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Kiricocho e l'11 luglio: quando un tifoso "menagramo" fa vincere un Mondiale e un Europeo

la storia

Marco Salami

Nello stesso giorno del 2010 e del 2021 la Spagna e l'Italia salivano rispettivamente sul tetto del mondo e d'Europa anche grazie a un tifoso porta sfortuna dell'Estudiantes. La storia della parola che, se urlata al momento giusto, fa sbagliare chiunque

ITALIA-PORTOGALLO LIVE

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Due urla, due volte la storia che cambia il proprio corso. Due tiri mancini, di piede e come quelli che gioca il destino. Saka all'ultimo rigore, calciato proprio di sinistro, che manda l'Italia di Mancini (inteso come Roberto) sul tetto d'Europa. Robben che sbaglia solo contro Casillas, di sinistro, il gol che probabilmente avrebbe consegnato il Mondiale 2010 all'Olanda. Due storie che si intrecciano, come in quei film a episodi dove tutti convergono verso un finale unico. Perché entrambe le partite sono state giocate l'11 luglio; e su entrambi gli errori esiziali aleggiava il fantasma di Kiricocho. La parola che, se urlata al momento giusto, fa sbagliare chiunque. Sì, ma chi è Kiricocho?

Il tifoso porta sfortuna dell'Estudiantes

Tutto nasce in Argentina e, a pensarci bene, non sembra un caso, lì nella terra dove il calcio spesso abbandona il piano di un gioco reale per tuffarsi nei meandri della metafisica. Anni Ottanta, l'inventore è Carlos Bilardo, l'uomo al comando della Selección nell'iconico Mondiale di Maradona del 1986. Leggenda narra che Kiricocho fosse un tifoso menagramo del suo Estudiantes e che, ogni qualvolta si presentasse all'allenamento della squadra del cuore, arrivasse puntualissimo un infortunio. Bilardo, uomo molto scaramantico che non faceva mai cambiare posto ai propri giocatori sul pullman, trovò ben presto una soluzione: invertire il corso della storia, o almeno provarci. Trasformare la sfortuna in fortuna, mandando Kiricocho - si dice - a seguire soltanto le squadre rivali. Come risultato, in quel 1982, l'Estudiantes vinse il Metropolitano perdendo una sola partita in tutta la stagione, contro il Boca, l'unico club a cui Kiricocho non riuscì a far visita…

©Getty

Capdevila e l'urlo nelle orecchie di Robben

Una parola "maledetta". Perché anche lui, o almeno così narra la sua leggenda, è inevitabile, proprio come il destino. È la cenere di una sigaretta che si sta consumando col vento. Fotografia: è l'11 luglio del 2010 ed è il minuto numero 62 della finalissima in Sudafrica tra Spagna e Olanda. Nel caos delle vuvuzelas Sneijder, di mestiere cecchino, mette ordine al caos con un passaggio tanto improvviso quanto illuminante che mette Arjen Robben tutto solo contro Casillas. È uno di quei grandi bivi della storia, perché se Robben segna l'Olanda può davvero diventare campione del mondo, lì dove anche Johan Cruijff e la sua Arancia meccanica avevano fallito. E invece, Kiricocho. Perché nella storia ci entra sì la parata di piede di Casillas, l'attore protagonista; ma anche il collega poco più indietro, solo apparentemente ai margini del dipinto. È Joan Capdevila. Ironia della sorte, si chiama quasi come la leggenda oranje Cruijff. È alle spalle di un Robben ormai imprendibile e, in quel momento, fa l'unica cosa rimasta da fare: urlare Kiricocho nelle orecchie dell'olandese. 

Saka-Chiellini, atto II

E allora forse esiste anche un universo parallelo dove il leggendario Kiricocho non amava il calcio e l'Olanda nel 2010 è diventata campione del mondo, così come l'Inghilterra d'Europa nel 2021. Altra fotografia: il rigore di Saka, la parata di Donnarumma, in un altro 11 luglio, la coppa agli azzurri con lo stesso protagonista, cioè il fantasma del tifoso dell'Estudiantes. Perché quello di Kiricocho è l'universo dove il calcio si mischia a superstizioni e credenze a cui nemmeno si sperava di credere. Perché quella volta, pochi minuti dopo averlo acchiappato per il colletto della maglia, fu Chiellini a urlarlo. Lì, a centrocampo, stretto insieme ai compagni, mentre assisteva a quell'ultimo tiro. Un altro grande bivio della storia del gioco, e chissà quanti altri portano la firma di Kiricocho.