Juve, bene la vittoria contro il Psv. Ma manca ancora qualcosa

Aspetti positivi? Sì, ce ne sono. Prima di tutto questa vittoria: la Juve, anche se ancora a ondate più che con una mareggiata costante, l'ha voluta, se l'è presa e la benedice, perché entrare negli ottavi di Champions è obiettivo irrinunciabile per svariati motivi e presentarsi in Olanda con l'obbligo di vincere sarebbe stato un fardello pericoloso per un gruppo che fra i suoi limiti più duri da scardinare mantiene una mentalità ancora in fase di formazione. In questo senso, vincere delle partite, specialmente quelle importanti, funge da acceleratore più di qualsiasi altra cosa, e il fatto che per la prima volta Thiago Motta abbia visto la sua Signora ottenere tre successi di seguito è un altro riscontro di valore non indifferente. Perché le vittorie portano autostima, tolgono timori e velocizzano la crescita, tutte cose di cui questo progetto ha un bisogno sempre più impellente. In più, c'è da annotare finalmente uno spirito di ribellione alla mediocrità, personificato dalla carica suonata a ripetizione da Gatti che con due sgroppate sgraziate ma incontenibili ha ispirato le azioni dei due gol, e se questo da una parte racconta di come un compito urgentissimo dell'allenatore sia quello di stimolare e far germogliare quella qualità ancora troppo nascosta nei meandri psicologici della sua squadra, dall'altra comincia a indicare chi possano essere i tanto richiesti nuovi leader. Poi però c'è ancora tanto, non più 'troppo' ma ancora decisamente tanto di perfettibile. A partire dalla fase difensiva, che sembrava poter essere il basamento fissato immediatamente dal nuovo tecnico e invece dopo il ko di Bremer non ha mai più trovato appigli saldi , con la sensazione che oltretutto si sia involuta: anche ieri sera si è notato chiaramente come, saltata la prima linea di pressing, la squadra si faccia cogliere bassa, piatta e schiacciata. La conseguenza è che se nei primi due mesi di stagione le chiare occasioni concesse all'avversario erano rarissime, ora la sensazione è quella di una fragilità sempre pronta a palesarsi. Se la Juventus ha tenuto la porta chiusa solo in due delle ultime dodici partite è soprattutto perché si porta il nemico molto più vicino se non addirittura dentro all'area di rigore: scorrete a memoria le immagini degli otto gol subiti nelle ultime otto partite, da quello di Retegui a Bergamo fino alla pugnalata da grande matador di Perisic, passando per la testata di Diao, per l'appoggio addolorato di De Sciglio o per il gaio banchettare nei sedici metri di Pavlidis, Kokçu, Anguissa... tutte grandi chances da posizioni profonde e invitanti. E queste sono concessioni che in Champions, e nei big match in generale, costano il doppio perché la qualità dei rivali è più alta e di conseguenza il rischio di incassare gol ben maggiore. In più ci sono i primi riscontri individuali dei nuovi arrivati, che se per la qualità e la personalità di Renato Veiga possono anche essere speranzosi risultano invece opposti per un insospettabilmente friabile Kelly, visto che - pur essendo un difensore vero da oltre un metro e novanta - sia a Como che in Champions è parso terribilmente battibile in quelle che dovrebbero essere specialità della casa, ovvero il corpo a corpo e i duelli nei cieli. Altra spina: l'assenza ancora conclamata di punti cardinali definiti, specialmente a centrocampo. Locatelli e McKennie sono i veri irrinunciabili per caratteristiche , ma l'auspicata svolta sul piano estetico faceva sperare a molti un assetto più accattivante e affascinante; Douglas Luiz finalmente sta crescendo e la sua qualità è irrinunciabile se si vuol cambiare marcia, mentre Koopmeiners proprio di diventare protagonista non ne vuol sapere e Kephren Thuram, nella prima parte di stagione considerato a ragione l'acquisto più redditizio dell'ambizioso mercato estivo, ora è reduce da tre panchine di fila difficili da spiegare se non nelle elucubrazioni abituali del tecnico italobrasiliano, che non ritiene di generare confusione dando a tutti la possibilità di sentirsi titolari , però allo stesso tempo non definisce quel nocciolo duro che sta nel cuore della squadra al quale, guarda caso, i suoi colleghi di altissima classifica non rinunciano. Infine, è sempre da ricercare la connessione finale della manovra, forse il problema rimasto costante in una stagione che ne ha evidenziati tanti ma mutando tipologia di problematica a seconda dei momenti. Invece il fatto che la Juventus, quando attacca, difetti spessissimo di quell'armonia negli ultimi venti metri che moltiplicherebbe la qualità della fase di conclusione resta il freno per un reparto offensivo che di potenziale individuale ne ha tantissimo, ma che non lo ha mai tradotto in qualcosa di collettivo e di conseguenza reale. C'erano state avvisaglie di miglioramento specialmente nel primo quarto d'ora della partita di ieri, ma poi Yildiz in partita non c'è entrato mai e ci è uscito letteralmente all'intervallo, a Nico Gonzalez è mancato filo sulla lama e si è infilato in una serata senza uno spartito preciso in cui è parso inseguire costantemente un'ispirazione sfuggente, i giovani subentrati hanno offerto sgasate ma anche qualche buco come è naturale per chi ha da poco superato i vent'anni, e persino lo stupefacente Kolo Muani delle prime due partite alla terza è risultato non più che 'normale', tanto che a Vlahovic - nella manciata di minuti che stavolta ha avuto a disposizione – è bastato fare un paio di generose corse di sacrificio per ricevere degli applausi. In sintesi, la sensazione è che la notte di Thiago Motta sia passata finalmente con un po' di serenità, ma che il motivo sia soprattutto legato ai risultati che cominciano, seppur lentamente e faticosamente, ad arrivare. Un paradosso per chi fino ancora a pochissimo tempo fa indicava come proprio fine la natura del messaggio più che l'ossessione per il successo? Non proprio. Perché poi lo sanno tutti, anche Thiago Motta, che se sei l'allenatore della Juventus quello che conta, magari non più l'unica cosa ma comunque sempre la prima, è fare quel che forse ha finalmente cominciato a fare: vincere con continuità. Però domenica arriva l'Inter e l'asticella rispetto a Empoli, Como e PSV si alza vertiginosamente. Per continuare con questo passo, servirà sicuramente molto, molto di più.

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Juve, bene la vittoria contro il Psv. Ma manca ancora qualcosa

Stefano Borghi