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Europei 1960: la storia della prima edizione vinta dall'URSS

EURO STORY

Alfredo Corallo

©Getty
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L'allora Coppa delle Nazioni Europee, disputata in Francia senza Germania, Italia e Inghilterra, fu segnata dalle tensioni politiche che animavano il Vecchio Continente: vincerà l'Unione Sovietica di Yascin, opposta alla Jugoslavia in uno stadio mezzo vuoto. Ma la strada, ormai, era tracciata...

Il quadro politico europeo del 1960 è 'scomposto' come un Picasso, incrinato sulle prime da una surreale linea di confine che sembra pennellata da Miró, ma che presto diventa uno squarcio di Lucio Fontana sulla tela geografica del Vecchio Continente per trasfigurarsi irrimediabilmente in un'opera di cemento armato alta 4 metri e lunga 150 km, intitolata Die Berliner Mauer: perché, se da una parte, a Occidente, è schierato il fronte atlantico della NATO 'governato' dagli Stati Uniti; dall'altra, combattono le forze socialiste orientali del Patto di Varsavia legate a doppio filo all'autorità sovietica; in mezzo, se non si fosse capito, il Muro di Berlino. Eppure, è in questo machiavellico contesto storico che Henry Delaunay, illuminato dirigente della Federcalcio francese e primo Segretario generale della neonata UEFA, propone di svecchiare l'ormai obsoleta e fin troppo selettiva Coppa Internazionale (pensata soltanto per Italia, Austria, Cecoslovacchia, Ungheria, Svizzera e allargata nella sua ultima edizione alla Jugoslavia) con la più ambiziosa e 'democratica' Coppa delle Nazioni Europee, ribattezzata agli albori 'Coppa Delaunay' in omaggio al suo ideatore, scomparso prima di vedere alla luce la sua creatura, ma la cui 'vision' sarà portata avanti dal figlio Pierre. Con risultati non proprio esaltanti, almeno in principio.

La Cortina di ferro

Il 'gran rifiuto' delle big d'Europa

Il programma del nuovo format prevede tre turni: eliminatorie; ottavi; quarti + una fase finale a quattro squadre, formula che resisterà fino al 1980, quando il numero fu ampliato a 8 (dal 1996 estesa a 16 nazionali, dal 2016 a 24). Ma il modello non convince: delle 33 federazioni aderenti all'UEFA, solo 17 (il minimo sindacale) scelgono di prenderne parte e il sorteggio - effettuato nel corso dei Mondiali di Svezia '58 - passa nella quasi totale indifferenza generale. Tra loro non compaiono Inghilterra, Scozia, Germania Ovest e noi, per ragioni che anche oggi ci suonano familiari: ufficialmente per la sovrapposizione con le qualificazioni a Cile '62 (ritenute, ovviamente, più importanti) e con gli impegni delle squadre di club (se ne parlava già, dunque, 60 anni fa...). Ma l'Italia, secondo la critica, aveva declinato l'invito anche per evitare ulteriori figuracce dopo la mancata partecipazione al Mondiale svedese e il fallimento degli 'oriundi' nella disfatta di Belfast, umiliati dai modesti nordirlandesi. Ai quarti, tuttavia, c'è la creme del calcio continentale: Francia, Jugoslavia, Cecoslovacchia, ma soprattutto URSS e Spagna. Che l'urna di Parigi nel dicembre del 1959 mette di fronte ai quarti, una pallina fatale sparata come una cannonata dalla roulette della sorte sul rosso e il nero, due colori inconciliabili nell'era della Guerre froide.

Dolce vita e Guerra fredda

Il trattamento riservato al film di Federico Fellini - uscito nel febbraio del 1960 - rende l'idea dell'atmosfera che animava quel tempo: se in Francia - sempre più rivoluzionaria e 'libertina' - si aggiudicò la Palma d'Oro, in Italia fu ritenuto scandaloso e vietato ai minori di 16 anni (per il sollazzo di Indro Montanelli, che associò l'affresco felliniano alla pittura di Goya, suggerendo, casomai, il divieto ai maggiori di sessant'anni anziché ai ragazzi, "perché ritengo metta più in pericolo l'innocenza dei nostri babbi che quella dei nostri figli..."); mentre in Spagna - ma anche in certi salotti romani, già in subbuglio per quella 'Babele' olimpica in cui d'estate la capitale si trasformerà per i Giochi - venne tacciato di 'bolscevismo', proiettato nelle sale solo dopo la morte di Francisco Franco, quando fu ultimato il periodo di transizione dal regime dittatoriale a uno Stato di diritto (praticamente a cavallo degli anni '80). Una censura che il 'Caudillo' applicava a tutti i livelli, sport incluso: irremovibile nell'intimare alla 'sua' federazione calcistica di non inviare le 'Furie Rosse' a Mosca - con lo Stadio Lenin sold out - per giocare la partita d'andata contro l'URSS, persa - inevitabilmente - a tavolino.

La Dolce vita di Federico Fellini
©Ansa

Che assist a Krusciov

Un peccato mortale, se consideriamo che in quella Selección - allenata da Helenio Herrera - militava gente come Alfredo Di Stefano, Ladislao Kubala e il futuro Pallone d'oro Luisito Suarez, stelle del Real Madrid campione d'Europa e del Barcellona regina della Primera División. Ma l'idea di veder sventolare la bandiera con falce e martello al Santiago Bernabéu procurava un mancamento al Generalissimo: un autogol, specie in termini propagandistici, un assist a Nikita Krusciov, leader supremo del Partito Comunista e prossimo trionfatore nella battaglia finale del Parco dei Principi

L'Armata Rossa e il Ragno nero

Lo stadio parigino ospita anche la prima semifinale, tra i padroni di casa (scelti dall'UEFA come ospitante per meriti sportivi) e la giovanissima Jugoslavia, la partita più bella - la più divertente di sicuro - del torneo: basti ricordare che al 62' i francesi erano avanti 4-2, rimontati clamorosamente 5-4 con tre reti degli slavi nel giro di quattro minuti. Nell'altra, i russi di Gavriil Kachalin strapazzano 3-0 i cechi di Masopust, che si consoleranno con la vittoria (2-0) nella 'finalina' del Vélodrome di Marsiglia contro i galletti spennati di Thépot, abbandonati dalla patria e sostenuti dalla miseria di 9.438 tifosi. Il 10 luglio del 1960 è il giorno della finalissima, che si rivela un altro mezzo flop: 17.966 paganti assistono allo show del 'Ragno nero' Lev Yascin, che para l'impossibile. E anche il vantaggio jugoslavo di Jerkovic non scoraggia l'URSS, che pareggia con Metreveli e ribalta il risultato nel secondo tempo supplementare con Ponedelnik. 

Spagna-Urss, finale Europei 1964
©Getty

L'Europa nel pallone

È l'apoteosi per l'Armata Rossa, applaudita quattro anni più tardi dai 125mila del Bernabeu, quando la 'Falange' spagnola di Franco avrà la sua personalissima rivincita (vendetta, meglio) con i sovietici nella finale del disgelo. Il vento era cambiato, gli squilibri geopolitici regnano sovrani: e la cara, vecchia Europa non potrà che essere destinata a convivere perennemente nel pallone.