"Questo è matto". Baggio contro Sacchi, storia di un cambio Mondiale

Mondiali

Vanni Spinella

Il 23 giugno 1994 è il giorno in cui trionfa il sacchismo. Contro la Norvegia, nel momento più delicato e con l'Italia in 10, Sacchi sceglie di togliere dal campo Roberto Baggio: un cambio rischioso, ma i fatti gli hanno dato ragione

«Questo è matto!». Lo pensarono milioni di italiani, e non solo, tutti nello stesso preciso istante. Uno di loro ebbe anche la possibilità di esprimere quel pensiero in mondovisione, con tutte le telecamere puntate sulla faccia pronte a raccogliere labiali e mimiche varie: Roberto Baggio. Mettetevi nei suoi panni, cioè in quelli del miglior calciatore italiano dell'epoca, Pallone d’oro in carica e protagonista annunciato del Mondiale. La tua squadra, cioè l’Italia, resta in 10 per l’espulsione del portiere (ci può stare, per carità) e il tuo Ct, cioè Sacchi, ha pochi secondi a disposizione per scegliere chi sacrificare per far posto al secondo portiere. Poi sceglie te, Roberto Baggio. Questo è matto!, chi non lo penserebbe?

Pochi attimi per decidere

Ma proviamo a contestualizzare, metti caso che salti fuori che l’Arrigo aveva ragione. È il 23 giugno 1994, si gioca il Mondiale americano e la Nazionale ha già esordito come peggio non si poteva: sconfitta, 0-1, contro l’Eire. Baggio? Un fantasma, altro che trascinatore. Ma anche Sacchi, dicono, ci ha messo del suo: con la storia della sovranità dello schema e dei singoli al servizio del gruppo, ha piazzato il capocannoniere della Serie A Beppe Signori a fare il tornante a sinistra e non è ancora riuscito a trasferire un briciolo della sua scienza a quello che sembra un gruppo di campioni sì, ma confusi e spaesati.

Con delle premesse del genere la seconda partita, già fondamentale o quasi per non tornare subito a casa, diventa un ostacolo in apparenza insormontabile, anche perché di fronte agli Azzurri ci sono i giganteschi norvegesi. E come se non avesse già abbastanza problemi, l’Italia va a complicarsi la vita dopo appena 21’: Benarrivo sbaglia il fuorigioco - errore imperdonabile, nella classe di Sacchi – e spiana a Leonhardsen la strada verso Pagliuca, il portiere azzurro esce dall’area in scivolata e il tiro gli rimpalla su un mano. Espulsione. Eccoci dunque ai famosi istanti in cui Arrigo Sacchi deve mettere in moto il più rapidamente possibile le sue celluline grigie alla ricerca di una soluzione. Non lo invidiamo per niente, ma lui prende la decisione più impopolare che si possa prendere. Com’è che lo chiamavano? Ah, sì: il matto di Fusignano.

«Chi? Io?»

La scena che prende vita poco dopo appartiene già alla storia del Mondiale: a bordocampo si leva il cartello che indica il 10 di Roberto Baggio, lui si guarda attorno spaesato e commenta: «Chi? Io?». Poi cerca ancora conferme negli occhi dei compagni, incredulo: quando capisce che non si tratta né di un errore né di uno scherzo, regala il suo pensiero al mondo intero con un labiale inequivocabile (ah, che bello quando i giocatori non si coprivano la bocca con la mano!) e si avvia verso la panchina continuando a toccarsi la maglietta, forse un modo zen per non far esplodere la rabbia. Sacchi si rifugia in panchina, nascosto dietro ai suoi occhiali da sole non ritiene di dovergli spiegazioni. Persino Marchegiani, il 12 in attesa di entrare in campo al posto di Baggio, appare in imbarazzo, quasi volesse scusarsi per quel cambio necessario. Milioni di italiani incollati davanti alle tv si schierano dalla parte di Baggio (e “matto” è un complimento, in confronto a quello che vomitano loro addosso al Ct), lo stesso Bruno Pizzul in telecronaca non se lo sa, e non ce lo sa, spiegare.

La spiegazione "scientifica"

Sentiamo dunque cosa ha da dire Sacchi in sua difesa: anche ai matti ne è concessa una. Il perché di quella scelta in apparenza assurda l’ha spiegato nella sua autobiografia, con approccio quasi scientifico: «Perché lui e non un altro? Per una semplice questione tecnica. Avevo bisogno di gente che corresse molto e di un attaccante che “allungasse” la squadra avversaria partendo nello spazio, senza palla. I norvegesi erano stati schierati in modo da schiacciarci, quindi a me serviva uno che attaccasse lo spazio in profondità in modo da allontanare la linea di difesa avversaria dai loro centrocampisti. Avevo bisogno di un attaccante che partisse aprendo delle falle nel loro sistema di difesa e distanziando i difensori così da poter mettere un nostro giocatore tra le linee».

Chiamatelo capirne di calcio, chiamatelo cul de sac, alla fine ha avuto ragione lui, perché al 69’ Baggio, l’altro Baggio – quello non famoso, non forte come Robi, non celebrato e soprattutto non sostituito –, insomma Dino Baggio fa 1-0 di testa su punizione calciata da Signori e ci tiene in vita. È il trionfo del sacchismo: tutti importanti ma nessuno fondamentale, nemmeno il migliore. A posteriori, ci si può anche ridere su, come fece Ancelotti, all’epoca vice di Sacchi, che al termine della partita rivelò al suo maestro di aver dubitato di lui, per un attimo: “I settantamila italiani che erano allo stadio avevano caricato il fucile, ma c’erano gli altri sessanta milioni che ti aspettavano a casa”.

«Contro la Nigeria mi chiese il cambio»

La cosa più stupefacente è che quella che poteva rivelarsi una crepa nello spogliatoio, con la rottura tra il Ct e il campione più rappresentativo della squadra, si rivelò invece il punto di partenza per la rinascita degli Azzurri e di Baggio in particolare: con il pareggio contro il Messico, l’Italia passò il girone per il rotto della cuffia e agli ottavi andò a un centimetro dall’eliminazione contro la Nigeria. Ci salvò sul gong proprio Baggio, che da lì in poi vestì davvero i panni del trascinatore; ma è curioso il retroscena di quel finale thrilling e a svelarlo è il matto di Fusignano rivelando che «contro la Nigeria, a 15 minuti dalla fine, Baggio mi chiese di essere sostituito, ma io avevo terminato i cambi e lui rimase in campo». La fortuna aiuta i matti: non è così che si dice?