Antognoni: "Quel brivido azzurro che non muore mai. Agli Europei per emozionarmi"

Giancarlo Antognoni sa come domare l’emozione azzurra. Il fremito che si percepisce ogni qual volta si indossa la maglia più ambita, quella che si sogna sin da quando si danno i primi calci e ti fa capire quanto orgoglio e sentimento possano esserci dietro a un colore e a un pallone. D’altronde, la leggenda azzurra che dallo scorso aprile è tornato a ricoprire il ruolo di capo delegazione della Nazionale under 21, quella maglia l’ha vestita per ben 77 volte nella sua mitica carriera e anche per questo ha imparato a gestirlo al meglio quel fremito indomabile. Che però, nonostante le 70 primavere, sente ancora intenso allo stesso modo. Anche oggi, che insieme ai suoi ragazzi si sta preparando a una nuova avventura azzurra, il suo primo Europeo under 21, che di emozioni certamente ne regalerà a profusione. Per questo agli azzurrini serviranno anche la sua esperienza e la sua sapienza in Slovacchia dall’11 al 28 giugno, una guida sicura che possa aiutare Nunziata e il suo staff a tirare fuori il meglio dai giovani che scenderanno in campo. “Sono pronto”, ci dice all’inizio della nostra chiacchierata. “E non vedo l’ora di emozionarmi ancora”. Ma allora lo sente ancora quel fremito azzurro? Certo che lo sento. Le emozioni sono sempre forti quando fai parte della Nazionale, a qualsiasi età e in qualsiasi ruolo. Poi per me questo sarà una sorta di esordio, è il mio primo Europeo under 21 in un ruolo particolare come quello del capo delegazione. Ma come si fa a gestire l’emozione di giocare in Nazionale? E’ una delle cose che cerca di insegnare ai ragazzi? Si gestisce allenandosi, preparandosi al meglio e poi… giocando. Bisogna cercare di focalizzarsi sui propri punti di forza e sulle cose che il mister ti dice. Poi io a loro devo insegnare poco, rispetto a quando giocavo io questi ragazzi sono già molto avanti e decisamente abituati alle emozioni. Certo che quando senti l’inno azzurro qualcosa di diverso accade, si percepisce un sentimento che difficilmente si riesce a provare. Me lo provi a descrivere, quel sentimento. Che cos’è la maglia azzurra per lei che l’ha vestita per 77 volte in gare ufficiali? È l’orgoglio, il senso massimo di appartenenza e soprattutto di responsabilità. È l’ambizione estrema di un calciatore, la possibilità di difendere i colori della tua nazione, di confrontarti contro i giocatori più forti in giro per l’Europa e per il mondo. Cosa che a lei è successa subito. Pronti via e all’esordio ecco subito l’Olanda di Cruijff e Neskeens, in una partita passata alla storia anche per gli errori arbitrali che ci condannarono Avevo solo 20 anni, era il 20 novembre del 1974, un giorno che non dimenticherò mai. Fu una grandissima emozione sfidare quei campioni. E come ha fatto a gestirla? Mi aiutò molto Bernardini, il Ct dell’epoca, che mi mise nelle condizioni ideali per fare l’esordio, semplicemente dicendomi di stare tranquillo e di giocare come sapevo. Alla fine, feci anche l’assist a Boninsegna e mi annullarono un gol straordinario, senza motivo. Direi che l’ho gestita bene, via . E così ora aiuterà i suoi ragazzi a gestirla. Qual è la cosa più importante che secondo lei deve fare un giovane in questo senso? Rispettare la maglia e onorare la propria nazione. E lo si può fare in un solo modo, che è quello di comportarsi bene, sia in campo ma soprattutto fuori, rispettando i compagni, lo staff che ti allena, gli avversari e il pubblico. Solo così si onora la maglia. Perché, c’è qualcuno che non lo fa? Assolutamente no, ma è un tasto sul quale batto parecchio. Non si può andare in campo a fare i bischeri, come diciamo noi a Firenze. Si può sbagliare un passaggio o un gol, ma non si possono sbagliare i comportamenti. Questa è la cosa più importante che cerco di trasmettere ai ragazzi. Un compito non semplice… Ma no, questi ragazzi sono tutti veramente molto bravi e non ho mai visto ancora un comportamento fuori posto. Io poi nel mio ruolo di Capo delegazione devo cercare di farli stare tranquilli, dare loro certezze, provare a capire i loro problemi ed essere una sorta di tratto di unione tra lo staff e i ragazzi. Ma con loro mi viene tutto facile. C’è un momento particolare durante la giornata nel quale riesce a parlare con loro? Di solito sono sempre colloqui individuali, è difficile che io riesca a parlare con loro tutti insieme. Ma i momenti possono essere molti, la mattina, tra un allenamento all’altro, nelle zone comuni quando li vedo passare. Si scambiano delle chiacchiere, riferisco le mie impressioni e sento le loro, cercando sempre di capire il punto di vista del giocatore. E chi è quello che in questo anno ha “coccolato” di più, quello col quale è riuscito a parlare maggiormente? Con tutti devo dire, ma se devo fare un nome dico Volpato. Un ragazzo di grande fantasia che, come tutti i giocatori più talentuosi, ha bisogno di capire che serve anche un po’ di sacrificio in campo. Oggi il calcio, in tutti i ruoli, si gioca su entrambe le fasi e questi ragazzi lo hanno capito tutti benissimo. Volpato in primis. È proprio Volpato quello che l’ha stupita di più da quando è tornato in Under-21? Dal punto di vista tecnico sì, lui e Sebastiano Esposito. Poi però ci sono anche i giocatori di personalità e ne ho visti parecchi, a cominciare da capitan Pirola per passare ai due difensori del Verona, Coppola e Ghiradi, per finire con Ndour, che ha una grandissima personalità. E invece con Nunziata il rapporto com’è? Con Nino, io lo chiamo così, sono in grande confidenza. Ci conosciamo da anni e ci siamo sempre parlati in maniera molto schietta. Le dà anche qualche consiglio tecnico? No, non scherziamo. Non mi permetterei mai. Io ho sempre cercato di rispettare al massimo i ruoli del calcio, un conto è l’allenatore un altro sono i dirigenti. Anche alla Fiorentina ho sempre fatto così. Certo che se mi chiede qualche consiglio io sono pronto a darglielo, ma cerco sempre di stare al mio posto. Magari gli darà qualche consiglio sui nomi da convocare per l’Europeo. A proposito, lei prima ci ha detto che è pronto, ma la squadra? La rosa è fatta o ci sarà spazio per qualche novità? La squadra è pronta, carica e definita, in linea di massima. Poi ovviamente ci potrebbero essere degli aggiustamenti da fare e bisogna capire come andrà il finale di stagione, ma il gruppo di fatto è quello che Nino ha portato avanti negli ultimi due anni. In questi giorni ci siamo ritrovati dopo tre mesi per riprendere il filo del discorso e siccome di tempo non ne manca tanto è stata anche l’occasione per provare qualche nuovo ragazzo, come ad esempio Samuele Angori del Pisa e Issa Doumbia del Venezia, e studiare delle alternative a un gruppo che comunque è già ben delineato e molto affiatato. A proposito di gruppo, come ha trovato i ragazzi? Com’è il clima nel ritiro? I ragazzi stanno insieme oramai da due anni, si conoscono molto bene e hanno un grande affiatamento. Si vede da come interagiscono e dal clima che si respira durante gli allenamenti. Nunziata ha fatto un ottimo lavoro costruendo un gruppo con diverse certezze. Le due ultime amichevoli, però, hanno lasciato un po’ di amaro in bocca… In campo a volte succedono cose strane e quasi sempre le partite vengono decise da dettagli. Le due partite contro Olanda e Danimarca sono state particolari. Soprattutto la prima, decisamente rocambolesca, nella quale siamo riusciti a subire il gol del 2-1 in 9 contro 11 dopo una ripartenza nel finale. Una cosa decisamente inusuale, che però a volte può succedere. Come capitato alla Lazio contro il Viktoria Plzen, sebbene al contrario Esattamente. Anche se poi, come abbiamo visto recentemente, a volte può succedere anche di peggio. Poi quando ci sono di mezzo i giovani è ancora più probabile che accada, ma è una cosa che bisogna mettere in preventivo. Siamo qui per questo, farli sbagliare e aiutarli a migliorare, c’è sempre tempo per quello. E con la Danimarca? È stata una partita molto equilibrata tra due squadre che hanno provato a giocarsela a viso aperto per tutti i 90 minuti. Alle fine è uscito un pareggio di ottimo livello, impreziosito dal gol fenomenale di Prati. Uno dei gioielli di questa squadra, che ha nel centrocampo il suo punto di forza Sì, assolutamente. Ma anche nella difesa. Sono sicuramente i due reparti nei quali abbiamo maggiore esperienza, con giocatori come Pirola, il capitano, e Ghilardi, poi Miretti, Pisilli, Fabbian, ragazzi già maturi che però dovrebbero e potrebbero giocare un po’ di più. Ma anche davanti abbiamo molta fantasia, tra Baldanzi, Gnonto, Volpato e i due Esposito. Il problema, come sempre, è riuscire a ottimizzare la fase realizzativa, perché molte squadre alla fine si equivalgono e quindi spesso basta un piccolo dettaglio per cambiare l’esito di una partita. Dettagli che saranno certamente decisivi all’Europeo di questa estate. Con quali ambizioni andiamo in Slovacchia? L’obiettivo è chiaro: arrivare tra le prime quattro. Sappiamo che non sarà facile perché ci sono tante squadre forti come la Spagna, che è nel nostro girone insieme alla Slovacchia padrona di casa e alla Romania. Poi l’Inghilterra, la Francia e l’Olanda che abbiamo appena sfidato. Insomma, tante ottime pretendenti, ma noi vogliamo arrivare almeno in semifinale. Sperando che la condizione fisica ci aiuti… Certo un torneo come l’Europeo è sempre un’incognita per tanti fattori, quella fisica in primis. Si gioca in meno di un mese, quindi sarà fondamentale capire in che condizione arriveranno i ragazzi. Le partite sono tutte equilibrate, spesso trovi squadre sulla carta meno forti che però ti mettono comunque in difficoltà. Ci sarà da lottare, ma certamente lo faremo. Anche perché per i ragazzi sarà una grande occasione di mettersi in mostra agli occhi dell’Europa e di… Spalletti Esattamente. Una competizione come questa, specie per quelli che nelle loro squadre di club giocano meno, e ahinoi non sono pochi, deve essere una spinta per farsi vedere, anche in vista di un futuro passaggio alla Nazionale maggiore. Perché alla fine l’Under-21 è il trampolino di lancio per l’azzurro dei più grandi e in questi anni abbiamo visto che in molti poi riescono a fare il salto. Chi sarà o chi si augura potrà essere il protagonista della squadra in Slovacchia? Io spero sinceramente nei fratelli Esposito, Sebastiano e Francesco Pio, vorrebbe dire che segneremo tanto e che potremo fare strada. A proposito di futuri giocatori della Nazionale e premesso che è sempre difficile fare questi paragoni, rivede in questa Under 21 un Giancarlo Antognoni? Eh, oramai i numeri 10, i trequartisti, non esistono più, hanno seguito l’evoluzione del gioco del calcio. Oggi il modello è quello di un centrocampista di quantità e qualità, si devono fare sempre le due fasi, cosa che peraltro facevo anche io al contrario di quello che si diceva o si scriveva. Non ero solo un regista, ero un centrocampista a tutto campo, o meglio dalla metà campo in su, di certo non andavo a lottare in difesa . Ma non ero solo un regista. Oggi un giocatore del genere potrebbe essere Miretti, ottima tecnica e grande disponibilità fisica al servizio della squadra. E invece un Antognoni in prospettiva, un calciatore che vede come punto fisso nella Nazionale del futuro? Direi certamente i due romanisti, Baldanzi e Pisilli. Sono giocatori già pronti, come stiamo vedendo anche dall’impiego che ne sta facendo Ranieri nella Roma. Ci metto anche Ndour e Prati, ma è chiaro che devono iniziare a giocare di più anche con le loro squadre. Ecco, siamo arrivati al tasto dolente. La Serie A non è un campionato per giovani, tanto meno per giovani italiani. Secondo una ricerca del Cies del settembre scorso i due ragazzi italiani che hanno accumulato maggiore esperienza sono Francesco Pio Esposito dell’Inter e Pafundi dell’Udinese , ma sono oltre la 50esima posizione a livello europeo. Cosa si può fare per migliorare la situazione e vedere più giovani italiani in campo? Servono delle riforme? Più che delle riforme bisognerebbe avere il coraggio di investire di più sui giovani italiani. Ma gli investimenti vanno indirizzati in qualche modo, non crede? Certo. Limitare il numero degli stranieri sarebbe un passo importante, ad esempio, ma la vedo difficile. Se guardiamo le rose delle squadre di Serie A, non solo quelle di vertice, sono composte perlopiù da stranieri. I giovani italiani che giocano in squadre di livello si contano su una mano, gli altri sono tutti in formazioni che non competono per le primissime posizioni. Noi peschiamo sempre di più dalla Serie B, a volte anche dalla Serie C, e dai campionati esteri, mentre anni fa la Nazionale era composta solo da giocatori che giocavano in squadre di prima fascia in Serie A. Serve più coraggio anche da parte degli allenatori di schierare i giovani talenti? È un cane che si morde la coda. L’allenatore è sempre in bilico e condizionato dai risultati, quindi a volte rinuncia al giovane a causa della sua inesperienza per cercare di arrivare con maggior certezza al risultato, cosa che tra l’altro l’impiego di un giocatore più esperto non comporta per forza di cose. E il controsenso ulteriore in questa dinamica è che i giovani dovrebbero essere l’asset più importante per le società in questo momento, l’investimento principale in un mondo che è in piena crisi economica e finanziaria. La tendenza della scorsa estate però ha dimostrato il contrario. Guardiamo ad esempio la Juve, la linea è stata vendere i giovani per generare plusvalenze e comprare giocatori già formati. Così è successo con Kean e Fagioli, per rimanere in ambito azzurro, che ora però sono riusciti a trovare il loro spazio e a consacrarsi, almeno il primo, anche in Nazionale maggiore. Dobbiamo credere di più in questi ragazzi, sono il nostro futuro.

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