Argentina, Messi rivela l'ossessione-Mondiale: "È un chiodo fisso"

Mondiali

L'attaccante argentino, fenomeno della Nazionale albiceleste e del Barcellona, si è concesso in una lunga e aperta intervista a La Cornisa, programma di America Tv, in cui ha parlato di sé stesso e del suo rapporto con la vittoria dei Mondiali. La Pulce, poi, ha parlato del suo passato e dei problemi di crescita: "Non soffrivo le punture"

COSA CI FANNO UN PALLONE E UN LUPO? VANNO AL MONDIALE

Leo Messi, uomo, calciatore, fenomeno vero. Il calcio, per alcuni, un D10, per altri. L'argentino è la stella indiscussa sia del Barcellona che della sua Nazionale, dove domina per carisma (d'altronde è capitano e leader indiscusso). Anche se, un obiettivo chiaro c'è. Un trofeo, uno dei pochi che gli manca: il Mondiale. La Pulce ne ha parlato ad America Tv, al programma La Cornisa: "Ho la fortuna di giocarmi trofei importanti con il Barça, per potermi concentrare sul presente immediato, ma manca sempre meno ed è inevitabile pensare a quel traguardo, che desidero io come tutti gli argentini. Spero sia un gran Mondiale per tutti noi. Il desiderio di tutti è ripetere il cammino del 2014, un'esperienza indimenticabile, ma ovviamente con un finale diverso. Di sicuro noi andremo in Russia con tanta fiducia per cercare di riportare la Coppa in Argentina, il sogno di tutti: che Dio ci aiuti".

Il passato: le punture e l'alimentazione

Messi ha poi parlato del periodo in cui gli è capitato di stare male in campo, oltre che dei seri problemi legti alla crescita, per cui da bambino ha dovuto subire più volte delle iniezioni: "Ho mangiato male per anni, quando ne avevo 22, 23 o 24. Ora io mangio bene,  cose come insalata, pesce, carne, verdura, senza rinunciare a un bicchiere di vino quando si può, ma so quando posso e quando no. Il mio modo di alimentarmi è cambiato, anche legato al fatto che vomitassi in campo: si sono dette tantissime cose, anche brutte e si poteva pensare ci fosse qualche ragione particolare, ma alla fine si è sistemato tutto. Quando avevo 12 anni, poi, facevo una puntura di ormoni, ogni notte. Prima in una gamba, poi nell'altra, ma non mi impressionava. All'inizio mi facevano iniezioni mio papà e mia mamma, poi ho imparato e ci son riuscito da solo. Era un ago molto piccolo e non faceva male, era qualcosa di abitudinario che dovevo fare e lo facevo come fosse una cosa normale".

La crisi argentina

Messi si è soffermato sul difficile periodo storico che sta vivendo la sua Argentina, nonostante l'abbia vissuta poco visto il trasferimento a Barcellona: "Soffro per il momento che sta vivendo l'Argentina come paese, è un peccato: è una realtà che vede tanta insicurezza nel paese. Penso di poter tornare a Rosario in futuro e cercare di vivere la mia città come non sono riuscito magari a fare da piccolo, visto che sono arrivato piccolo a Barcellona, cosa di cui non mi pento assolutamente. Mi preoccupa questa insicurezza, il fatto che ti possano rubare un orologio, una bici, una moto: già non poter uscire di casa a fare una passeggiata perchè hai paura di essere derubato, nonostante succeda in tante altre parti nel mondo, è brutto, al contrario di ciò che succedeva prima quando ero piccolo, quando stavi fuori fino sera senza problemi. Ma quando noi argentini ci uniamo riusciamo ad ottenere grandi cose, e spero questa situazione possa risolversi. Il fatto di venire qui a Barcellona a 13 anni non mi è costato tanto, al contrario dei miei fratelli: rimanemmo soli qui a Barcellona io e mio padre, ma vedendo quanto la possibilità Barça fosse importante abbiamo scelto di restare e mi sono adattato rapidamente".

La famiglia

Chiusura sul lato caratteriale e sulla famiglia, vero punto di forza dell'argentino: "Mi sono abituato a tutto e credo che la miglior maniera di vivere sia mostrarti per come sei: pensi e sai che chiunque ti sta osservando sempre e continuamente. Non ho nessun analista, parlo con la mia famiglia, con i miei genitori, che ci sono sempre. E tutto ciò che devono sapere sanno. Sono cosciente del fatto che ciò che dico possa essere interpretato in più maniere, ma cerco di stare attento sempre a ciò che dico e di non creare alcun tipo di confusione. Quando lascerò il calcio non so come mi vedrò, è molto difficile pensarci ora quando sei impegnato in altro. Non so cosa farò e dove vivrò, ma mi piacerebbe fare ciò che ora non sono riuscito a fare vista la mia routine quotidiana: non so se sarò a Barcellona o a Rosario. Le lacrime? Ho pianto tante volte dopo alcune partite o finali perse per quello che significavano, perchè magari meritavamo di vincere, non siamo riusciti a raggiungere qualcosa di importante e ho passato momenti duri. L'ultima volta che ho pianto è stata per felicità, dopo la nascita di Mateo, il mio secondo figlio: ho assistito al parto. Quello di Thiago non fu così tranquillo come ci aspettavamo, mentre con Mateo tutto andò nel migliore dei modi: a Thiago piace molto il calcio e va già ad allenarsi in una piccola scuola calcio, istituita dal Barça, per i figli di chi lavora nel club e dei giocatori. Già imitavano la mia esultanza con gli indici rivolti al cielo, ma non mi hanno mai chiesto il perchè: lo faccio per ricordare mia nonna, sempre presente nei miei pensieri, soprattutto in questo momento, ma anche per ringraziare Dio, per tutto quello che mi ha dato".