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Fonseca: "Sapevo di Mou. A Roma difficile ma bellissimo"

esclusiva

Valentina Mariani

L'ex allenatore della Roma, oggi al Lille, si è raccontato in esclusiva a Sky. Al microfono di Valentina Mariani ha parlato degli anni in giallorosso, del suo rapporto con Mourinho e anche della sua fuga da Kiev durante la guerra. E sul futuro ha detto: "Il mio sogno è essere felice"

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Paulo Fonseca si è raccontato a 360° in esclusiva ai microfoni di Sky Sport. Sono i tanti i temi affrontati nell'intervista curata da Valentina Mariani: dal suo presente al Lille al passato, soffermandosi in particolare sugli anni trascorsi a Roma, squadra che ha allenato tra il 2019 e il 2021. In primo piano anche il suo rapporto con José Mourinho, così come gli obiettivi personali e di squadra. E poi, il toccante ricordo della sua fuga da Kiev, quando è scoppiata la guerra in Ucraina: "Un momento di panico per tutti, era impossibile uscire dalla città". Prima di allenare, Fonseca è stato un calciatore. Ed è da lì che tutto è iniziato. O quasi...

Lei ha giocato prima di allenare, c’è un momento in cui ha capito mentre era ancora calciatore che sarebbe diventato allenatore?

"Devo dire che dall’inizio mai avrei pensato di fare l’allenatore. Dopo i 28-30 anni ho iniziato a pensare cosa fare dopo aver smesso di giocare. Ho avuto allenatori che mi hanno trasmesso l’entusiasmo di allenare, di come si gioca e ho iniziato così. Ho fatto il corso e a 32 anni ero già pronto a iniziare come allenatore".

 

L’obiettivo quando ha iniziato ad allenare quale era?

"Il primo obiettivo era arrivare ad allenare nella Primeira Liga del Portogallo. Mai ho pensato ad altri obiettivi, quando ho iniziato volevo quello e nella mia testa mai avrei immaginato di andare in altri Paesi. Adesso invece è l’opposto: difficilmente tornerei in Portogallo".

Si può dire che l’esperienza allo Shakhtar le abbia cambiato la vita?

"Si, non solo professionale ma anche personale. Ha cambiato molto la mia vita, è stata la mia prima esperienza fuori".

 

Lei incontra con il Braga lo Shakhtar e l’anno dopo la prendono…

"E’ vero, penso che sia iniziato tutto da quella partita. Hanno visto il mio calcio ed è piaciuto. Loro avevano Lucescu da 12 anni e volevano cambiare ed è stata una buona opportunità per me. Ha cambiato la mia vita perché sono stato per la prima volta fuori, sono stato per la prima volta in Champions League. Ed è cambiata anche la mia vita personale. Ho un grande legame con l’Ucraina, ho conosciuto mia moglie in Ucraina e ho un bambino che è nato in Ucraina. Ho casa in Ucraina, ho tanti amici lì. Posso dire che l’Ucraina è quasi la mia seconda patria. In questo momento vivo intensamente tutto quello che succede, le persone che conosco soffrono ed è molto difficile anche per me".

Lei il 24 febbraio era in Ucraina quando è scoppiata la guerra. Avrebbe dovuto prendere un volo al mattino e invece quella notte…

"Saremmo dovuti partire il giorno prima ma la verità è che nessuno in Ucraina se lo aspettava. Ero a casa quando le bombe sono arrivate su Kiev, è stato un momento tragico, di panico per tutti. Un qualcosa che di solito vedi solo nei film. E poi, quando hai un bambino di due anni, è difficile scappare. Quando le bombe sono arrivate, tutti volevano scappare da Kiev. Ma era impossibile uscire dalla città, ci mettevi 8 ore per fare 2-3 chilometri. E’ difficile anche ragionare in modo equilibrato. Alla fine lo Shakhtar mi ha aiutato e, al momento giusto, l’ambasciata del Portogallo mi ha permesso di lasciare l’Ucraina: 30 ore di viaggio senza sapere quello che sarebbe potuto succedere, con il rumore fisso dell’allarme. E con due bambini, perché avevamo con noi anche il figlio della sorella di mia moglie".

Come si spiega ai bambini tutto questo?

"E’ difficile da spiegare. Penso che mio figlio non abbia capito quello che è successo, anche se oggi è difficile non parlare con lui di questo. Perché lui guarda quello che succede e ci chiede quando torneremo nella nostra casa. Noi abbiamo lasciato lì tutto. Io ho questa speranza, che un giorno tutto finirà e potremo tornare… Ora dico che quello che ho sentito in quei giorni non è niente, paragonato a quello che le persone continuano a vivere in Ucraina. E’ difficile per le persone che non vivono un momento così, capire appieno cosa significa una guerra. Guardi in tv quelle atrocità, ma poi torni alla tua vita mentre le persone in Ucraina continuano a soffrire moltissimo. Tutti i giorni muoiono tante persone, tanti bambini. Penso che noi tutti possiamo e dobbiamo fare di più. Per me è difficile guardare la sofferenza di questo popolo senza fare niente. Quello che facciamo in questo momento è dire ‘ok noi aiutiamo mandando le armi’ ma voi siete soli. Lottando contro un dittatore che mente tutti i giorni, che uccide le persone e che è un pericolo per l’umanità. Quello che mi rivolta di più è che continuiamo a guardare, ma quello che facciamo non è sufficiente per l’Ucraina e per il mondo. Perché non è solo l’Ucraina che è in pericolo in questo momento, ma tutto il mondo".

L’esperienza alla Roma

"E’ stata molto bella. Roma è un club diverso, dove le persone sono molto calorose. Mi sono sentito molto molto bene. E’ facile per me parlare dei tifosi romanisti, con me ancora oggi sono molto affettuosi. Quando ero bloccato in Ucraina mi hanno dato tanto sostegno con messaggi su Instagram. E’ un popolo diverso che mi è piaciuto tanto e che continuo ad amare. Sappiamo tutti che non è facile essere allenatore a Roma, ma rappresenta comunque un momento unico nella carriera. Vivere questi sentimenti, vivere la città è diverso da tutto. Mi è piaciuto tanto vivere a Roma, la città è bellissima e le persone sono calorose. E’ diverso da tutto vivere a Roma…".

 

Quando lei ha lasciato la Roma e poi hanno scelto Mourinho vi siete sentiti?

"Ci siamo scambiati dei messaggi, qualche parola. Io ho capito la situazione, lui è stato onesto con me e questo è quello che conta di più. La sua onestà".

Forse lei era l’unico a sapere di Mourinho a Roma, oltre Tiago Pinto e la società…

"Sì, lo sapevo. Tiago è una persona che io stimo molto e che sta facendo un grande lavoro a Roma ed è sempre stato molto onesto con me. Quando i Friednkin sono arrivati, noi eravamo senza direttore sportivo. Per loro era tutto nuovo, non avevano mai vissuto nel calcio. E’ stato un periodo difficile perché sono stato senza l’aiuto che ti può dare una figura come il direttore sportivo, molto importante per un allenatore. I Friedkin hanno portato un nuovo entusiasmo, volevano iniziare da zero un progetto nuovo e hanno investito portando un allenatore che ha vinto tanto. Mourinho è un punto di riferimento per tutti noi. Ha ispirato tanti allenatori, soprattutto in Portogallo. Ha iniziato un processo che ha cambiato il modo di vedere gli allenamenti, il processo di gioco in Portogallo e penso che sia stato molto molto importante".

Uno dei momenti più particolari della sua carriera è certamente la conferenza stampa allo Shakhtar vestito da Zorro…

"Momento unico! Era Halloween e una giornalista mi aveva chiesto da cosa mi mascheravo da piccolo, io ho risposto Zorro. Perché era facile come maschera e sono sempre stato appassionato di cavalli. Il mio direttore - che è un grande amico – ha sentito la risposta e mi ha detto ‘se vinciamo domani ti mascheri’. Mai avrei immaginato che, dopo la partita, sarebbero arrivati con la maschera di Zorro. Che potevo fare? Nel calcio spesso siamo tutti troppo seri…".

 

Dopo il campionato portoghese, l’Ucraina, la Roma ecco l’arrivo in Francia, al Lille…

"Sono molto soddisfatto di essere qui, in un club che mi piace molto. L’atmosfera, le persone, le condizioni di lavoro, sono positivamente sorpreso dal campionato che stiamo facendo. E’ un campionato diverso ma che mi piace molto. In Italia il campionato è più tattico, più difficile. Qui è un po' diverso, le squadre vogliono tutte giocare, c’è più spazio. Sono molto molto soddisfatto di essere in Francia".

Quest’estate 100 milioni di euro incassati dalle cessioni e 25 spesi per gli acquisti. Lei, nonostante questo, è riuscito a battere un record: nessun allenatore portoghese in Ligue 1 aveva fatto così bene nelle prime 12 giornate 

"Non lo sapevo! Il club ha perso giocatori importanti perché avevano questa necessità di vendere. Siamo in un periodo di trasformazione, un nuovo progetto. Questa non è la squadra che ha vinto il campionato due anni fa: abbiamo nuovi giocatori, giovani. Stiamo iniziando un nuovo progetto e sono molto motivato".

 

A capo del Lille c’è un italiano, Alessandro Barnaba. Lei lo conosceva?

"No, no, l’ho conosciuto qui, è stato lui a chiamarmi. Sono stato fermo una stagione e cercavo un progetto da zero. Dal primo momento che mi ha chiamato, ho sentito che sarebbe stato il progetto giusto per me. E’ una persona molto aperta, che si interessa sempre della squadra. Mi trasmette molta fiducia e poi è una persona con cui posso… parlare italiano!".

Il Paris è di un altro livello rispetto alla Ligue 1?

“Sì, è vero. Loro hanno fatto investimenti totalmente diversi dalle altre squadre, non solo in Francia. Per la mia idea di calcio non credo sia giusto avere queste differenze fra club, ma la realtà è questa. 

Quale è il sogno di oggi di Fonseca? 

"Essere felice. Avere piacere da quello che faccio, non faccio grandi piani per il futuro. Oggi è più difficile per un allenatore lavorare con delle squadre in cui ci sono giocatori che hanno più potere degli allenatori. Io penso che la cosa più importante sia vedere in campo gente felice".

Perché l'equilibrio è così importante per lei?

"Non solo nel calcio, in tutto nella vita. Lo stato di depressione o lo stato di euforia penso che non ti permettano di pensare nel modo giusto, io cerco di essere sempre equilibrato e cerco di trasmettere questo equilibrio alle persone che lavorano con me. Penso che una delle cose più importanti nella vita sia essere una persona equilibrata".