ma non troppo lussuosa, a sud dell'isola di Gran Canaria dove i palloni, sgonfi per il troppo sole e forse i troppi calci, sono nascosti in ogni angolo di questo piccolo giardino tropicale. In realtà ora Alberto preferisce le palline da golf, come passatempo, divertente retaggio dell'esperienza inglese, un hobby che è più facile coltivare ora che la famiglia è rimasta in Italia "perché" dice "la scuola delle bimbe viene prima di tutto". Alberto ha due meravigliose figlie che lo aspettano a Roma, e dove se no? Nella sua città e in quella di sua moglie, l'attrice Michela Quattrociocche, e anche in questo intimo quadretto familiare c'è una pennellata di rosso che ha a che fare con Liverpool.
"Quando ho conosciuto mia moglie era il 2009 e nello stesso anno decisi di lasciare l'Italia per la Premier. Allora lei lavorava tanto e faceva avanti e indietro, ma siamo usciti insieme dal guscio familiare per la prima volta, è stato un po' come tagliare il cordone, diventare adulti: Liverpool ha cambiato la mia vita in tutti i sensi. Per me, romanista nato nel 1984, non poteva che essere nel mio destino".
Quella finale ti è stata raccontata da tuo padre quando eri bambino?
Tutti i romanisti la vedono come la partita nera che ha segnato la storia del club, e il Liverpool come la squadra che ci ha impedito di vivere un sogno. In famiglia me l'hanno raccontata tutti perché quella delusione ha messo alla prova una generazione intera. Quando a casa dissi che mi sarei trasferito a Liverpool ormai la ferita si era rimarginata ma qualcuno mi ha detto: "Certo che ti potevi scegliere un'altra squadra".
A quel Liverpool non si poteva dire no?
Era difficile, in quel momento era un top club in Europa, reduce da due finali di Champions in tre anni, una vinta e l'altra persa. Aveva una rosa pazzesca con Gerrard, Mascherano, Torres e tanti altri. Per me è stato uno shock lasciare Roma perché vivevo il sogno di chi è tifoso giallorosso e ha la chance di giocare con la squadra del suo cuore. Mai avrei creduto di andar via. Ricordo anni precedenti in cui avevo avuto l'opportunità di andar via ma la società non paventava neppure la possibilità di una trattativa. Poi incappai in un anno negativo, complice l'operazione alla caviglia per un infortunio che non passava mai, non vedevo la luce. A quel punto capii che per il club non era più una necessità tenermi a Trigoria, anche perché la famiglia Sensi era in difficoltà e doveva vendere un giocatore. E' stata una decisione sofferta, ma avevo bisogno di una svolta, anche perché avevo davanti ancora 4 o 5 mesi di recupero. Pensai che se una squadra così importante voleva investire su di me mi avrebbe curato al meglio. Purtroppo la prima partita la giocai dopo 6 mesi perché l’infortunio si rivelò più lungo del previsto, ma è una scelta che rifarei: il mio tempo a Roma era finito.
Gerrard ha rappresentato un'icona per i centrocampisti della tua generazione. Che compagno è stato?
Non nascondo che ha pesato nella scelta di trasferirmi. E' stato un esempio da seguire, uno dei più forti nel suo ruolo, all'epoca forse il migliore del mondo. Dopo aver giocato tanti anni con Totti ero curioso di allenarmi con lui perché in qualche modo li paragono. Gerrard è per il Liverpool quello che Francesco è per la Roma e devo dire che sono rimasto impressionato dalla sua tecnica, dal suo carisma. Un uomo spogliatoio, un capitano vero come Francesco.
Leggenda vuole che per le strade di Liverpool ogni tanto si sentisse il profumo dell'amatriciana di tua madre. E' vero?
E' vero, potrei raccontare tanti aneddoti di una città non bellissima ma che ho amato. Non era difficile invitare i compagni a cena, per forza, mangiavano così male che non capivo come facessero a sopravvivere. Quando mamma veniva a Liverpool cucinava per qualche compagno: noi mettevamo le mozzarelle a tavola, gli spagnoli portavano il pata negra. Serate memorabili, a cui partecipava anche Chicco Macheda che arrivava da Manchester. Lo facevo sentire a casa mangiando e parlando romano.
Si può spiegare l'onore di indossare queste due maglie?
Per me è più facile raccontare l'onore di vestire quella della Roma perché io ero il classico ragazzino che gioca in strada e sogna di farlo nella Roma. Già stare in un club come quello giallorosso è bello per qualsiasi calciatore, farlo da tifoso lo è ancora di più: le emozioni che ho provato con la Roma non le ho mai più rivissute né le rivivrò. Il Liverpool è un'altra cosa. E' soprattutto una potenza mondiale, un' industria multinazionale. Ricordo tournée in Oriente con migliaia di tifosi ovunque, sessioni di autografi che potevano durare anche ore. Per la mia carriera è stato uno step successivo, comunque un grande orgoglio.
Kop e curva sud, con i loro inni, sono paragonabili?
Sì, per me si possono paragonare. Il vantaggio di Anfield è avere la Kop attaccata alla porta, un muro rosso che dà una forza incredibile. Ma ricordo che ai miei tempi anche la Curva Sud dell’Olimpico era impressionante. Da quello che vedo alla tv ora i lavori che hanno introdotto le scalinate l’hanno divisa, l’hanno cambiata, e i 30 metri che la separano dal campo non aiutano. Mi immagino di vedere il tifoso della Roma con lo stadio del Liverpool, allora sì che ne riparliamo: diventa difficile per chiunque.
Come si scalfisce quel muro rosso?
La Roma deve fare la partita perfetta, che giochi ad Anfield o altrove cambia poco. In semifinale trovi chi non ti perdona niente, ma la gara perfetta l'ha già fatta e sa come si fa.
Cosa farà la differenza?
Io punto sull'allenatore. L'ho avuto a Sassuolo, è strapreparato, starà studiando come rifare la partita perfetta. Col Barcellona ha trasformato la squadra vincendo contro i più forti del mondo.
E tu lo puoi dire avendoli visti da molto vicino...
Per me il Barcellona è senza dubbio la squadra più forte del mondo. Sarebbe dovuto succedere qualcosa di straordinario per eliminarli ed è successo: la Roma ha giocato una partita pazzesca e Messi non ha giocato alla Messi. E' di gran lunga superiore rispetto agli altri, mi ha impressionato in modo clamoroso.
Giudizi categorici. E il Real?
Messi per me è meglio di Cristiano Ronaldo. Questo non vuol dire che anche lui non sia al di fuori del normale ma io scelgo il campione meno costruito, chi ha il talento nel sangue.
A proposito, come hai vissuto da italiano in Spagna le polemiche seguite a Real-Juve?
Non si parlava d'altro in quei giorni. La Juve ha fatto una partita incredibile che ai supplementari avrebbe portato a casa, aveva qualcosa in più, anche perché il Real non è abituato a perdere 3 a 0 al Bernabeu. Qui ogni tifoso del Madrid ha sul cellulare una foto di un'inquadratura alternativa in cui si vede Benatia che spinge Vázquez, chi è contro invece sostiene la tesi dell'aiuto arbitrale. Io di certo non vorrei essere nei panni dell'arbitro: a velocità normale mi sembrava rigore, sui replay ho qualche dubbio.
E nei panni di Buffon?
Non è facile, esserci di mezzo è un'altra cosa. Ti stai giocando la vita professionale, lui anche di più visto che è alla fine della carriera. Non me la sento di criticarlo, è stato un momento talmente delicato che non so giudicare, da qui è troppo facile dirgli di essere più diplomatico. Il rigore per me si può dare, ma l'espulsione doveva essere evitata.
Sei al primo anno di Liga. Impressioni?
L'ho voluta fortemente, è il miglior campionato del mondo con i migliori giocatori del mondo. Lo vedi dalle piccole squadre: stadi sempre pieni, campi spettacolari, ti viene voglia di giocare a calcio. Purtroppo noi siamo andati male, non posso essere contento, ma anche questa è un'esperienza che rifarei.
Il tuo futuro?
Ho ancora voglia di giocare. Ho un altro anno di contratto, vediamo come andrà a finire. Non nascondo che mi piacerebbe allenare un giorno perché ho lavorato con tanti allenatori bravi, ho conosciuto tante culture sportive e mi piacerebbe trasmetterle. Il fatto di voler cambiare spesso nazione è stata una mia scelta, mi piace conoscere il mondo del calcio ma soprattutto il mondo reale.
Scendiamo per un attimo in campo ad Anfield Road per un'ultima volta. La testa dice Liverpool e il cuore Roma?
Io vedo una sfida equilibrata. Penso che potendo indirizzare il sorteggio l'una avrebbe scelto l'altra. Rappresentano l'outsider della Coppa, due squadre che stanno facendo un bel percorso più in Champions che in campionato. Di certo entrambe si devono giocare la partita della vita per passare il turno.
Reparto per reparto, chi vedi meglio?
In porta mi prendo Alisson che sta facendo una stagione pazzesca. In difesa vedo un duello alla pari. La Roma difende bene, tiene la linea alta eppure non rischia tanto. Ha giocatori rapidi nel coprire gli spazi e Kolarov sta dando quella personalità che mancava. Lo si intuisce da come è tranquillo in campo, mai una giocata banale, e un gran tiro su punizione che sarà un’arma in più. Il Liverpool ha forza e potenza e ora ha speso non so quanti milioni per Van Dijk: è tosta, c’è poco da fare. Per il centrocampo mi prendo quello della Roma. E’ vero che dall’altra parte c’è strapotere fisico però con Radja pareggiamo un po’. In attacco la sfida è più dura. La differenza la stanno facendo quei tre davanti. Io ho giocato con Salah, lo conosco bene: ha una velocità impressionante e questo lo sanno tutti, ma sta diventando bravo anche a livello tattico, ha imparato a posizionarsi per sfruttare al massimo la sua velocità. Lui è il pericolo numero uno.
Ci spieghi questo dna europeo del Liverpool?
Semplice, lì tutti vedono la Champions come la competizione più importante, ma questo vale anche per l’Europa League, che io ho giocato con i Reds. Ai miei tempi ogni gara era una finale, volevamo vincerla ad ogni costo. Segnai anche un gol in semifinale contro l’Atletico Madrid ma non bastò. Fu un duro colpo per l’ambiente. Loro sanno che se sono conosciuti nel mondo è perchè fanno qualcosa in più fuori dal giardino di casa.
Se potessi dare un consiglio nel tunnel cosa sussureresti all'orecchio di De Rossi?
Fai la partita che hai giocato contro il Barcellona, Daniele, che così stiamo già un passo avanti…