Migliaia di tifosi giallorossi hanno passato notti in bianco e preso d'assalto i Roma Store per non rinunciare al sogno di esserci contro il Liverpool. Per molti la possibilità di riscattare quell'enorme dolore di 34 anni fa, in cui la corsa al biglietto fu ancora più estenuante e all'ultimo centimetro
C’è un filo sottile che unisce Roma a Liverpool. Non si tratta delle 1300 miglia che separano le due città perché in questo caso si parla di distanza temporale. Una distanza ben definita, 34 anni e poco meno, quanto basta per bramare una rivincita attesa tanto a lungo. Proprio l’attesa è stato il tema chiave che ha accompagnato la vigilia di questo importantissimo appuntamento. Un intervallo di tempo che ha racchiuso al suo interno vari stati d’animo, dalla speranza alla rassegnazione, dall’ansia alla felicità. Tutto legato - aspettando il risultato della doppia sfida – alla possibilità di acquistare il biglietto del match e rispondere presente. Ore interminabili di attesa, strappi di sonno da meno di due ore, litri di caffè bevuti, terminali offline. La vendita libera dei tagliandi per la sfida dell’Olimpico ha scatenato il caos nella capitale, niente di paragonabile però a quanto successo quel 14 maggio del 1984. “La gente fece la fila dal giorno prima, accampandosi appena finita l’ultima partita di campionato contro il Verona – racconta Stefano Maiocchetti, presidente del Roma Club Dodicesimo Giallorosso -. La differenza è che adesso c’erano più di 10 Roma Store addetti alla vendita, allora l’unico botteghino era l’Olimpico”. Già, perché prima della finale di Coppa Campioni non c’erano i cosiddetti appelli a intervalli di alcune ore, introdotti questa volta, a regolarizzare la situazione. Nessun ordine di chiamata né la possibilità di andare a prendersi un caffè o andare in bagno. Alzarsi anche per pochi secondi da quel posto voleva dire rinunciare alla possibilità di vedere la partita della vita, desiderata fin da bambini. All’inizio il contesto era quello di festa, rappresentato da gente che cantava, mangiava e giocava a carte, ma con il venire della notte il clima cominciava a farsi sempre più teso. Ad alimentare allo stato di tensione c’erano anche delle vetture delle forze dell’ordine, con le persone che intorno alle 4 iniziavano a creare una ressa davanti ai cancelli.
Le prime persone che accorrono al Roma Store di Via Appia
Gli ormai famosi "appelli"
"Sentivamo la vittoria in tasca". Arresti e feriti per accaparrarsi un biglietto
La situazione precipitava alle 9.05, quando veniva avviata la vendita dei 43.300 biglietti messi a disposizione della Roma, compresi quelli degli abbonati. Alcuni gruppi di tifosi avevano scavalcato quelli davanti a loro, la polizia così aveva deciso di intervenire con manganelli e gas lacrimogeni caricando la folla, subendo lancio di sassi e bottiglie da parte dei sostenitori giallorossi. “C’erano forse 10 mila persone – ha ricordato la signora Luisa mentre faceva la fila anche il giorno dopo a via del Corso per seguire la squadra ad Anfield -. Mia madre già era nervosa perché stavo saltando scuola, poi quando seppe quello che era successo me fece ‘n capoccione. Non era successo nulla di grave, almeno nel punto dove stavo io, ma ci voleva poco a scatenare il panico”. Dalle ricostruzioni del giorno dopo 17 erano stati i feriti, tra cui il vice questore Achille Bergamo e tre dei quali della polizia, e 8 gli arresti. La differenza però, oltre che puramente ambientale, era anche emotiva. “In quegli anni c’era molta più passione verso la squadra – riprende Stefano -. Anche da parte loro c’era più affetto verso di noi, c’era addirittura chi se la prendeva se non veniva invitato a un evento. Si festeggiava praticamente ogni risultato e lo stadio era sempre pieno, non c’erano i cosiddetti “occasionali”. Quindi arrivammo a quella partita carichissimi, quasi convinti di avercela già fatta. Per noi quella partita era quasi una formalità. Lo scudetto vinto l’anno prima, la rimonta sul Dundee, la finale all’Olimpico. Erano tutti segnali positivi. La sera dei biglietti c’era da aspettarselo che ci sarebbe stato tutto quel caos, ma la colpa non fu della Roma. L’organizzazione spettava all’Uefa o al massimo al Comune”.
La prima pagina de "Il Tempo" il 15 maggio 1984
Un sogno lungo 34 anni
Sembrava il momento giusto, creato quasi dal destino, per riscattare un’intera vita fatta di sofferenze. Invece i calci di rigore avevano privato la Roma ancora di un bellissimo sogno. Anche quei ricordi, quelli del post partita, sono nitidi come quelli della vigilia. “Il giorno dopo me ne andai a Ostia – continua Stefano -. Andai sulla spiaggia e non volava una mosca, c’era un silenzio tombale. Facevano rumore persino le pagine che giravo nel giornale”. Ancora più forte il colpo per Roberto, anche lui in fila per un biglietto a Via Appia: “Piansi per una settimana intera, fu terribile. Non so se riuscirei a subire un’altra delusione simile”. Più ironica invece la signora Francesca che ha chiesto un giorno di ferie nella speranza di poter essere allo stadio il 2 maggio: “Il mio incubo era che la mia migliore amica e compagna di classe era laziale”. Mentre la signora raccontava la sua esperienza, la folla ha iniziato ad agitarsi perché i terminali non funzionavano e c’erano ragazzi che si erano risparmiati una notte in bianco e stavano comprando direttamente online. “Ao così nun vale” ha gridato un altro, praticamente mai allontanatosi dalla sua posizione dalla sera prima. Come dargli torto. Tra birra, patatine, caffè e cornetti aveva già consumato più di 10 euro. Dopo altre quattro ore di fila, qualche coro e tanti sbadigli, i battenti sono stati aperti e i primi tifosi sono usciti soddisfatti coi biglietti: “Madonna è ‘n sogno”. Sì, per loro è già un sogno. E soltanto per poter dire: «Roma-Liverpool, io c’ero».