Alessia Tarquinio
Mondiali
Dopo il falso allarme di un mese prima, quando mia madre scambiò le scosse di terremoto per le ultime doglie, il momento era arrivato. A quel tempo il telefono era quello della sip marroncino, c’era il duplex (se il tuo vicino era al telefono tu dovevi aspettare e sperare) e in strada di sicuro trovavi una cabina del telefono. Bastava avere un gettone (se siete nati negli anni novanta, beati voi, andate su Wikipedia per scoprire di cosa si tratta).
Perché questa divagazione storico telefonica? Ah sì! A mia madre si erano rotte le acque e doveva avvisare mio padre. Chiama in ufficio. E’ già uscito. Panico. Fa altre telefonate senza esito. Alla fine, l’illuminazione. E’ mercoledì sera. 6123064: “Pronto scusi, potrebbe passarmi mio marito?” - “Signora, in questo momento è molto impegnato”- “è urgente”, intima mia madre - “dopo la punizione lo chiamo”. Ecco. Io nascevo e mio padre giocava a pallone. Aveva passato mesi a convincere mia madre: se è maschio lo chiamiamo Giancarlo. Giocherà anche lui guardando le stelle.
Sono nata femmina e mia madre non mi ha chiamata Giancarla. Per fortuna. La domenica tutta la famiglia si riuniva dai nonni. Si parlava di calcio tra il primo e il secondo. Al dolce, si doveva stare tutti in religioso silenzio per l’atto di fede della giornata: ascoltare alla radiolina le partite. Poi si poteva accendere la tv. Cantare la sigla senza parole di 90° minuto. E finalmente vedere ciò che avevamo solo immaginato.
Passavano gli anni. La pila di Gazzette dello Sport in cantina cresceva, aumentavano gli album di figurine Panini. Un giorno decido di scrivere una lettera al Direttore della Gazza, per chiedergli un consiglio sulla strana idea che mi era venuta in mente: fare la giornalista sportiva. Mi rispose, Candidamente: “Leggi, tanto. Tutto. Woolf, Austin, Dickinson. Donne forti che ti aiuteranno ad esserlo in un ambiente di uomini”. Sono diventata una giornalista. Per tutto questo.
Sono passati anni, allenatori, giocatori, squadre. Il sogno, sempre lo stesso: vivere un Mondiale. Avrei voluto essere in Germania, sarò in Sudafrica. Sono nata il 16 giugno del 1976. Quel giorno, migliaia di studenti e docenti neri, uscirono dalle scuole di Soweto, Johannesburg, per manifestare, contro la politica del National Party. Sui loro cartelli c’era scritto “non sparateci, non siamo armati”. Non bastò, non servì. Finì in massacro. Le immagini degli scontri fecero il giro del mondo. Il mondo scoprì cos’era l’apartheid. Il 16 giugno viene celebrato come il giorno della gioventù. Sarà un compleanno davvero speciale.
Perché questa divagazione storico telefonica? Ah sì! A mia madre si erano rotte le acque e doveva avvisare mio padre. Chiama in ufficio. E’ già uscito. Panico. Fa altre telefonate senza esito. Alla fine, l’illuminazione. E’ mercoledì sera. 6123064: “Pronto scusi, potrebbe passarmi mio marito?” - “Signora, in questo momento è molto impegnato”- “è urgente”, intima mia madre - “dopo la punizione lo chiamo”. Ecco. Io nascevo e mio padre giocava a pallone. Aveva passato mesi a convincere mia madre: se è maschio lo chiamiamo Giancarlo. Giocherà anche lui guardando le stelle.
Sono nata femmina e mia madre non mi ha chiamata Giancarla. Per fortuna. La domenica tutta la famiglia si riuniva dai nonni. Si parlava di calcio tra il primo e il secondo. Al dolce, si doveva stare tutti in religioso silenzio per l’atto di fede della giornata: ascoltare alla radiolina le partite. Poi si poteva accendere la tv. Cantare la sigla senza parole di 90° minuto. E finalmente vedere ciò che avevamo solo immaginato.
Passavano gli anni. La pila di Gazzette dello Sport in cantina cresceva, aumentavano gli album di figurine Panini. Un giorno decido di scrivere una lettera al Direttore della Gazza, per chiedergli un consiglio sulla strana idea che mi era venuta in mente: fare la giornalista sportiva. Mi rispose, Candidamente: “Leggi, tanto. Tutto. Woolf, Austin, Dickinson. Donne forti che ti aiuteranno ad esserlo in un ambiente di uomini”. Sono diventata una giornalista. Per tutto questo.
Sono passati anni, allenatori, giocatori, squadre. Il sogno, sempre lo stesso: vivere un Mondiale. Avrei voluto essere in Germania, sarò in Sudafrica. Sono nata il 16 giugno del 1976. Quel giorno, migliaia di studenti e docenti neri, uscirono dalle scuole di Soweto, Johannesburg, per manifestare, contro la politica del National Party. Sui loro cartelli c’era scritto “non sparateci, non siamo armati”. Non bastò, non servì. Finì in massacro. Le immagini degli scontri fecero il giro del mondo. Il mondo scoprì cos’era l’apartheid. Il 16 giugno viene celebrato come il giorno della gioventù. Sarà un compleanno davvero speciale.