Mondiali 2018, guida al Girone G: Belgio, Inghilterra, Tunisia e Panama

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Emanuele Atturo e Alfredo Giacobbe

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Le domande più importanti e i principali temi per presentare il girone di Belgio, Inghilterra, Tunisia e Panama. Favorite, possibili sorprese e giocatori da tenere d'occhio

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Il Belgio è l’eterna incompiuta degli ultimi anni, Martinez ha colmato la distanza che lo separava dalle prime della classe?

Emanuele Atturo: Negli ultimi anni il Belgio è stata la dimostrazione che con l’aritmetica non si fanno le squadre di calcio: la somma di grandi talenti individuali a disposizione non è sembrata nemmeno vicina a poter vincere una grande competizione. Al Belgio non è solo mancata organizzazione, ma anche un’idea di gioco da inseguire, una visione. Per certi versi è stata la naturale controindicazione di un movimento strutturato attorno all’idea di un 4-3-3 meccanico, che delegava tutte le responsabilità creative agli uno contro uno sulle fasce. Da quando Martinez ha preso il posto del disastroso Wilmots ha cercato di creare un sistema più fluido e meno prevedibile. Non è ancora chiara qual è la forza di questo Belgio, un problema comune a molte Nazionali, il cui valore in fondo viene stabilito da pochissime partite all’interno di competizioni molto peculiari.

I dubbi sul valore del Belgio non si sono certo diradati durante le qualificazioni. Il Belgio aveva un girone comodo, ma che la squadra di Martinez ha comunque spazzato via: 9 vittorie e 1 pareggio, 43 gol segnati (più di 4 a partita) e appena 6 subiti. Il livello degli avversari - Bosnia e Grecia i migliori - rendono difficile capire il valore reale di questo Belgio. Negli ultimi anni i “diavoli rossi” sono stati implacabili contro le piccole e modesti contro squadre di livello leggermente superiore. Probabilmente non riusciremo a sciogliere l’enigma fino ai campionati del mondo, ma intanto possiamo dire che Martinez ha dato una direzione più chiara a una Nazionale che a Euro 2016 era in incredibile confusione tattica.

Per riassumere i cambiamenti più importanti: Martinez ha messo Fellaini in panchina - che era invece la coperta di Linus della squadra -, spostato De Bruyne a centrocampo e inserito Mertens in pianta stabile nell’undici titolare. Il cambiamento più radicale ha riguardato però il modulo: il tecnico spagnolo ha rinunciato al dogmatico 4-3-3 - e anche al 4-2-3-1 visto all’Europeo - con cui il Belgio ha pianificato la propria rinascita calcistica, e ha messo la squadra su un 3-4-2-1 piuttosto fluido. Sugli esterni infatti giocano Ferreira Carrasco a sinistra e Meunier a destra, con quest’ultimo che scala spesso in fase difensiva per formare una linea a 4, con Alderweireld che si allarga sul lato opposto a coprire Carrasco.

Con il nuovo sistema il Belgio vuole più che altro controllare il gioco: imposta con pazienza dal basso con tre difensori, quando gli avversari tolgono dal gioco i mediani ricerca le le ricezioni nei mezzi spazi di Hazard e Mertens, che giocano sempre molto stretti e vicini tra loro. Quando uno dei due riceve l’altro gli va incontro per attivare una combinazione nello stretto.

Spesso De Bruyne arriva a rimorchio da dietro per la conclusione o per attivare la ricerca del terzo uomo, con Lukaku che teoricamente dovrebbe abbassare la difesa avversaria. Il centravanti però fin troppo spesso asseconda il suo istinto a giocare il pallone, e si avvicina ai due trequartisti; a quel punto non c’è praticamente nessuno ad attaccare la profondità.

Il Belgio si affida moltissimo alle capacità tecniche di Mertens e soprattutto Hazard, ma spesso le difese avversarie - non sollecitate né in ampiezza e né in profondità - possono concentrarsi sulle loro ricezioni. L’impressione è che il Belgio finisca per attaccare in un campo troppo corto e stretto, facendo il gioco potenzialmente di tutte quelle nazionali ben felici di lasciare il pallone agli avversari, per poi ripartire in spazi grandi.

La transizione difensiva rimane un problema cronico per il Belgio. La squadra vuole restare alta e recuperare palla, ma i tempi delle scalate non sono sempre perfetti e la difesa fatica a restare alta per accompagnare, spezzando la squadra in due.

Al Messico - in un’amichevole giocata a marzo - sono bastati un paio di lanci lunghi nello spazio attaccato da Hirving Lozano per mettere in crisi i lenti difensori belgi, costretti a scappare all’indietro nel panico. Lozano ha segnato una doppietta in quella partita.

Martinez vuole una squadra coraggiosa e offensiva, ma bisogna vedere quanto questo fragile equilibrio regga l’urto di Nazionali molto attrezzate. Una volta saltata la prima linea di pressing  i due mediani si trovano a dover difendere una grande quantità di campo, e soffrono le ricezioni ai loro fianchi. In questo senso la mancata convocazione di Nainggolan ha davvero pochi motivi tecnici.

Ma anche delle semplici conduzioni possono mandare in crisi il sistema del Belgio.

Proprio per limitare questo problema Martinez potrebbe rinunciare a far giocare Kevin De Bruyne in mediana, alzandolo trequartista e inserendo Fellaini o Dembelé accanto a Witsel. Il sistema del Belgio è Hazard-centrico e anche De Bruyne, in qualunque posizione, ha comunque meno libertà rispetto a come gioca nel Manchester City, dove è diventato forse il miglior centrocampista della stagione.

Il Belgio, insomma, è ancora lontano dall’equilibrio perfetto e la sua ambizione a giocare con le tende nella metà campo avversaria potrebbe rivelarsi controproducente in un contesto in cui molte squadre saranno ben felici di giocare nella propria metà campo. Bisogna però una volta di più sottolineare la grandezza di alcuni talenti dei “diavoli rossi”. Un giocatore come Hazard - formidabile ad anticipare i marcatori e a infilarsi nelle tasche di spazio che si aprono sulla trequarti - si muove in spazi piccolissimi come fossero enormi, e il Belgio rimane quindi una squadra complicata da difendere. Dipende molto dai propri talenti individuali, ma stiamo comunque parlando di grandi talenti individuali.  La squadra di Martinez arriva con tutti i giocatori migliori - Hazard, Lukaku, De Bruyne - all’apice della carriera, e ha un talento meglio distribuito fra i reparti rispetto ad altre nazionali di prima fascia. Il rischio è di finire paradossalmente per sottovalutarli.

Qual è il risultato minimo per non considerarlo un fallimento?

Emanuele Atturo: A questa domanda ha risposto il capitano Vincent Kompany, che ha dichiarato che qualsiasi risultato peggiore dalla semifinale sarebbe un fallimento. Ma il Belgio è davvero fra le prime 4 Nazionali al mondo? Non solo ha un’organizzazione meno efficace di squadre come Brasile, Spagna o Germania, ma anche meno talento di Francia e forse anche Argentina. L’impressione è che questa generazione belga abbia perso il treno per vincere qualcosa agli scorsi europei. Se il Belgio fosse eliminato da una qualunque di queste squadre sarebbe ingeneroso, secondo me, parlare di fallimento, anche se rimarrebbe un alone di incompiutezza.

Però per considerare il Mondiale un successo il Belgio deve essere capace di battere uno di questi avversari. Ciò che è mancato in questi anni è soprattutto dimostrare la propria forza vincendo una grande partita in una grande competizione, contro un avversario forte.

Alfredo Giacobbe: In quattro anni, il Belgio è passato dal rango di “Next Thing” a quello di delusione. La gestione di Wilmots è stata un disastro, a causa di un CT impreparato tatticamente, che non ha potuto sfruttare l’enormità del talento a sua disposizione. Era naturale che la Federazione belga scegliesse, dopo Wilmots, un normalizzatore. Martinez in questo senso somiglia molto a Claudio Ranieri, è un Signor Wolf che risolve i problemi creati dal suo predecessore.

Io mi aspetto da Martinez scelte molto conservative nel corso del torneo. Forse non conservative quanto quelle del CT del Brasile Tite, che nelle ultime due uscite ha schierato un centrocampo composto da Casemiro, Fernandinho e Paulinho, rischiando la scomunica in patria. Però credo che Martinez sia propenso a consolidare la sua squadra nelle prime due linee, in modo da lasciare mano libera ai suoi giocatori più tecnici del reparto offensivo.

L’obiettivo minimo per questa squadra è un quarto di finale, che dovrebbe risultare abbordabile anche per via dell’incrocio agli ottavi con le qualificate provenienti dal Gruppo H, quello di Colombia, Polonia, Senegal e Giappone. Arrivare primi o secondi nel girone, potrebbe dare solo una preferenza per l’avversario da affrontare successivamente ai quarti: Brasile nel primo caso, Germania nel secondo.

A forza di essere sopravvalutata, non rischiamo di sottovalutare l’Inghilterra? L’hype quest’anno è giustificato o ha ragione chi pensa che sarà un nuovo flop?

Emanuele Atturo: Harry Kane si è presentato in conferenza stampa dicendo che l’Inghilterra non deve aver paura di dire di voler vincere la Coppa del Mondo. Quindi non siamo certo noi a sopravvalutare l’Inghilterra. La differenza quest’anno, semmai, è che la squadra sembra voler accettare questa pressione mediatica.

L’Inghilterra si presenterà ai Mondiali con la terza età media più bassa (dopo Nigeria e Francia) e negli ultimi anni ha vinto o fatto molto bene in quasi tutti i tornei giovanili. L’Inghilterra ha vinto vinto gli Europei U-19 è arrivata terza a quelli U-21 e ha vinto i Mondiali U-20 e quelli U-17. Verrebbe quasi da pensare che l’Inghilterra migliore deve ancora arrivare. Nel frattempo la Nazionale sta facendo un grande sforzo per presentarsi come la squadra più giovane, cool e fresca dei prossimi campionati del mondo. Il video che annuncia i convocati ha enfatizzato quest’aspetto, lasciando che fossero teenager con lo smartphone in mano ad elencare i nomi dei giocatori.

In molti hanno provato a replicare quest’effetto, riuscendo però solo come copie sbadite.

Gareth Southgate ha lavorato per regalare alla squadra un abito tattico all’altezza della propria immagine. Dopo anni di brutto gioco, costruito tutto attorno la forza fisica, l’Inghilterra in Russia proverà a controllare il pallone nella metà campo avversaria. Sulla stampa inglese si è elogiato molto il lavoro di Southgate, a partire dalla difesa a 3 che vuole costruire con calma dal basso, e c’è grande entusiasmo in generale. È un cambio culturale molto forte, anche se siamo forse ancora al suo stato embrionale.

A questo Mondiale l’Inghilterra non sembra avere un talento all’altezza delle migliori nazionali - specie a centrocampo - ma potrebbe candidarsi senz’altro come una delle squadre più sexy e divertenti da guardare. Dele Alli, Raheem Sterling, Marcus Rashford sono giocatori dal talento unico e molto peculiare. Tutti sembrano possedere uno strano istinto a cogliere il momentum delle partite. Un aspetto che potrebbe rendere l’Inghiterra una delle outsider (intese come squadre di seconda fascia, dopo la primissima) più imprevedibili. Senza contare che in attacco giocherà uno dei più grandi calciatori del pianeta.

Alfredo Giacobbe: Fai bene a parlare di cambio culturale forte, per la prima volta da qualche anno forse vedremo l’Inghilterra arrivare ad una grande manifestazione con un’identità tattica definita, un fatto tradizionalmente offuscato dai nomi altisonanti che hanno composto la rosa di questa Nazionale. Southgate è arrivato sulla panchina dei tre leoni per unire due filoni molto differenti tra loro. Da un lato c’è la Premier League, che negli ultimi anni è diventato un vero e proprio laboratorio tattico. Guardiola, Conte, ma anche Klopp, Mourinho, persino il vecchio Allardyce, hanno tutti dato una chance al sistema con 3 uomini sull’ultima linea. Quindi i giocatori conoscono questo sistema, ormai consolidatosi in Premier League; sistema che ha costituito un’ottima base per impiantare l’altro grande filone, sviluppatosi all’interno della Football Association.

Come dappertutto, anche in Inghilterra si sono accorti che è difficile strutturare una squadra nazionale con i pochi giorni che ogni CT ha a disposizione. Nella FA qualcuno ha capito che valeva la pena aumentare il livello di astrazione, di iniziare ad allenare non le singole strategie per le differenti situazioni di gioco, ma su grandi princìpi generali. E hanno deciso di farlo su tutte le squadre, dalle giovanili alla maggiore, perché un giocatore inglese potesse sviluppare nel tempo la giusta attitudine, e potesse sentirsi a casa nei pochi giorni, una cinquantina all’anno in tutto, in cui fosse chiamato ad assolvere il proprio dovere in nazionale.

Uno dei princìpi stabiliti a tavolino è la predilezione per il possesso del pallone in ogni zona del campo. La difesa a 3, che permette di avere un’impostazione dal basso più fluida, è uno strumento che si sposa bene col principio generale sul campo. Quando devono gestire la palla, i tre uomini della linea difensiva ricevono l’appoggio del portiere, alle loro spalle, e del vertice basso del triangolo di centrocampo, davanti a loro appena oltre la prima linea di pressione avversaria. I princìpi dettano anche le scelte in fatto di uomini: Stones e Walker provengono da due anni di cura-Guardiola; Maguire sembra favorito su Cahill proprio perché ha una migliore cura del pallone; persino Pickford sembra preferito a Butland tra i pali perché è più bravo coi piedi rispetto al collega.

Kane viene incontro, riceve da Walker e scambia con Dier. A questo punto Sterling scatta nello spazio liberato da Kane, e Alli si muove nello spazio liberato da Sterling. Alli è favorito anche dalla posizione di Young, che costringe gli avversari ad allargarsi. Queste non sono giocate memorizzate, meccaniche: sono le scelte di ogni singolo giocatore che asseconda un principio condiviso da tutti. Per questo l’Inghilterra sarà un rompicapo di difficile soluzione per tante squadre.

I due laterali a tutta fascia appoggiano l’azione, alzandosi via via con la progressione del pallone verso l’area avversaria, in modo da offrire costantemente ampiezza alla manovra. L’ampiezza serve a creare spazi all’interno del campo, dove si muovono i giocatori più tecnici. Per una volta vedremo un’Inghilterra senza una mezzala di fatica, senza un vero e proprio centrocampista box-to-box. Southgate ha dimostrato di prediligere giocatori tecnici nel ruolo di interni, anche a costo di rischiare un giocatore fuori ruolo. Infatti all’esordio l’Inghilterra dovrebbe portare Dele Alli e Jessie Lingard ad agire lateralmente in un ipotetico rombo di centrocampo con Dier e Sterling ai vertici. Tutto ciò è fatto per assecondare un secondo principio tattico: il possesso è asservito alla creazione di un’occasione pericolosa, si va in verticale ogni volta che ce n’è la possibilità. E alle spalle del centrocampo avversario, Southgate intende piazzare quante più trappole gli sarà possibile, grazie a giocatori tecnici e ipercinetici in grado di puntare e saltare, potenzialmente, qualunque difensore al mondo.

Harry Kane è il vertice della piramide tattica inglese. Un giocatore unico nel suo genere, con le caratteristiche di un nove e di un dieci insieme. Se da un lato è difficile dire quanto lontano potrà andare questa squadra, è più facile scommettere sul segno che Harry Kane intende lasciare su questa Coppa del Mondo. Almeno potrà provarci, stavolta che non ci sarà Hodgson a chiedergli di stare lontano dall’area per battere i calci d’angolo e le punizioni dalla trequarti campo.

La Tunisia ha ottenuto grandi risultati, tra qualificazioni e amichevoli, ha qualche piccola possibilità?

Alfredo Giacobbe: La Tunisia sa che le sue chances di qualificazione dipendono più dagli scivoloni di Inghilterra e Belgio che dalle proprie qualità. Ciò nondimeno la Tunisia scenderà in campo con l’idea di giocarsela con tutti, per la natura stessa del gioco associativo impostato dal CT Maâloul.

La Tunisia cerca sempre di impostare l’azione dal basso, non buttando mai il pallone e coinvolgendo spesso il portiere. Il playmaker Skhiri cerca sempre la posizione più idonea per offrire ai propri difensori una linea di passaggio pulita: talvolta si muove alle spalle degli attaccanti avversari saliti in pressione, altre volte lo si vede abbassarsi tra i due centrali ad occuparsi dell’impostazione in prima persona.

Il 4-3-3 tunisino è un sistema estremamente flessibile, nel quale i giocatori alternativamente si avvicinano al portatore di palla per offrire una sponda, o si allontanano da questo per dilatare le maglie dello schieramento avversario. In generale i giocatori tunisini danno l’impressione di avere tutti un bagaglio di conoscenze di gioco molto evoluto. I movimenti senza palla sono continui, gli inserimenti del terzo uomo sempre premiati. Nonostante qualche deficienza tecnica in alcuni uomini dello scacchiere, i tunisini non fermano mai la palla, ma provano sempre la giocata con un massimo di due tocchi.

La Tunisia può cambiare atteggiamento in campo, difende più spesso col 4-4-2 ma può anche utilizzare un 4-5-1, grazie allo spostamento da una linea all’altra dell’attaccante Khaoui e al movimento verso l’interno del campo di Badri.

La Tunisia prova a creare superiorità numerica attraverso il palleggio degli uomini nella catena di sinistra. Non riuscendo nel loro intento, i tunisini optano per il cambio gioco. Badri riceve in isolamento il lancio orizzontale di Skhiri, subito parte in sovrapposizione interna il terzino Bronn, puntualmente servito da Badri che ha controllato il pallone in un attimo.

Anche difensivamente la Tunisia appare ben organizzata in due linee strette a protezione del centro del campo. Le poche occasioni che di solito concedono i tunisini provengono quasi sempre da un cross e quasi mai sono causa di una cattiva organizzazione collettiva, ma spesso i pericoli sono causati da cali di concentrazione in marcatura degli uomini della linea difensiva. I tunisini cercano di restare bassi e le sporadiche pressioni in avanti sono fatte scattare in coincidenza di un passaggio laterale verso il terzino o comunque in occasione di un cattivo controllo o di un controllo spalle alla metà campo di un difensore avversario.

La Tunisia ha avuto la sfortuna di essere pescata dall’urna insieme a due potenze del calcio europeo. In un girone più abbordabile (penso al Gruppo H nel quale è incluso il fin qui disastroso Senegal di Aliou Cissé) la Tunisia avrebbe avuto tutte le carte in regola per presentarsi agli ottavi. E ancora non è detto che non possa farcela anche in questo gruppo.

Dopo la qualificazione assurda di Panama, cosa dobbiamo aspettarci? Tre sconfitte sicure?

Panama si è qualificata arrivando a pari punti con l’Honduras, e uno sopra gli Stati Uniti, nell’ultimo posto che garantiva un accesso diretto ai Mondiali dalla Concacaf. È riuscito a qualificarsi al termine di una partita pazzesca contro il Costa Rica, grazie a un gol a 2 minuti dalla fine di Roman Torres, un difensore centrale spostato in attacco. Sarà la squadra cenerentola dei prossimi Mondiali di calcio, forse una delle più cenerentola della storia.

È la squadra con la media età più alta, e quella col valore più basso della rosa su Transfermarkt. L’unico giocatore della Francia a valere meno di tutta Panama messa insieme è Adil Rami. . È difficile descrivere come gioca Panama. Diciamo che è come guardare una squadra di Spagna 82: i difensori che toccano miliardi di palloni, tutti che giocano passeggiando e a testa alta come se stessero a una sfilata, momenti di creatività sparsi e improvvisi, un ritmo di gioco narcotico. Panama gioca al ritmo di Gabriel Gomez, definito dal ct Hernan Gomez “l’allenatore in campo”. Simbolo e bandiera della squadra è invece Roman Torres, difensore centrale con i dread e un certo gusto per i lanci lunghi a casaccio. A Panama è possibile trovare la sua faccia sui cartelloni pubblicitari che giganteggiano su Panama City, dove Roman non riesce a camminare per le strade senza dover concedere un selfie a qualcuno: “mi sento come una star del cinema”.

Ecco un elenco di cose pazze su Panama da giocarvi sul divano con i vostri amici:

- Quando il 10 ottobre Panama si è qualificato per i Mondiali il Presidente Juan Carlos Varela ha indetto una festa nazionale per il giorno dopo.

- Il suo centravanti di riserva, Blas Perez, ha 37 anni. Qualche anno fa aveva una pancia fuori scala anche per i giocatori più fuori forma. Nel 2016 è stato scambiato con Mauro Rosales, ex medaglia d’oro alle Olimpiadi insieme a Messi. Eccovelo in una foto in cui per qualche motivo indossa una “shooting sleeve” di Panama.

- Un altro centravanti di riserva, Gabriel Torres, è soprannominato “Fantasmita”, cioè piccolo fantasma.

- Il suo centravanti titolare, Luis Carlos Tejada Hansell, ha 36 anni ed è soprannominato “Matador”. È il miglior marcatore della storia della Nazionale panamense.

- Sono previsti dai 5 ai 10 mila tifosi di Panama in arrivo in Russia.

- Il cappello tradizionale di Panama, beh, non è il Panama.

- Per darvi un’idea delle infrastrutture di Panama, ecco lo scenario di metà anni 90 descritto da Gary Stempel, uno dei pionieri del calcio a Panama: «Non c’erano le reti. Dovevo portare le palle da casa e dovevamo riempire dei secchi d’acqua dalla chiesa vicino al campo. I calciatori dovevano chiedere aiuto a zie, cugine, mamme per continuare a giocare».

Quali giocatori per farsi belli al bar?

Emanuele Atturo: Ismael Diaz, 21 anni, non gioca titolare nel Panama ma è soprannominato “El Principe” ed è bravissimo a far passare la palla sotto le gambe degli avversari. Gioca nel Fabrìl, in terza serie spagnola, e quindi questi Mondiali sono per lui l’occasione della vita per svoltare una carriera difficile, passata anche per le giovanili del Porto (dal 2015 al 2017). È in assoluto uno dei nomi più oscuri di questi Mondiali, quindi ha una grande spendibilità fra i vostri amici al bar.

Diaz gioca attaccante, ha le gambe lunghe e una buona accelerazione. Non sembra forte ma gli potrebbe bastare qualche grande azione per farsi comprare da qualche squadra che fa il mercato al Mondiale.

Dei talenti dell’Inghilterra non c’è molto da dire: sono tutti forti e riconosciuti. Vale però la pena forse sottolineare il possibile impatto di Rashford a questo Mondiale. In un contesto poco organizzato e con i ritmi più lenti la sua capacità di accelerare e spaccare le partite potrebbe consacrarlo a un livello ancora più alto.

Infine vorrei segnalare a tutti l’esistenza di Fakhreddine Ben Youssef, un centravanti tunisino gigantesco sopra il metro e 90 con i capelli rossi e gli occhi azzurri. In generale uno degli esseri umani più strani che potrete ammirare in Russia.

Alfredo Giacobbe: Ragazzi, seriamente: per le vostre discussioni da bar, come posso non consigliarvi Anice Badri? Ancora più seriamente: Anice Badri è un giocatore vero. Nato in Francia, cresciuto calcisticamente in Belgio, ha fatto il percorso inverso nel 2016 andando a giocare nell’Espérance di Tunisi. Badri parte preferibilmente da destra, ma è un vero e proprio jolly d’attacco: può stringere la propria posizione fino ad agire da mezzala; può giostrare da trequartista per cercare lo scambio con la punta; può agire a sinistra, da ala a piede invertito. Badri ha una buona tecnica, ma ha migliori qualità nelle scelte e nelle letture. Osservatelo con attenzione.

Il giocatore più forte della Tunisia però è probabilmente Wahbi Khazri, un’ala sinistra con un recente passato in Premier League. La scorsa estate il neo retrocesso Sunderland decise di parcheggiarlo in prestito al Rennes in Ligue 1, con la speranza di riprenderselo a promozione acquisita. E invece per i Black Cats è arrivata una seconda clamorosa retrocessione consecutiva. Khazri ha un calcio potente e preciso, oltre ad una velocità impressionante. È un giocatore strano perché ha un’ottima tecnica di base nello stretto, ma che mal accoppia con la sua progressione. A volte sembra dimenticare il pallone e, quando parte palla al piede, può succedere qualsiasi cosa: dopo una galoppata di 50 metri può metterla all’incrocio, così come può calciarla fuori dallo stadio. Amatelo anche voi!