Da Di Bartolomei a Pellegrini, i capitani della Roma "europei"
la storia ©LaPresseDue finali nel giro di 371 giorni: Lorenzo Pellegrini sta per diventare il primo capitano della Roma ad aver vissuto due finali europee, addirittura consecutive. Dopo Tirana ci sarà Budapest e dalla Conference si passa all'Europa League, sempre sotto la guida di Jose Mourinho
Chissà cosa avrà pensato Lorenzo Pellegrini il 25 maggio di un anno fa. A Tirana, da capitano romano e romanista è stato lui ad alzare al cielo la Conference League conquistata in finale contro il Feyenoord. Un “privilegio europeo” che nella storia giallorossa era toccato solamente a Giacomo Losi, nel 1961 quando all’Olimpico sollevò la Coppa delle Fiere dopo aver battuto il Birmingham. Una gioia solo accarezzata da Agostino Di Bartolomei nel 1984, ma quella sera contro il Liverpool, nell’ultimo atto della Coppa dei Campioni, il protagonista fu un portiere sudafricano di nome Grobbelaar, con la sua danza folle prima di ogni calcio di rigore. Per non parlare dell’illusione vissuta da Peppe Giannini, anche lui romano, romanista e prodotto del vivaio, che nel 1991 fu costretto a sorbirsi l’esultanza dell’Inter del Trap nella finale di ritorno di Coppa Uefa. Ancora una volta in casa, sempre all’Olimpico, un’altra delusione. Che dire poi di Francesco Totti o di Daniele De Rossi, veri e proprio monumenti della storia romanista. Loro, una finale europea, non l’hanno mai disputata. Non era ancora nato Lorenzo Pellegrini, neanche il 30 maggio del 1994, quando, a 10 anni esatti dalla sconfitta contro il Liverpool, il capitano silenzioso, Agostino Di Bartolomei, scelse di togliersi la vita nella sua casa di Castellabate.
Emozioni inedite per un capitano della Roma
In queste ore cosa passerà per la testa di Lorenzo? Di sicuro la consapevolezza di poter vivere un qualcosa di inedito, mai provato da un capitano della Roma in quasi 100 anni di storia. Due finali europee, addirittura consecutive, in 371 giorni. Dalla Conference a Tirana all’Europa League a Budapest, dal Feyenoord al Siviglia. Con lui, molti, quasi tutti, quelli che già un anno fa hanno esultato al fischio finale di Kovacs. Compreso, naturalmente, Josè Mourinho. L’allenatore portoghese non solo ha riportato la Roma a vincere un trofeo dopo 14 anni (ultima coppa Italia con Spalletti nel 2008), ma è riuscito in meno di due anni a modificare, chissà se solo temporaneamente, la mentalità di una squadra, di una tifoseria, di un’intera città.
Un cammino non semplice
Il cammino verso Budapest lo testimonia. Più di una volta la Roma è stata in bilico. E’ capitato nella fase a gironi, con due sconfitte nelle prime tre giornate e un secondo posto alle spalle del Betis agguantato solo nell’ultima serata, quella dell’Olimpico contro il Ludogorets. Poi nel playoff contro il Salisburgo, il primo avversario sceso dalla Champions, rimontato in casa dopo la sconfitta in Austria. L’Olimpico è stato un prezioso alleato anche nell’andata contro la Real Sociedad per poi difendere il doppio vantaggio a San Sebastiàn. E ancora, la sconfitta di Rotterdam, ribaltata con un 4-1 ai supplementari in un’altra notte fantastica davanti ai propri tifosi. E pensare che a 10’ dalla fine, il pareggio di Igor Paixao sembrava aver riportato la Roma a fare i conti con la sua storia, spesso caratterizzata da rimonte solo assaporate. E per finire il Bayer Leverkusen, superato all’Olimpico grazie a un gol di un altro figlio di Roma, di un altro ragazzo del vivaio, Edoardo Bove. Lo stesso che nei minuti finali della Bayarena era fuori ruolo, sulla fascia destra, a occuparsi di Adli appena entrato. Una sofferenza indicibile nei minuti finali, che ha portato in molti a pensare a un finale amaro, a un gol che sarebbe inevitabilmente arrivato nei minuti di recupero e che avrebbe causato il crollo giallorosso nei supplementari. Così non è stato, neanche in Germania. La Roma a Budapest può scrivere un’altra pagina di storia, in totale controtendenza con quella che molti romanisti di generazioni diverse hanno vissuto fino a oggi.