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Europei 1992, la storia della 9^ edizione vinta dalla Danimarca

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Marco Salami

Un intreccio da film: i danesi vinsero l'Europeo al quale non si erano qualificati, furono ripescati dopo il secondo posto nelle qualificazioni e richiamati mentre erano in vacanza a dieci giorni dall'inizio della prima partita. Vinsero il trofeo da abbronzati anche grazie a una gita al fast food

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Era l’estate del 1992. La moda imponeva camicie a fantasia e jeans a vita alta, giacche coloratissime e oversize, o lo stile "grunge" con camice a quadrettoni di flanella alla Kurt Cobain. Al cinema, un giovane regista esordiente che lavorava in un videonoleggio sorprende il mondo con un piccolo capolavoro indipendente, si chiama Quentin Tarantino e il film Le Iene. Luca Carboni cantava Mare, Mare nella compilation 1 del FestivalBar. Nel secondo disco c’è Lisa Stansfield con Change. E i cambiamenti sono tanti. Viaggiano liberi dai confini, uno su tutti è caduto: il Muro non c’è più e la Germania gioca la sua prima grande manifestazione tutta unita, senza Est e senza Ovest. Ma la stagione geopolitica è ancora in fermento: tra le squadre dei due gironi di Euro '92 c’è anche la Comunità degli Stati indipendenti: la CSI gioca solo quell'edizione, riconosciuta dalla Fifa dopo la disgregazione dell’URSS, unendo undici delle quindici repubbliche ex sovietiche. E c’era ancora la vecchia Jugoslavia: 14 punti nel girone di qualificazione per Euro '92, uno in più della Danimarca: la nazionale che non si qualificò all’Europeo, ma lo vinse lo stesso.

Antefatto

L'uomo al comando della nazionale danese si chiama Richard Møller Nielsen; in un film sarebbe quel personaggio secondario che si scopre essere l’eroe solo alla fine della pellicola. Era stato l’assistente del grande Sepp Piontek che allenò la Danish Dinamite ("la dinamite danese"), la nazionale rivelazione assoluta del Mondiale 1986 chiuso agli ottavi da esordiente. I tempi però erano cambiati: Møller Nielsen fu accolto nello scetticismo generale e perse immediatamente le sue due stelle più brillanti, rispondevano ai nomi di Brian e Michael Laudrup. Michael era stato tra i protagonisti assoluti della squadra "dinamite" insieme agli "italiani" Elkjaer (lo scudetto del Verona di Bagnoli) e Berggreen (la famosa foto della maglia del Pisa strappata). Molti di quella squadra, però, avevano chiuso col calcio giocato e i due fratelli abbandonarono il gruppo nel corso delle qualificazioni per dissapori tattici col Ct. E infatti quella Danimarca non staccò il pass per gli Europei. Poi il plot twist, il destino che fa il doppio gioco con un pallone da calcio ai piedi: a dieci giorni dall'inizio del torneo una risoluzione ONU relativa ai conflitti in corso nei Paesi balcanici escluse la Jugoslavia ripescando la Danimarca. Møller Nielsen alza la cornetta mentre sta montando la sua nuova cucina, posa martello e chiodi e dirama le convocazioni, ricucendo parzialmente lo strappo coi Laudrup: Brian c'è, Michael no. Gli altri diciannove interrompono le vacanze al mare e arrivano nella vicina Svezia come dei divi dei film su un red carpet, belli a abbronzati.

Titoli di coda?

Nel girone ci sono Inghilterra, i padroni di casa della Svezia e la Francia. Possibilità: pochissime. Tra i pali c'è Peter Schmeichel, da un anno allo United. Brian Laudrup è titolare. L'overture è un pari contro gli inglesi, alla seconda il ko 1-0 con la Svezia (segna l'ex Parma Tomas Brolin) sembra far calare i titoli di coda sulla moderna cenerentola con quella maglia biancorossa così bella. A novanta minuti dalla fine del girone, in realtà, c'è ancora una flebile speranza e un difficile incastro di risultati: i danesi devono battere la Francia di Papin e Cantona allenata da Platini. E la Svezia deve battere l'Inghilterra. Succede. Coi due gol decisivi sui due campi segnati entrambi negli ultimi dieci minuti. 

Battere i giganti

In semifinale (subito dopo i gruppi, come prevedeva quel format) c'è l'Olanda campione in carica. Møller Nielsen cambia la storia: sa di avere tanti buoni giocatori ma non un gruppo, è allora una gita al fast food - passata alla storia - a compattare l'ambiente. I danesi respirano un'aria nuova, la consapevolezza di poter sfidare (e magari battere) i campioni del continente in carica, nomi da far tremare le gambe: Gullit, Rijkaard, Van Basten, Bergkamp e Koeman. Brian Laudrup incanta, giocando una partita eccezionale e servendo due assist. Rijkaard pareggia a quattro minuti dalla fine sul 2-2 mandando il match ai rigori. I danesi sono perfetti. Ancora di più lo è Peter Schmeichel che para (sarà l'unico errore, e sarà decisivo) nientemeno che su Marco Van Basten.

L'ultimo retropassaggio

All'ultimo atto ci sono loro, i detentori del Mondiale appena vinto in Italia: la Germania tutta unita, senza Ovest e senza Est. La Danimarca ha capito che il destino ha preso una sua decisione, e scandisce forte e chiaro il loro nome. John Jensen segna subito, Schmeichel sforna parate memorabili. L'incredulità sul volto dei giocatori di Møller Nielsen lascia presto spazio alla consapevolezza: finisce addirittura 2-0. Il raddoppio porta la firma di Kim Vilfort, altra storia nella storia: prima e dopo le partite tornava in patria per assistere la figlia Line malata di leucemia. Morirà sei settimane dopo la fine degli Europei. La finale, di fatto, finisce lì. Anche perché i danesi portano all'esasperazione la mossa preistorica del retropassaggio al portiere che, in tempi lontani, può ancora raccogliere palla con le mani senza rischiare nulla. Una volta, due, tre, tantissime. Un'applicazione scientifica e del tutto regolare della melina, e che contribuirà ad abolire la regola poco tempo dopo. Palla indietro: la prende Schmeichel, con le mani. Erano le mani sulla vittoria.