L'Inter torna al Camp Nou a otto anni dall'ultima volta e anche stasera ha bisogno di una prestazione indimenticabile per ottenere la certezza di passare al turno successivo
Il ritorno al Camp Nou, a distanza di oltre otto anni dall’ultima volta in cui i nerazzurri ci hanno messo piede, evoca ricordi di valorose battaglie e coltelli tra i denti. Barcellona-Inter, lo si sapeva fin dal giorno dei sorteggi, è la partita più difficile di un girone già particolarmente impegnativo, in cui semmai la squadra di Spalletti dovrebbe contendere il passaggio agli ottavi al Tottenham di Pochettino. In questo senso, la trasferta di Barcellona è anche la partita meno importante, quella meno decisiva per il passaggio agli ottavi, quella che si può anche “non vincere” - sempre in teoria, perché è impossibile scendere in campo a questo livello pensando che vada bene perdere. Le circostanze, però, hanno contribuito a renderla un’opportunità irripetibile: oggi con una vittoria l’Inter sarebbe pressoché certa del passaggio agli ottavi. Non provarci sarebbe imperdonabile.
Ed è proprio la posta in palio, se paragonata alla differenza tecnica tra le squadre in campo, a imporre una profonda riflessione sull’atteggiamento da adottare: a questo punto della sua evoluzione tattica, come può l’Inter uscire con una vittoria dal Camp Nou? Conviene rifugiarsi nella propria metà campo con il consueto coltello tra i denti, replicare i sacrifici e le sofferenze del 2010? Oppure è meglio provare a rovesciare i pronostici contro un Barcellona ferito, privato del miglior giocatore del pianeta, scendendo in campo con aggressività e voglia di giocare il più possibile nella metà campo offensiva?
Per rispondere a queste domande, è necessario un po’ di contesto. Anzitutto va detto che il Barcellona è imbattuto in casa - fa impressione anche solo scriverlo - dal settembre 2016. Al momento ha una striscia positiva di risultati utili che è lunga 42 partite in campionato e 27 partite in Champions League.
Certo, ha il problema di sostituire Messi, che è il perno intorno a cui ruota il sistema di Valverde (quest’anno, fino all’infortunio al braccio, non aveva saltato una partita), ma in passato ha dimostrato di potersela cavare egregiamente: dal 2010/2011, nelle 61 partite senza Messi, ha collezionato 49 vittorie, 6 pareggi e 6 sconfitte, una sola di queste in casa.
L’elegante augurio di pronta guarigione con cui l’Inter ha accolto l’infortunio di Messi
Cosa leggere nelle parole di Spalletti
Nulla lascia pensare - di certo non le ultime sofferte vittorie dell’Inter contro PSV, Spal e Milan - che questa squadra abbia le risorse per spazzare via un simile record. Davanti ai microfoni, Spalletti ha accennato proprio al rischio di adagiarsi sui recenti risultati, perdendo di vista la strada intrapresa per raggiungerli, la qualità richiesta alla prestazione. «L’ultimo risultato non indebolisce il Barça, per cui c’è da rifarlo quello che abbiamo fatto in queste ultime partite, e bisogna ripartire dall’essere molto umili, e molto disponibili a fare una partita di grande fatica».
Con l’entusiasmo derivante dalle sette vittorie consecutive, Spalletti si è presentato in conferenza stampa con una gran voglia di parlare di calcio. Ha persino provato a entrare nella mente di Valverde, prevedendo che anche senza Messi propenderà per confermare il 4-3-3, perché «è difficile andare a trovare un’altra strada diversa se hai ormai confidenza con un modo di stare in campo». È vero, perché l’ipotesi più accreditata è che al posto di Messi giochi Dembelé, ma più probabilmente, in questa analisi Spalletti stava proiettando le sue convinzioni.
«Venire a fare le prove qui… non mi sembra un buon banco di collaudo» è stato il mantra ripetuto dal tecnico ogni volta che ne ha avuto occasione durante la conferenza, e più in generale, la stella polare che ne ha guidato le scelte strategiche da quando è all’Inter. Fino ad ora Spalletti ha stravolto la squadra solo quando i risultati non gli hanno lasciato alternativa, altrimenti si è mosso per piccoli ricami e azzardi controllati. È la stessa posizione che ha assunto anche sull’argomento Lautaro Martínez, che secondo Spalletti non è l’opzione ideale per evitare che la partita scivoli sul piano «della gara a chi fa più gol».
Con Icardi in queste condizioni, del resto, il problema di segnare non si pone
Ha poi giustificato la scelta di farlo partire dalla panchina con la necessità di tenere palla, di controllare i ritmi della partita, di preservare gli equilibri di squadra, anche nel rispetto dell’avversario che si ha di fronte. «Penso che il problema sia quello lì, non come marcare un giocatore o un altro, ma di tener di più la palla noi. Sembra un paradosso venir qui a giocare e dire questo, ma è l’unica possibilità che abbiamo». In estrema sintesi, questo dovrebbe essere l’atteggiamento mentale con cui l’Inter dovrebbe presentarsi in campo al Camp Nou.
Spalletti ha poi lasciato intendere che a centrocampo idealmente giocano Vecino, Brozovic e Borja Valero, come nel Derby dopo l’infortunio di Nainggolan, ma che non è detto che Brozovic sia arruolabile. In quel caso prenderebbe il suo posto uno tra Skriniar e Asamoah. Nella prima opzione, De Vrij va a comporre la coppia di centrali con Miranda, e Skriniar si sistema davanti a loro. Nella seconda, Asamoah va a giocare in mediana, magari da mezzala sinistra con Borja vertice basso, magari in linea con Vecino, con Borja trequartista. In quel caso il suo posto a sinistra sarebbe occupato da D’Ambrosio. Il ballottaggio principale è quindi quello tra Brozovic, De Vrij e D’Ambrosio, ma se sta bene il croato, gioca lui.
Come si affronta il Barça?
Sulla scia del lavoro avviato nella passata stagione, il Barcellona di Valverde tende a schierarsi con un 4-3-2-Messi, nel senso che Coutinho e Suárez iniziano l’azione nella loro posizione naturale, a sinistra e al centro del tridente d’attacco, e poi si muovono in funzione dei movimenti del Dieci, libero di assecondare la sua vena creativa e di creare continui rompicapi alle difese avversarie. L’assenza dell’argentino renderà il Barcellona in qualche modo più prevedibile, ulteriormente verticale, soprattutto se dovesse essere sostituito da Dembelé, e non dal jolly Sergi Roberto come filtra in queste ultime ore.
Una tendenza sempre più consolidata tra gli allenatori europei, per esporre i limiti creativi e atletici del Barcellona, è quella di ridisegnare la squadra intorno a una difesa a tre. Di Francesco, dopo la trionfale rimonta all’Olimpico, aveva detto di essersi ispirato al Chelsea di Conte. Anche nell’ultima giornata di Liga, Machín ha riproposto con il Siviglia il 3-5-2 che aveva caratterizzato il Girona della passata stagione. Il Barcellona ha vinto ugualmente, perché a Messi sono bastati 12 minuti per chiudere la partita, ma ha sofferto molto, affidandosi alle parate impossibili di Ter Stegen.
Proiettate tra i grattacieli o nello spazio, le parate di Ter Stegen fanno quasi meno impressione
L’idea di base per tutti gli allenatori era quella di bloccare l’accesso al centro, occupando tutti i canali in ampiezza, allo scopo di rendere stagnante la fase offensiva blaugrana, di forzare una circolazione perimetrale che faccia perdere ritmo ai loro schemi d’attacco. Allo stesso tempo, è necessario applicare una pressione intensa all’altezza del centrocampo, affacciandosi di tanto in quanto dentro la loro area di rigore, per sfruttare ogni possibile transizione offensiva. Questo approccio richiede una grande intesa tra i reparti in fase di non possesso e una grande attitudine al sacrificio, caratteristiche che l’Inter ha nel sangue e che sostanzialmente l’hanno condotta fin qui.
Spalletti ha annunciato che non farà cambiamenti tattici, quindi sarà ancora 4-2-3-1, un modulo che permette di schierarsi a specchio con il centrocampo del Barça creando i presupposti per la formazione di duelli individuali sulle fasce. Questo richiederà almeno un paio di prestazioni sopra la media. In primo luogo quella dell’esterno destro d’attacco, l’uomo deputato a seguire nelle sue scorribande Jordi Alba, che contro il Tottenham e contro Lamela ha fatto il bello e il cattivo tempo, e richiede sempre un’attenzione particolare. Per questo motivo Candreva potrebbe essere preferito a Politano, nell’ultimo ballottaggio di giornata.
Nella stessa misura, sarà importante non perdere terreno sulla sinistra, dove bisognerà contenere ali tecniche e velocissime come Dembelé o Malcom. In questo D’Ambrosio potrebbe essere più adatto di Asamoah, apparso già in grande difficoltà contro Suso nel Derby. Sarà poi decisiva la figura del vertice basso davanti alla difesa, che muovendosi da sinistra a destra deve andare a fare da cuscinetto per chiudere i corridoi laterali in cui il Barcellona innesca gli attacchi: è chiaro che Brozovic sarebbe più a suo agio di Skriniar, ma fino ad ora lo slovacco non ha mai smesso di stupire, né di mostrare nuove sfumature del suo talento.
Non è detto che il ruolo di mediocentro non gli si addica, anzi
Provando a interpretare le parole di Spalletti sull’impronta delle partite più difficili che ha dovuto preparare, è facile immaginare un approccio dell’Inter simile a quelli adottati al San Paolo contro il Napoli, o a Torino contro la Juventus nella passata stagione. In entrambi i casi, la partita finì 0-0, che oggi sarebbe un risultato preziosissimo per l’Inter. In entrambi i casi, l’Inter creò qualche occasione, pur non recando grossi spaventi all’avversaria di turno, e raggiunse un buon compromesso tra prestazione e risultato. In entrambi i casi, tuttavia, l’Inter colpì per il coraggio di muovere la palla con velocità nelle zone di campo più pericolose, di aggirare attraverso il possesso, la tecnica e l’organizzazione i pericoli della riaggressione (che anche il Barça sfrutta con metodo, ed è diventata ormai parte dell’identità tattica del club).
Questo possesso però è stato inteso sempre a scopo conservativo, con l’idea di allontanare e allentare la pressione avversaria, e quindi senza mai rinunciare alla compattezza tra i reparti, senza mai portare troppi uomini sopra la linea della palla. Nelle grandi partite, Spalletti preferisce giocare a chi subisce meno gol, ma questa non è una strada che passa necessariamente dalla resistenza eroica e dal coltello tra i denti. Ci si può anche difendere con il pallone, l’Inter lo sta velocemente imparando, e non c’è stadio migliore in cui dimostrarlo.