I 5 migliori allenatori che parteciperanno al Mondiale

Mondiali

C'è chi un Mondiale l'ha già vinto e chi si è imposto "solo" in quello per club. E poi un mago della tattica, un maestro della panchina, un rivoluzionario che ha già fatto discutere con le sue scelte: ecco i loro profili

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Hanno già iniziato a far discutere con le loro convocazioni, come è inevitabile che sia. Adesso la palla passa al campo, e solo alla fine del torneo potremo dire chi aveva ragione. Abbiamo selezionato i 5 "migliori" Ct: quelli più vincenti, tatticamente intriganti, o dai quali ci si aspetta di più.

Oscar Washington Tabárez (Uruguay)

Quando nel luglio di due anni fa gli fu diagnosticata una neuropatia cronica, con tre parole mise subito le cose in chiaro: “Io non mollo”. Si era presentato al campo su una macchina elettrica, dando vita a mille voci, lui spiegò che si tratta di una malattia “che attacca il sistema motorio, nient’altro...”. Per poi aggiungere: “Le grandi sfide mi tengono vivo”. A 71 anni sarà l’allenatore più anziano al Mondiale, torneo a cui partecipa per la quarta volta, sempre sulla panchina dell’Uruguay, dopo le edizioni del 1990, 2010, 2014 (qui battendo l’Italia nel girone, 1-0 che eliminò gli Azzurri ricordato per il morso di Suarez a Chiellini). Il suo miglior risultato a Sudafrica 2010, con la Celeste portata a un quarto posto che mancava dal 1970: prima nel girone, battuta la Corea del Sud agli ottavi e il Ghana ai quarti (con la mano di Suarez che si immola all’ultimo minuto parando il gol che avrebbe mandato in semifinale gli africani), in semifinale si arrende all’Olanda (3-2) per poi cedere anche di fronte alla Germania nella finale per il terzo posto. Un’edizione che comunque lascia intendere il potenziale di quell’Uruguay capace, non a caso, di fare sua l’anno dopo la Copa America che mancava da 16 anni, il trionfo a cui Tabarez è più legato. “Maestro” per il suo popolo (prima di allenare fece anche l’insegnante), anche in Italia lo conosciamo bene, nonostante la “gag” con cui Silvio Berlusconi lo accolse al Milan nell’estate del 1996 («Tabarez chi? Canta a Sanremo?»). In rossonero, senza la fiducia del presidente, durò solo fino a dicembre dello stesso anno: eppure, mai una polemica, una parola fuori posto. Un vero signore. Meglio gli era andata a Cagliari, una sola stagione con cui si era messo in luce portando i sardi al nono posto e attirando l’attenzione dei rossoneri; ci tornerà, richiamato nel 1999, ma la magia non si ripete e dopo appena 4 partite (con 3 sconfitte e un pareggio) arriva l’esonero. Tra gli altri club della sua lunga carriera anche Peñarol (Coppa Libertadores nel 1987) e Boca Juniors (campionato Apertura nel 1992), ma è all’Uruguay che ha legato il suo nome: è l’allenatore che ha guidato una singola nazionale per più partite.

Didier Deschamps (Francia)

Al suo terzo grande torneo sulla panchina della Francia, Deschamps è chiamato a raggiungere almeno la semifinale, traguardo che gli sfuggì nel 2014 (fermata ai quarti dalla Germania); a Euro 2016, invece, la beffa di una finale persa in casa contro il Portogallo, ai supplementari. Si riparte da quella scottatura e sempre con Didier Ct, che ha già iniziato a far discutere con le sue esclusioni eccellenti (vedi strascico polemico con Rabiot). Lui, che da giocatore ha vinto tutto (sia con la Francia che con la Juventus), non è ancora riuscito a ripetersi a quei livelli da allenatore, restando fermo ai successi con l’Olympique Marsiglia (campionato, 3 Coppe di Francia consecutive, due Supercoppe nazionali) nel triennio post-Juventus, quando gli fu affidata dai bianconeri la stagione della risalita in Serie A.  

Jorge Sampaoli (Argentina)

Ha già iniziato a far discutere, per cui figuratevi se l’Argentina non dovesse disputare un Mondiale all’altezza. Sono tantissimi ad attenderlo al varco, dai non convocati illustri (ha scelto di rinunciare a Icardi) agli ex-Ct che di certo non hanno incantato su quella panchina, ma che rispondendo al nome di Diego Armando Maradona possono permettersi di affondare critiche anche pesanti (“Sampaoli è ridicolo, i suoi moduli sono del 1930”, l’ultima uscita del Pibe). In almeno una cosa finora è riuscito, il Ct: ha messo d’accordo i nemici per la pelle Maurito e Diego. Per quanto riguarda i moduli preistorici, è il 2-3-3-2 che Sampaoli ha dichiarato di voler usare, quello che fa inorridire Maradona. Sarà, almeno nelle intenzioni del Ct, un’Argentina votata all’attacco (e vorremmo ben vedere, visto il parco attaccanti a disposizione), chiamata a “emozionare un Paese intero”. Lui, intanto, non si nasconde: “Sarà un torneo con molte sorprese, ma sono convinto che siamo tra i candidati alla vittoria”, ha dichiarato dopo aver diramato la sua lista. Tanta fiducia nei propri mezzi deriva dalle esperienze positive che ha fatto alla guida di squadre con qualità infinitamente minore, alimentando il proprio mito soprattutto in Cile. Prima a livello di club, con l’Universidad de Chile (3 campionati e una Copa Sudamericana tra il 2011 e il 2012), e poi alla guida della Nazionale, condotta nel 2015 alla vittoria della Copa America, in finale (ai rigori) contro la sua Argentina. Breve parentesi al Siviglia, da cui si svincola quando la Nazionale di casa lo chiama. Per vincere, ovviamente.

Tite (Brasile)

Nome completo Adenor Leonardo Bacchi, è l’uomo che siede sulla panchina più scomoda del Mondiale. Perché per il Brasile, qualsiasi risultato al di fuori della vittoria, non è ritenuto una sconfitta, ma una tragedia. Il Brasile partecipa ai Mondiali sempre e solo per vincere, e chi lo allena lo sa bene e deve fare i conti con le conseguenze. Vedi Scolari, dimessosi dopo il Mineirazo, o Dunga, che nel biennio 2014-2016 ha collezionato due figuracce in Copa America (fuori ai quarti nel 2015, eliminato ai gironi nella Copa Centenario del 2016). Ripartendo da Tite, ex attaccante che chiuse presto la sua carriera per gli infortuni alle ginocchia, il Brasile ha cambiato tanto, per l’ennesima volta nella sua storia: a lui si deve il rilancio di Paulinho (che aveva già allenato nel Corinthians) o l’affermazione definitiva, a livelli mondiali appunto, di gente come Gabriel Jesus e Coutinho. Tatticamente in carriera non si è fatto mancare nulla, sperimentando moduli e soluzioni, adattandosi agli uomini a disposizione, dando sempre un’organizzazione di gioco ma senza rinunciare alla fantasia; intanto, il lavoro più grande che ha fatto è stato sul piano psicologico, restituendo fiducia a una squadra su cui la pressione è sempre altissima, per alcuni insopportabile. Per ora il suo nome è stato legato soprattutto ai successi ottenuti alla guida del Corinthians: due campionati (2011, 2015), una storica Libertadores (2012, la prima del club), la Recopa 2013 e soprattutto un Mondiale, quello per club, battendo in finale il Chelsea. Adesso è il Brasile a chiedergli di portarlo sul tetto del mondo.

Joachim Löw (Germania)

Quando nel luglio 2006 gli fu affidata la panchina della Nazionale, promuovendolo dopo il biennio a cui aveva fatto da vice a Klinsmann, in tanti storsero il naso. Ma come, la Germania in mano a uno che ha fatto il “secondo” fino al giorno prima? C’era da ricostruire la nazionale tedesca soprattutto nel morale, dopo un Mondiale casalingo “rovinato” dagli Azzurri e dal gol di Grosso, e il suo curriculum a livello di club (Stoccarda, Fenerbahce, Karlsruhe, Adanaspor, Tirol Innsbruck e Austria Vienna), in effetti, non era di quelli che incantano, nonostante una Coppa di Germania vinta nel ‘97 con lo Stoccarda (portato anche a una finale di Coppa delle Coppe). Löw si mise al lavoro, gli diedero tempo e alla fine i risultati sono arrivati, figli soprattutto di un gioco che non pareva appartenere alla tradizione tedesca. Ha valorizzato i talenti, dato spazio ai piedi buoni, assecondato il lungo lavoro della Federazione fatto soprattutto sui vivai. E così arrivano il secondo posto all’Europeo del 2008 (finale persa 1-0 contro la Spagna), un altro terzo posto al Mondiale (nel 2010), una semifinale a Euro 2012 (ancora l’Italia a fermare il cammino dei tedeschi, con Balotelli che mostra i muscoli) e, finalmente, il premio dopo lunghi sforzi con il Mondiale nel 2014, facendo piangere il Brasile (7-1) in casa sua. All’ultimo Europeo un’altra eliminazione in semifinale (contro la Francia, stavolta dopo aver eliminato l’Italia ai quarti, ai rigori), ma al Mondiale Löw si presenta da campione in carica oltre che da secondo Ct più longevo sulla panchina della sua Nazionale (in carica dal 12 luglio 2006), con il solo Tabarez che lo precede per pochi mesi. E visto il potenziale che ha a disposizione c’è da scommettere che la Germania sarà ancora tra le protagoniste, come ci ha abituato negli ultimi anni.